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Assunzione di un dipendente a tempo pieno, a copertura di un posto rimasto vacante e ricoperto in precedenza da un dipendente in regime di part-time.

 
“Nella citata richiesta di parere veniva specificato che “Un dipendente assunto a tempo pieno e indeterminato, chiede ed ottiene il part-time; nel mese di dicembre 2018, rassegna le proprie dimissioni in regime di part-time. Potendo nel corrente anno coprire il posto vacante, si chiede se sia possibile coprire il posto con personale a tempo pieno. La copertura finanziaria è garantita da altre minori spese in materia di personale; inoltre la copertura a tempo pieno del posto consentirebbe una migliore funzionalità del servizio considerato che nel corso del corrente anno sono pervenute domande di collocamento a riposo e dimissioni.”
 
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SEGUE Corte dei conti Veneto, deliberazione n.113/2019
Deliberazione n. 113/2019/PAR/Comune di Casalserugo
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO
Nell’adunanza del 21 maggio 2019 composta dai magistrati:
Elena Brandolini                                                 Presidente f.f.
Maria Laura PRISLEI                                                 Consigliere
Tiziano TESSARO                                                      Consigliere, relatore
Amedeo BIANCHI                                                     Consigliere
Marco SCOGNAMIGLIO                                          Referendario
*****
VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;
VISTO il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
VISTA la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008 con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000;
VISTA la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, ed in particolare, l’art. 7, comma 8;
VISTI gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n. 9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54/CONTR del 17 novembre 2010;
VISTA la richiesta di parere inoltrata dal Sindaco del Comune Casalserugo prot. n. 2706 del 22/03/2019, acquisita al prot. C.d.c. n. 0002354-22/03/2019-SC_VENT97-A;
VISTA l’ordinanza del Presidente n. 24/2019 di convocazione della Sezione per l’odierna seduta;
UDITO il relatore, Consigliere Tiziano Tessaro
FATTO
I. Il Sindaco del Comune di Casalserugo ha trasmesso una richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, inerente l’assunzione di un dipendente a tempo pieno, a copertura di un posto rimasto vacante e ricoperto in precedenza da un dipendente in regime di part-time.
Nella citata richiesta di parere veniva specificato che “Un dipendente assunto a tempo pieno e indeterminato, chiede ed ottiene il part-time; nel mese di dicembre 2018, rassegna le proprie dimissioni in regime di part-time. Potendo nel corrente anno coprire il posto vacante, si chiede se sia possibile coprire il posto con personale a tempo pieno. La copertura finanziaria è garantita da altre minori spese in materia di personale; inoltre la copertura a tempo pieno del posto consentirebbe una migliore funzionalità del servizio considerato che nel corso del corrente anno sono pervenute domande di collocamento a riposo e dimissioni.”
II. Preliminare all’esame nel merito della questione sottoposta al vaglio di questa Sezione, la Corte è tenuta a verificarne l’ammissibilità, ovvero, la sussistenza, nel caso di specie, del presupposto soggettivo (ossia della legittimazione del richiedente) e di quello oggettivo (attinenza della materia oggetto del quesito alla contabilità pubblica, carattere generale ed astratto della questione sottoposta, non interferenza dell’attività consultiva con altre funzioni della Corte dei conti o di altre giurisdizioni).
In relazione ai predetti presupposti deve richiamarsi innanzitutto l’art. 7 comma 8 della legge 131 del 05 giugno 2013 secondo il quale i soggetti giuridici legittimati alla richiesta di parere sono le Regioni, i Comuni, le Province e le Città Metropolitane, prevedendo espressamente che “Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica. Analoghe richieste possono essere formulate, di norma, tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Città Metropolitane” ed, altresì, i criteri elaborati dalla Corte dei Conti con atto di indirizzo approvato dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, nonché con successive deliberazioni n. 5/SEZAUT/2006 del 10 marzo 2006, n. 54/CONTR/2010 (SS.RR. in sede di Controllo) e, da ultimo, con deliberazione n.
