21/03/2019 – Regolamentazione degli orari delle attività commerciali: natura ed effetti della disciplina adottata con ordinanza del Sindaco

Regolamentazione degli orari delle attività commerciali: natura ed effetti della disciplina adottata con ordinanza del Sindaco

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Un Comune ha adottato una nuova disciplina degli orari delle attività commerciali e delle attività produttive in generale insistenti sul proprio territorio. Contro di essa, sono insorti diversi operatori commerciali, lamentando molteplici violazioni della normativa contenuta nel Testo Unico Enti locali. Principalmente, le critiche si sono rivolte all’utilizzo ritenuto illegittimo dell’ordinanza contingibile ed urgente da parte del Sindaco. Il T.A.R. ha condiviso questa impostazione, accogliendo il ricorso e annullando il provvedimento impugnato. Secondo il Tribunale, l’ordinanza sindacale di regolamentazione degli orari era da considerarsi alla stregua di un provvedimento contingibile ed urgente, ai sensi dell’art. 50, comma 5, D.Lgs. n. 267 del 2000. Tale ultima disciplina stabilisce che in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.

Secondo il giudice di primo grado, lo strumento che l’Amministrazione avrebbe dovuto utilizzare in questo caso era il regolamento, in quanto lo scopo dell’attività amministrativa era dotare il comparto commerciale di una disciplina generale ed astratta, a contorno della quale il Sindaco avrebbe anche potuto intervenire poi con ordinanze contingibili ed urgenti, ma per fronteggiare situazioni di emergenza a carattere puntuale.

Ordinanza contingibile ed urgente o ordinanza “normale”?

Contro la decisione del Tribunale, il Comune ha proposto appello al Consiglio di Stato, che con la Sentenza n. 1567 del 7 marzo 2019 lo ha accolto. In primis, l’Amministrazione ha criticato le conclusioni a cui è giunto il T.A.R., sostenendo invece che il provvedimento adottato sia da qualificare non come ordinanza contingibile ed urgente, ma come atto di natura ordinaria volto a disciplinare gli orari di apertura degli esercizi ai sensi dell’art. 50, comma 7, del medesimo decreto legislativo. Il Collegio ha condiviso questa ricostruzione, ritenendo fondato il motivo di appello. Secondo la normativa da ultimo richiamata, il sindaco coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti.

A sostegno della propria impostazione, il Consiglio di Stato ha ricostruito la vicenda giudiziaria svoltasi in primo grado, nell’ambito della quale il Tribunale è partito dal presupposto che l’atto impugnato si configurasse, per l’appunto, come ordinanza contingibile ai sensi dell’art. 50, comma 5 e dell’art. 54, comma 4 del TUEL. A quel punto il giudice ha valutato se nel caso concreto sussistessero gli elementi posti dalla norma a fondamento di quello specifico potere di ordinanza e ha concluso in senso negativo, assumendo perciò il provvedimento come illegittimo. Diversamente, per il Collegio d’appello la fattispecie in cui inquadrare l’atto era un’altra, e cioè quella disciplinata dal successivo comma 7, che, come visto più sopra, si occupa di definire il potere ordinario di coordinamento e riorganizzazione degli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi.

E’ questa l’impostazione che si coglie dall’esame delle premesse del documento, in cui si chiarisce che i suoi presupposti sono da ricercare nell’ambito delle competenze che la legge attribuisce al Sindaco nel coordinamento degli orari della Città e, tra l’altro, degli esercizi commerciali in genere. Il Collegio ha interpretato questo richiamo come diretto alla previsione contenuta nell’art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000. Ha chiarito inoltre che questi compiti sono esercitati tipicamente facendo ricorso ad ordinanze “normali”, e cioè ordinarie, adottate dal Sindaco nella sua qualità di capo dell’amministrazione comunale e non nella veste concomitante di ufficiale del Governo. Diversamente, il potere “straordinario” previsto dal comma 5 citato non è riferito all’adozione di ordinanze contingibili per il coordinamento degli orari.

Ma c’è anche un ulteriore elemento che milita a sostegno dell’interpretazione offerta dal Collegio d’appello, e si trova nel richiamo, sempre presente nella premessa del provvedimento, alla disciplina contenuta nell’art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 114 del 1998, che vale la pena richiamare per intero: “gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall’art. 36, comma 3, L. 8 giugno 1990, n. 142“.

Come ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 1567 del 2019, il vecchio art. 36 citato ha un contenuto che nella sostanza corrisponde all’art. 50, comma 7, del TUEL. Dunque, da questa circostanza è emerso un altro elemento a sostegno della declinazione ordinaria del potere sindacale esercitato attraverso il provvedimento impugnato.

Sempre in questa direzione depone anche il richiamo alla competente legge regionale in materia di commercio, che nel dettare i principi per l’adozione in ambito comunale dei criteri in materia di orari di vendita, richiama a propria volta l’art. 36 della vecchia L. n. 142 del 1990.

E’ stato anche chiarito che l’utilizzo della locuzione “prevenire (…) situazioni di degrado al decoro delle vie pubbliche”, presente nell’ordinanza, non è valsa a ricondurre la stessa nell’ambito dei provvedimenti contingibili ed urgenti, ma piuttosto a giustificare l’introduzione di una particolare e rigorosa disciplina degli orari di alcune attività.

Urgenza del provvedere vs contingibilità ed urgenza

Altro motivo del contendere, il termine temporale di applicazione della nuova regolamentazione degli orari: appena tre giorni dalla sua adozione. Anche questo elemento, secondo il Collegio d’appello, non comporta la riconducibilità dell’atto alle ordinanze straordinarie. Il carattere dell’urgenza non è di esclusiva pertinenza dei poteri “extra ordinem”, ben potendo caratterizzare anche una disciplina “normale”. Dunque, l’urgenza del provvedere è, in senso lato, cosa diversa dai connotati di contingibilità ed urgenza che fondano il potere di ordinanza previsto dal comma 5 dell’art. 50 del TUEL.

Ulteriore puntualizzazione della Sentenza ha specificato che non è applicabile alle ordinanze sindacali il termine di 15 giorni che l’art. 134del TUEL richiede per l’esecutività delle deliberazioni, che peraltro può anche diventare immediata se così si decide con separata votazione (comma 4). Una eventuale forzatura nell’anticipare i termini di esecutività dell’atto avrebbe semmai inciso non sulla legittimità dello stesso, ma dei successivi provvedimenti attuativi.

Carattere regolamentare delle ordinanze “normali”

Il tema relativo alla mancata comunicazione di avvio del procedimento non ha assunto rilevanza, in quanto nel caso concreto non è venuta in rilievo l’adozione di un provvedimento amministrativo, ma di un atto di regolamentazione a contenuto generale e a valenza sostanzialmente regolamentare. Inoltre, trattandosi di atto generale, non rileva neppure la lamentata mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 3L. n. 241 del 1990, che sappiamo essere esclusa per tale tipologia di atti.

Restano non affrontate, in quanto non esaminate dal T.A.R. e non oggetto di appello, le questioni relative alla mancata adozione di preventivi criteri di indirizzo da parte del Consiglio comunale, pure previsti dalla norma, e l’applicazione del provvedimento anche agli artigiani.

Cons. di Stato, Sez. V, 7 marzo 2019, n. 1567

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto