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L’assenza illegittima dal posto di lavoro per il dipendente pubblico procura all’ente di appartenenza il danno all’immagine

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 26956, del 18 luglio 2019, nel rigettare il ricorso di un dipendente pubblico, ha affermato che l’assenza illegittima dal posto di lavoro non comporta per l’ente di appartenenza solo un danno patrimoniale ma anche un danno all’immagine per la stessa amministrazione.
Il contenzioso
Con sentenza del marzo 2018 la Corte di appello confermava la sentenza di primo grado con la quale un dipendente era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 400,00 di multa per il reato di truffa; il dipendente pubblico aveva commesso dei reati perché, quale agente in forza alla Polizia Municipale , con artifici e raggiri consistiti nell’attestare la propria presenza in ufficio ininterrottamente per tutto l’orario di servizio, con timbratura all’inizio ed alla fine del turno, ometteva di registrare i suoi allontanamenti dal posto di lavoro, procurandosi un ingiusto profitto, consistito nella retribuzione e nei suoi accessori, ai danni della pubblica amministrazione.
Il ricorso in Cassazione
Avverso la sentenza è ricorso per Cassazione il difensore dell’agente di Polizia municipale eccependo, innanzitutto , l’omessa notifica al contumace del verbale di udienza preliminare contenente la modifica del capo di imputazione effettuata dal Pubblico ministero nel corso dell’udienza: era accaduto, infatti, che nella richiesta di rinvio a giudizio era stato indicato un diverso ed erroneo capo di imputazione (poi corretto in udienza facendo riferimento a quello contenuto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari), in base al quale era stata formulata la richiesta di rito abbreviato; appariva quindi evidente che la modifica del capo di imputazione era avvenuta in assenza dell’imputato e senza che fosse data la possibilità di conferire nuova procura speciale al difensore per inoltrare nuova richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria finalizzata a sconfessare il modificato capo di imputazione.
II difensore dell’agente di Polizia municipale, lamenta poi la mancata declaratoria della non economica apprezzabilità dei periodi di assenza dal servizio , osservando come nella sentenza di primo grado il giudice aveva confuso i minuti con le ore, così quantificando in maniera errata il danno patrimoniale che avrebbe subito il Comune , e la Corte di appello aveva completamente omesso di quantificare in concreto il danno economico.
L’avvocato dell’agente municipale, inoltre, eccepisce l’omessa valutazione di argomentazioni difensive contenute nelle memorie depositate, con particolare riguardo alle questioni del danno economico e degli effettivi compiti e mansioni di vigilanza esterna svolti dallo stesso agente: il pagamento delle retribuzioni non avveniva in modo automatico con la lettura dei cartellini-orari da parte di un elaboratore e l’orario complessivo di lavoro aveva sempre superato le 36 ore settimanali senza un corrispondente pagamento di ore a titolo di lavoro straordinario; erroneamente, infine, erano stati considerati “non contestati” i servizi di osservazione operati dai carabinieri sui fatti accaduti.
Cenni sul danno all’immagine nella pubblica amministrazione
Il danno all’immagine venne inizialmente attratto alla competenza del giudice contabile dalla giurisprudenza (Cass. civ. n. 5668 del 1997), quale danno a contenuto patrimoniale non necessariamente vincolato alla commissione di un reato ex art. 2059 c.c., e venne ritenuto ascrivibile alla categoria del danno esistenziale (cfr. Corte dei conti, SS.RR.10/QM/2003), economicamente valutabile per gli oneri finanziari necessari per correggere gli effetti distorsivi derivati dalla condotta illecita del dipendente.
A tale riguardo, la giurisprudenza, dopo averlo qualificato come danno-evento e non come danno-conseguenza, ha sostenuto, che non è necessario provare i costi effettivamente sostenuti per il ripristino di beni immateriali lesi, essendo sufficiente provare la sussistenza di un fatto intrinsecamente dannoso in quanto confliggente con interessi primari protetti in modo immediato dall’ordinamento giuridico (cfr. Corte conti, Sez. Umbria, n. 20/1995, Sez. Lombardia, n. 1954/2002); in buon sostanza, la risarcibilità del pregiudizio all’immagine pubblica non può rapportarsi al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell’ente, ma deve essere vista come lesione ideale, da quantificarsi secondo l’apprezzamento del giudice (cfr. Sez. Piemonte, n. 86/2013).
Ferme restando le caratteristiche dell’istituto, il danno all’immagine venne poi normativamente configurato, con esclusivo riferimento a specifiche figure di reato, soltanto con l’art. 17, comma 30-ter, D.L. n. 78 del 2009, conv. In L. n. 102 del 2009 e poi modificato con D.L. n. 103 del 2009, conv. con L. n. 141 del 2009.
In base a tali norme, il pregiudizio all’immagine della pubblica amministrazione si realizza soltanto a seguito della commissione di reati del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione, per i quali sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, che costituisce il presupposto indefettibile per l’esercizio dell’azione.
Successivamente, l’art. 1, comma 62, L. 6 novembre 2012 n. 190 (disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione) ha aggiunto il comma 1-sexies all’art. 1L. 14 gennaio 1994 n. 20, secondo cui l’entità del danno all’immagine “si presume pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Per ultimo, il Codice di giustizia contabile (D.Lgs. 26 agosto 2016 n. 174), con l’art. 4, lett. g) delle norme transitorie, ha abrogato l’art. 7L. n. 97 del 2001 che, in combinato disposto con l’art. 17, comma 30-ter, D.L. n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009, limitava la configurabilità del danno all’immagine ai soli delitti del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione (libro secondo, titolo II, capo I del codice penale), con la conseguenza della possibilità di perseguire il danno all’immagine anche per reati previsti in altri titoli del codice penale, purché in pregiudizio della pubblica amministrazione.
L’analisi della Cassazione
Per i giudici di legittimità il ricorso è inammissibile. La Cassazione osserva preliminarmente che la censura relativa all’asserita illegittimità della modifica dell’imputazione per mancata notificazione all’imputato contumace del verbale contenente la modifica delle date del commesso reato, si scontra con il chiaro disposto normativo di cui al primo comma dell’art. 423 c.p.p., norma del quale “Se l’imputato non è presente, la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione”; a ciò deve aggiungersi che nessun pregiudizio vi è stato per la difesa del ricorrente in quanto, come osservato dalla Corte di appello, i difensori rinnovarono la richiesta di rito abbreviato e poiché, come si evince dallo stesso ricorso, a seguito della modifica dell’imputazione, il processo venne rinviato ad altra udienza , per cui il ricorrente aveva avuto tutto il tempo di approntare le sue difese, cosa che fece con la richiesta scritta di cui al secondo motivo di ricorso.
I giudici di legittimità evidenziano che la Cassazione ha più volte precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. Cass., Sez. VI, n. 20377 del 11 marzo 2009).
Sono inoltre precluse alla Corte di legittimità sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento delle decisione impugnata che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una maggiore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (cfr. S.U. sent. n. 12 del 31 maggio 2000).
Nel caso in esame, l’eccezione relativa alla considerazione che non è stato quantificato il danno economico non considera quanto motivatamente considerato dalla Corte territoriale, e cioè che “deve ritenersi significativo il danno all’immagine per il Comune (……) derivante dalla reiterata assenza dal posto di lavoro dei due imputati siccome percepita dai cittadini, che hanno avuto anche la possibilità di notarli sulla pubblica via o, peggio, in pubblici locali in orari lavorativi”; i giudici di legittimità nel richiamare la giurisprudenza della Cassazione evidenziano che l’assenza reiterata dell’imputato aveva determinato un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una frazione della prestazione giornaliera non effettuata, e che non è necessario che il danno venga provato nel suo preciso ammontare; nessuna contestazione specifica è, infine, stata sollevata sui servizi di osservazione svolti dai carabinieri, per cui l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna al pagamento delle spese del procedimento.

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