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I giudici amministrativi ridimensionano la portata delle linee guida Anac

di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale
Una società ricorre contro l’Anac e nei confronti di un Comune per l’annullamento delle Linee Guida n. 11 contenenti le indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 177, comma 1, del Codice dei contratti da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del Codice stesso non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea.
L’art. 177 dispone che i soggetti di cui sopra sono obbligati ad affidare mediante procedure ad evidenza pubblica una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a € 150.000 e relativi alle concessioni. Per la restante parte (20%), i contratti possono essere eseguiti da società “in house” per i soggetti pubblici o da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, oppure tramite operatori individuati mediante procedure di evidenza pubblica, anche di “tipo semplificato”.
L’art. 177 poi dispone che le concessioni già in essere debbono adeguarsi alle predette disposizioni entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del Codice; che gli atti relativi alle procedure di affidamento, indette dai concessionari a tal fine, contengano previsioni idonee a garantire la stabilità del personale impiegato e la salvaguardia delle professionalità; che vengano annualmente individuate ed all’occorrenza sanzionate, con l’applicazione di penali contrattuali, le eventuali situazioni di squilibrio. Il comma 3 rinvia all’Anac l’individuazione, con apposite “linee guida”, delle modalità che devono essere seguite per verificare il rispetto, da parte dei concessionari, dei limiti percentuali indicati al comma 1.
Con la Delibera n. 614 del 4 luglio 2018 l’Anac ha adottato le citate Linee Guida n. 11, in cui viene specificato che i contratti da affidare con procedure ad evidenza pubblica sono quelli afferenti “tutte le prestazioni oggetto della concessione e sono quindi necessarie per l’esecuzione della stessa, anche se svolte direttamente dal concessionario”. Le convenzioni in essere debbono essere integrate con l’indicazione degli obblighi derivanti dall’art. 177.
L’impresa ricorrente eccepisce l’illegittimità delle Linee Guida per varie ragioni, riconducibili al fatto che, malgrado la dichiarata portata interpretativa, avrebbero invece portata precettiva e vincolante. L’Anac ha replicato affermando che esse individuano le tipologie di concessionari, tenute al rispetto di tale norma, in modo generico e per categorie generali, senza disciplinare in modo specifico gli affidamenti di una particolare categoria di concessionari e senza tener conto della peculiare disciplina vigente nello specifico settore.
La posizione del Tar
Analizzando il contenuto dell’art. 177, il Tar Lazio evidenzia che il potere dell’Anac è limitato alla sola individuazione delle modalità di verifica e calcolo delle percentuali di esternalizzazione. Spetta cioè all’Autorità anticorruzione il compito di precisare le basi per il calcolo delle percentuali, il momento cui fare riferimento per il rilievo dei parametri di calcolo e la cadenza delle verifiche ed eventuali altri aspetti concernenti, in via diretta, solo le modalità di rilievo delle c.d. “situazioni di squilibrio”.
L’art. 177 nulla ha disposto circa il fatto che l’Anac potesse emanare direttive interpretative del comma 1 o riguardanti l’ammontare della sanzione, per cui esclude che tutta la prima parte delle Linee Guida, deputata a delimitare l’ambito oggettivo e soggettivo nonché l’ambito temporale di applicazione delle nuove percentuali di esternalizzazione, possa ritenersi espressione del potere regolatorio effettivamente demandato all’Anac dal comma 3.
Il Tar così mette in discussione il potere che l’Anac si è arrogato nell’emanare Linee Guida meramente interpretative della norma primaria, mentre l’art. 213, comma 2, del Codice gli affida l’onere di emanare questi documenti ed altri “strumenti di regolamentazione flessibile” al fine di garantire la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorire lo sviluppo delle migliori pratiche.
Si tratta delle “linee guida non vincolanti” che, affermano i giudici amministrativi, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggiano soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, con funzione ricognitiva di princìpi di carattere generale e di ausilio interpretativo alle amministrazioni cui sono rivolte.
Questo comporta che questa tipologia di linee “non presentano una portata immediatamente lesiva, assolvendo allo scopo, al pari delle circolari interpretative, di supportare l’amministrazione e favorire comportamenti omogenei”. Da ciò consegue che esse non sono nemmeno immediatamente impugnabili.
E’ solo con l’atto mediante il quale gli enti concedenti contesteranno agli operatori economici, all’esito della prima verifica annuale successiva alla scadenza del termine per l’adeguamento alle previsioni dell’art. 177, comma 1, l’esistenza di una “situazione di squilibrio”, che sorgerà per tali operatori l’interesse concreto a sollecitare un controllo giurisdizionale sulla corretta applicazione e interpretazione dell’art. 177.
Il precedente
Su questione analoga si è espressa la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6026 del 22 ottobre 2018, resa all’esito di un ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva di una procedura ristretta per l’affidamento di un appalto di lavori di manutenzione, rigettato dal Tar Friuli Venezia Giulia.
La vicenda riguarda il sistema di attribuzione dei punteggi tecnici fissato dalla lex specialis e la pretesa commistione fra requisiti soggettivi del concorrente e requisiti oggettivi dell’offerta. La sezione dichiara infondati tutti i motivi proposti dall’appellante, tra i quali la discrasia fra la legge di gara e le prescrizioni di cui alle linee guida Anac n. 2 del 21 settembre 2016, in tema di offerta economicamente più vantaggiosa.
Anche in questo caso, trattandosi pacificamente di linee guida non vincolanti, le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui all’art. 213, comma 2, del Codice, a detta dei giudici di Palazzo Spada “non risultano idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara”.
Questi documenti, quindi, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggiano soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti”. Documenti che per questo non possano essere censurati in giudizio se non in caso di palesi profili di irragionevolezza e abnormità.

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