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Le risorse variabili discrezionali esistono ancora
 
La possibilità per gli enti locali di inserire annualmente nel fondo della contrattazione decentrata risorse variabili discrezionalmente quantificate nel loro ammontare, in relazione a progetti di produttività, a suo tempo prevista dall’articolo 15, comma 5, del Ccnl 1.4.1999 esiste ancora.

Potrebbe indurre a qualche equivoco l’articolo pubblicato sul Quotidiano Enti Locali del 31 ottobre 2019 intitolato “Contrattazione integrativa, difficile delineare la performance individuale e quella organizzativa”, ove a proposito proprio dell’integrazione facoltativa della parte variabile si legge: “Ora, è evidente che l’articolo 15 comma 5 non esiste più essendo stato sostituito dall’articolo 67, comma 3, lettera i), che prevede specifici obiettivi da inserire nel piano della performance, ma l’analogia è molto molto forte“. La considerazione è riferita al parere Aran RAL 1831, posto ad illustrare proprio la corretta applicazione dell’articolo 15, comma 5.

Nel Ccnl 21.5.2019 tale disposizione esiste ed è specificata nell’articolo 67, comma 5. Vediamo nella seguente tabella un confronto tra la vecchia e la nuova disposizione:

Articolo 15, comma 5, Ccnl 1.4.1999
Articolo 67, comma 5, Ccnl 21.5.2018
In caso di attivazione di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione finalizzati ad un accrescimento di quelli esistenti, ai quali sia correlato un aumento delle prestazioni del personale in servizio cui non possa farsi fronte attraverso la razionalizzazione delle strutture e/o delle risorse finanziarie disponibili o che comunque comportino un incremento stabile delle dotazioni organiche, gli enti, nell’ambito della programmazione annuale e triennale dei fabbisogni di cui all’art. 6 del D.Lgs. 29/93, valutano anche l’entità delle risorse necessarie per sostenere i maggiori oneri del trattamento economico accessorio del personale da impiegare nelle nuove attività e ne individuano la relativa copertura nell’ambito delle capacità di bilancio.
Gli enti possono destinare apposite risorse:
a) alla componente stabile di cui al comma 2, in caso di incremento delle dotazioni organiche, al fine di sostenere gli oneri dei maggiori trattamenti economici del personale;
b) alla componente variabile di cui al comma 3, per il conseguimento di obiettivi dell’ente, anche di mantenimento, definiti nel piano della performance o in altri analoghi strumenti di programmazione della gestione, al fine di sostenere i correlati oneri dei trattamenti accessori del personale; in tale ambito sono ricomprese anche le risorse di cui all’art. 56-quater, comma 1, lett. c).
A ben vedere, le due disposizioni non sono analoghe, ma in tutto identiche, sebbene quella del 2018 maggiormente aggiornata e coerente con l’evoluzione normativa.

Abbiamo scritto in rosso e blu le parti in cui le due norme sono sdoppiate. Nel vecchio articolo 15, comma 5, la distinzione tra l’aumento delle risorse di parte stabile connesso all’incremento a sua volta stabile delle dotazioni organiche ed aumento delle risorse variabili legato a progetti era meno evidente, per quanto chiara. Nell’articolo 67, comma 5, del Ccnl 21.5.2018 le due parti sono state opportunamente divise in due distinte lettere a scanso di ogni possibile equivoco.

La differenza maggiormente rilevante si reperisce in quanto abbiamo scritto in grassetto. La previsione dell’articolo 15, comma 5, di molto precedente le riforme al processo di valutazione innescate dal 2009 in poi, è sicuramente più rozza e meno precisa e si riferisce all’attivazione di nuovi servizi: come se i progetti fossero necessariamente da collegare a competenze ed attività “nuove” e non consistessero, invece, in metodologie specifiche ed indicatori di risultato. Si tratta di una concezione erronea ed arcaica dei processi valutativi, purtroppo ancora molto presente nella magistratura contabile in particolare, secondo la quale gli obiettivi ed i risultati debbono consistere in un “accrescimento” delle competenze. Concezione in tutto erronea: gli enti non possono che gestire le competenze e le funzioni loro assegnate dalla legge e non inventarne altre. Ma, ovviamente, possono definire indicatori di risultato in termini di costi, tempi, quantità e qualità che rendono migliore l’esercizio delle funzioni e delle competenze.

Di questa realtà (la Ferrero, recentemente menzionata dai giornali ad esempio di premi per la produttività, premia i dipendenti perchè producono cioccolato, non perchè producano altro, vetture, aspirapolveri o servizi di potatura) hanno preso maggiormente atto le parti contrattuali. Sicchè la lettera b) dell’articolo 67, comma 5, del nuovo Ccnl abbandona il velleitario riferimento all’attivazione di nuovi servizi in funzione di un accrescimento e consente il finanziamento della parte variabile semplicemente connettendolo ad obiettivi, anche di mantenimento, cioè ripetitivi di buone prassi evidentemente testate e sperimentate.

L’articolo 67, comma 5, lettera b), libera dall’ansia di inventare servizi nuovi o di andare alla ricerca di improbabili “accrescimenti” di funzioni e competenze ed indica che la produttività, almeno nelle amministrazioni che erogano servizi, va ricercata in obiettivi di qualità: minor costo del personale sulla spesa corrente o sulle entrate o sulle pratiche, rispetto dei tempi di pagamento, assenza di indicatori di pre dissesto, rispetto dei termini dei procedimenti amministrativi, rispetto di almeno i prioritari atti attuativi dei programmi, riduzione rilevata dei rischi da corruzione o conflitto di interessi.

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