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Delitto di abuso d’ufficio: nel concetto di «violazione di legge» vi sono anche le fonti sovraordinate come la Costituzione

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La privatizzazione del rapporto di impiego dei dipendenti pubblici, avviata nel 1991 e oggi disciplinata dall’art. 2D.Lgs. n. 165 del 2001, ha sottratto alla fonte pubblicistica unilaterale, Legge e Regolamenti, molta parte della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti non esclusi dalla privatizzazione. Ferma restando la asimmetria fisiologica tra Ente pubblico datore di lavoro e lavoratori dipendenti, le fonti di disciplina dei rapporti sono divenute negoziali e privatistiche, salvo gli atti di cui all’art. 4, comma 1 del citato decreto. I Contratti collettivi nazionali e i Contratti integrativi di ente costituiscono la fonte che regola la gran parte degli istituti inerenti i rapporti individuali di lavoro. Il potere di organizzazione dell’ente, rimesso alle fonti legislative, statutarie e regolamentari resta appunto disciplinato essenzialmente dal diritto amministrativo in ossequio al principio costituzionale di cui all’art. 97 Carta fondamentale secondo cui “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.
Tale privatizzazione ha prodotto effetti diretti anche per quanto attiene alle fattispecie di reato previste dal Titolo II del Codice penale e in particolare sul delitto di Abuso d’ufficio, previsto dall’art. 323 c.p., secondo cui: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. Risulta evidente come tutta la disciplina di fonte contrattuale esuli delle ipotesi di condotta antidoverosa previste dalla norma penale. La giurisprudenza sull’abuso d’ufficio segue la stessa linea di quella in materia di corruzione evidenziata all’inizio del presente lavoro. Secondo tale ordinanza non costituisce «diritto vivente» l’interpretazione della nozione di «violazione di norme di legge» ex art. 323 c.p. che includa condotte direttamente lesive del principio di imparzialità sancito dall’art. 97Cost., lasciando aperta la porta dell’interpretazione orientata ex artt. 25 e 97 Cost. [Galdi, Un’anomala ordinanza della Consulta in tema di abuso d’ufficio e..di eccesso di potere. Commento a C.Cost., ordinanza 14 luglio 2016, n. 117, su Giustamm.it 9/2016].
Oggetto della tutela penale sono l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione pertanto il giudice si muove alla ricerca di distorsioni nell’esercizio concreto della funzione – l’abuso appunto – utilizzando come parametro la propria interpretazione della funzione stessa, nonché delle regole e dei principi che presiedono al suo svolgimento [Tonoletti, La pubblica amministrazione sperduta nel labirinto della giustizia penale, su Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1/2019].
Il delitto di abuso d’ufficio è integrato dalla doppia e autonoma valutazione dell’ingiustizia, sia della condotta (che deve essere connotata da violazione di norne di legge o di regolamento), sia dell’evento di vantaggio patrimoniale (che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo) o del danno, che deve risultare contra ius (Tribunale Napoli, Sez. I, sent. n. 9135 del 2018). Invece, come anticipato prima, l’inosservanza dei contratti collettivi applicabili ai rapporti di lavoro nella P.A. non costituisce “violazione di legge” idonea ad integrare il delitto di abuso d’ufficio (Cass. pen. Sent. n. 5026 del 2009). Altrettanto escluse dal perimetro indicato sono le circolari che hanno natura meramente interpretativa o attuativa di normative preesistenti e che comunque sono prive della forza normativa propria della legge o del regolamento (Cass. pen. Sez. VI, sent. n. 15272 del 2010). Non è poi necessario che l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme diversa e autonoma da quella che ha caratterizzato l’illegittimità della condotta, qualora – all’esito della predetta distinta valutazione – l’accrescimento della sfera patrimoniale del privato debba considerarsi contra ius (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 13426 del 2016). L’elemento psicologico richiesto dalla norma è il dolo intenzionale la cui prova non richiede l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ma ben può essere desunta anche da altri elementi, quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità dell’atto compiuto, ovvero l’erronea interpretazione di una norma amministrativa, il cui risultato si discosti in termini del tutto irragionevoli dal senso giuridico comune, tanto da apparire frutto di una decisione arbitraria (Cass. pen. Sez. VI, sent. n. 43287 del 2018).
Premesso questo quadro sintetico, il caso trattato recentemente dalla Suprema Corte, nato nell’ambito dell’affidamento di incarichi di responsabilità a funzionari comunali, si muove si due direttrici degne di essere evidenziate:
a) pur non essendo di per sé riferibile alla violazione di norme poste da fonti diverse da quelle menzionate (legge e regolamento), tuttavia la norma ricomprende la violazione di quei canoni costituzionali, che assumono precisa valenza e costituiscono la base stessa dell’esercizio dei pubblici uffici (artt. 54 e 97 Cost.). Ne deriva che il riscontro del carattere discriminatorio e ritorsivo dell’azione amministrativa, avvenuto con precedente sentenza del Giudice del lavoro, non vale solo a qualificare ab extrinseco il movente, ma rileva sul piano oggettivo, connotando il contenuto di tale azione e rendendo la condotta penalmente tipica;
b) pur in assenza di un diritto soggettivo del dipendente a vedersi attribuire un incarico di posizione organizzativa, la condotta illegittima di attribuzione irrituale dell’incarico ad altro dipendente meno qualificato e il mancato riconoscimento dell’indennità costituiscono evento lesivo idoneo a consumare il delitto di abuso d’ufficio.
Secondo un insegnamento consolidato della Suprema Corte, infatti, in tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di norme di legge può essere integrato dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A., per la parte in cui riguarda l’attività dei pubblici funzionari, poiché esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi. Resta confermato che il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 46096 del 2015).
Resta dunque minoritario l’orientamento contrario (Cass. pen. Sez. VI, sent. n. 13097 del 2009).

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