3/SEZAUT/2014/QMIG, intervenute sulla questione nell’esercizio della funzione di orientamento generale assegnata dall’art. 17, comma 31, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
La Corte dei conti ha stabilito, infatti, che ai fini dell’ammissibilità della richiesta formulata devono sussistere contestualmente le seguenti condizioni:
  • la richiesta deve essere formulata dall’organo politico di vertice e rappresentante legale degli Enti legittimati alla richiesta (Regione, Provincia, Comune);
  • il quesito deve rientrare esclusivamente nella materia della contabilità pubblica, che può assumere un “ambito limitato alla normativa e ai relativi atti applicativi che disciplinano, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli” (Sez. Autonomie, deliberazione n. 5/AUT/2006) e non può ampliarsi a tal punto da ricomprendere “qualsivoglia attività degli Enti che abbia, comunque, riflessi di natura finanziaria, comportando, direttamente o indirettamente, una spesa, con susseguente fase contabile attinente all’amministrazione della stessa ed alle connesse scritture di bilancio” (SS.RR. deliberazione n. 54/CONTR/2010);
  • il quesito deve avere rilevanza generale e astratta, non deve implicare valutazioni di comportamenti amministrativi o di fatti già compiuti né di provvedimenti formalmente adottati ma non ancora eseguiti, non deve creare commistioni con le altre funzioni intestate alla Corte, né contenere collegamenti con le funzioni giurisdizionali e requirenti della Corte dei Conti o con eventuali giudizi pendenti innanzi alla magistratura penale, civile o amministrativa. Costituisce ius receptum il principio secondo il quale la richiesta di parere, pur essendo senz’altro di norma originata da un’esigenza gestionale dell’Amministrazione, debba essere finalizzata ad ottenere indicazioni sulla corretta interpretazione di principi, norme ed istituti riguardanti la contabilità pubblica.
È esclusivo onere dell’Amministrazione, infatti, applicare le norme al caso di specie, non potendo, al contrario, la richiesta di parere essere diretta ad ottenere indicazioni concrete per una specifica e puntuale attività gestionale, e dunque ogni valutazione in merito alla legittimità e all’opportunità dell’attività amministrativa resta in capo all’ente. 
In altri termini, ai fini dell’ammissibilità dell’esercizio della funzione consultiva, il parere non deve indicare soluzioni alle scelte operative discrezionali dell’ente, ovvero, determinare una sorta di inammissibile sindacato in merito ad un’attività amministrativa in fieri, ma deve individuare o chiarire regole di contabilità pubblica (cfr., ex multis, Sezione Lombardia n. 78/2015, Sezione Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, n. 3/2015).
Alla luce di quanto sopra premesso, pertanto, dovranno ritenersi inammissibili le richieste di parere concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici, tali da determinare un’ingerenza della Corte dei conti nella concreta attività dell’Ente e, in ultima analisi, configurare una compartecipazione all’amministrazione attiva, incompatibile con la posizione di terzietà e di indipendenza della Corte nell’espletamento delle sue funzioni magistratuali, anche di controllo.
Del pari, non potranno ritenersi ammissibili richieste di parere per la cui soluzione “non si rinvengono quei caratteri – se non di esclusività – di specializzazione funzionale che caratterizzano la Corte in questa sede, e che giustificano la peculiare attribuzione da parte del legislatore” (cfr. Sezione delle Autonomie delibera n. 3/2014), né istanze che, per come formulate, si sostanzino in una richiesta di consulenza di portata generale in merito tutti gli ambiti dell’azione amministrativa.
L’ausilio consultivo, inoltre, deve essere preventivo rispetto all’esecuzione da parte dell’Ente di atti e/o attività connessi alla/e questione/i oggetto di richiesta di parere. Non è, quindi, ammissibile l’esercizio ex post della funzione consultiva.
  1. Tutto ciò premesso, sotto il profilo soggettivo, la richiesta deve ritenersi ammissibile, in quanto sottoscritta dal Sindaco dell’ente, organo politico e di vertice, rappresentante legale del medesimo.
  2. Quanto al profilo oggettivo, va evidenziato che la richiesta deve essere giustificata da un interesse dell’ente alla soluzione di una questione giuridica incerta e controversa, a carattere generale e astratto. Ne discende che i casi non devono essere riferiti a fattispecie concrete, al fine di evitare da un lato l’ingerenza della Corte nelle scelte gestionali da compiere (amministrazione attiva) e dall’altro di evitare una funzione “consulenziale” (generale) sull’attività dell’Amministrazione locale (cfr. Sez. controllo Puglia 104/2010 e 118/2009), cui  spetta procedere alla adeguata valutazione ponderativa di tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti e adottare le conseguenti scelte decisionali.
Secondo un principio ampiamente consolidato, infatti, la funzione consultiva non può risolversi in una surrettizia forma di coamministrazione o di cogestione incompatibile con la posizione di neutralità e di terzietà della magistratura contabile. Ne consegue che il parere viene reso unicamente avuto riguardo esclusivo alle questioni di natura generale ed astratta, e non può essere interpretato quale intervento atto a validare eventuali determinazioni in itinere, ovvero già assunte o atti già adottati ex post.
Dal punto di vista oggettivo la questione si delinea ammissibile, entro i limiti ristretti relativi all’interpretazione delle norme concernenti la spesa pubblica di personale e i limiti della capacità assunzionale, che come tali si inquadrano comunque nell’ambito della contabilità pubblica poiché riguardano il corretto utilizzo di risorse e più in generale il contenimento della spesa pubblica, ai fini di una sana gestione finanziaria dell’Ente.
  1. Premesso quanto sopra in ordine alla delimitazione di competenza della Corte nell’ambito dell’attività consultiva, e dunque non potendo sindacare nel merito le eventuali scelte dell’ente, né tantomeno valutare l’esistenza dei presupposti che consentono di esprimersi sulla legittimità dell’azione amministrativa gestionale, questa Sezione prenderà in esame il quesito formulato dall’Amministrazione comunale, astraendolo da ogni eventuale riferimento alla fattispecie concreta sottostante, offrendo esclusivamente una lettura interpretativa delle norme di contabilità pubblica che regolano la materia in oggetto.
DIRITTO
  1. Nel merito, il quesito posto dal Sindaco del Comune Casalserugo non può che prendere avvio dall’esame delle norme che disciplinano, allo stato attuale, la spesa pubblica di personale, evidenziando, in via preliminare, che gli enti locali prima di procedere ad effettuare delle assunzioni devono osservare le disposizioni contenenti la previsione di vincoli di spesa e di vincoli assunzionali vigenti (sia di carattere generale sia di carattere speciale) che impongono adempimenti prodromici al reclutamento del personale. I vincoli direttamente collegati alla spesa del personale rappresentano, invero, la concretizzazione del principio di contenimento della spesa pubblica perseguito dal legislatore da almeno un decennio e quelli di finanza pubblica complessivamente finalizzati ai risparmi di spesa corrente rappresentano la diretta conseguenza delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi posti dalla programmazione economica finanziaria dell’Unione europea, i quali sono stati trasfusi con le recenti riforme nella Costituzione repubblicana (in particolare, il riferimento è agli artt. 81, 97 e 119).
Per il raggiungimento degli obiettivi posti all’Italia in sede comunitaria, il legislatore, a partire dalla legge finanziaria n. 296/2006, ha imposto dei limiti alle facoltà assunzionali degli Enti locali, i quali sono stati diversamente declinati in base alla natura, alla dimensione ed all’eventuale virtuosità dell’ente destinatario del vincolo, con il compito primario di assolvere alla funzione di contenimento della spesa corrente ai fini del coordinamento della finanza pubblica, attraverso il contenimento e la progressiva riduzione della spesa del personale.
Dunque, i principi espressi a livello sovranazionale e costituzionale, come detto, non solo giustificano, anzi sollecitano, l’adozione da parte dello Stato di misure di contenimento della spesa pubblica (in primis del personale), che non possono che essere considerate, dunque, quali principi generali di coordinamento della finanza pubblica. (con rif. all’art. 117 Cost.)
In tal senso, la Corte Costituzionale ha statuito, in maniera granitica, che le misure riguardanti la spesa personale sono inderogabili, in quanto il loro rispetto concorre ad assicurare (sotto forma di riduzione della componente corrente della spesa) il conseguimento degli equilibri complessivi di finanza pubblica.
Ne consegue che il primo degli obiettivi da perseguire da parte degli enti locali è come sopra accennato, il conseguimento dei saldi di finanza pubblica come diretta conseguenza dell’applicazione dei canoni imposti dalla legge 243/2012 attuativa del riformulato articolo 81 della Costituzione. Dalla violazione della predetta disposizione discende il divieto di assunzione. Da molti anni, al fine di così ridurre la spesa corrente, gli enti locali sono ormai soggetti ad una severa disciplina vincolistica in materia di spese per il personale, nonché a vincoli assunzionali che determinano effetti sul turn over incidendo sul tasso di sostituzione del personale in servizio.
D’altro canto, tuttavia, la stessa giurisprudenza costituzionale è ferma nel ritenere che le norme statali che fissano vincoli alla spesa di Regioni ed Enti Locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica a condizione che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (per tutte: Corte costituzionale, sentenze n. 417 del 2005; n. 169 del 2007; n. 139 e 237 del 2009; n. 52 e n. 326 del 2010). Inoltre, la normativa statale, espressione della finalità di coordinamento finanziario, che legittimamente impone limiti alla spesa delle autonomie territoriali, deve essere rispettosa del generale canone della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato (Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2010).
In questo contesto normativo, il legislatore è intervenuto sui meccanismi di contenimento della spesa, come detto, con la legge finanziaria per l’anno 2007 introducendo una disciplina diversificata per gli enti sottoposti al Patto di stabilità interno e quelli di piccole dimensioni non sottoposti al Patto. Nello specifico, per i primi, vengono inseriti i vincoli di spesa del personale stabiliti dall’art. 1 commi 557 e ss. L. 296/2006, alla cui violazione consegue il divieto di assunzione nell’anno successivo (comma 557 ter) e per gli enti con popolazione inferiore ai mille abitati la norma di riferimento è all’art. 1 comma 562 della citata legge.
A tal proposito, la Corte Costituzionale ha da tempo affermato come da un lato, i vincoli imposti dal legislatore statale all’incremento dell’aggregato “spesa di personale” di cui all’art. 1 commi 557 e ss, costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e, dall’altro, che il raggiungimento dell’obiettivo di contenimento della spesa del personale deve essere perseguito con azioni da modulare nell’ambito dell’autonomia di ciascun ente, che è facoltizzato a comprimere le voci di spesa ritenute più opportune (Corte cost., sentenze n. 108/2011 e n. 27/2014).
Afferente al richiamato principio di riduzione della spesa, e quale sua concretizzazione, il legislatore ha introdotto e continuamente modificato una serie di vincoli assunzionali espressi in termini percentuali sulle cessazioni e finalizzati a regolare il turn over del personale ed in particolare di quello a tempo indeterminato. Giova evidenziare che in precedenza i vincoli assunzionali erano indifferenziati e valevano sia per il tempo indeterminato che per il lavoro flessibile (art. 76, comma 7 del d.l. 112/2008 in combinato disposto con il richiamato art. 1, c. 557 della Legge 296/2006). Solo con le modifiche normative introdotte con l’articolo 4 della legge 12 novembre 2011, n. 183 che ha interessato, modificandolo, l’allora vigente articolo 76, comma 7, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133, si sono estesi agli enti locali i principi contenuti nella disposizione di cui all’articolo 9, comma 28, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 convertito in Legge 30 luglio 2010 n. 122, relativa ai vincoli alle assunzioni per lavoro flessibile cui sono soggette le pubbliche amministrazioni.
Il citato articolo 1, comma 557 impone agli enti (ex soggetti al patto di stabilità) un vincolo assunzionale percentualmente parametrato alla spesa per cessazioni avvenute nel precedente anno (parametro capitario) e nel corso degli anni, sono state variate costantemente le percentuali assunzionali in relazione alla spesa per i cessati.
Con il comma 557 quater della predetta legge 296/2006 – come introdotto dall’art. 3 del d.l. 90/2014 a far data dal 2014 –viene inoltre valorizzato il principio del contenimento della spesa di personale, il quale, di fatto, va a sostituire quello di tendenziale riduzione dell’analoga spesa che, come visto sino ad allora, aveva caratterizzato le politiche del personale degli enti locali che erano soggetti al rispetto del patto di stabilità.
Per quanto concerne l’ambito di analisi oggetto del presente parere, appare opportuno fare cenno, altresì, anche agli altri vincoli presenti nell’ordinamento, che si possono definire generali ed ai quali sono sottoposte indistintamente tutte le amministrazioni pubbliche, e che producono i loro effetti in relazione all’esercizio della facoltà assunzionale tra i quali si annoverano:
  • l’adozione del Piano triennale dei fabbisogni del personale nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica ed in osservanza delle linee di indirizzo (per gli enti territoriali concertate in sede di Conferenza Unificata), ed eventuale rimodulazione della dotazione espressa in termini di potenziale limite finanziario massimo (di cui si dirà di seguito) ai sensi del combinato disposto dei rimodulati commi 2, 3 e 6 ter dell’art. 6 del d.lgs. 165/2001 (a seguito della riscrittura dell’articolo da parte dell’art. 4 del d.lgs. 75/2017);
  • la comunicazione, da parte di ciascuna amministrazione pubblica, del predetto Piano triennale al Dipartimento della funzione pubblica da effettuarsi entro trenta giorni dalla relativa adozione (attuale art. 6 ter, comma 5 del d.lgs. 165/2001);
  • la dichiarazione annuale da parte dell’ente, con apposito atto ricognitivo da comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, dalla quale emerga l’assenza di personale in sovrannumero o in eccedenza (art. 33 del d.lgs. 165/2001 come riscritto dall’articolo 16 della legge 183/2011);
  • l’approvazione del Piano triennale di azioni positive in materia di pari opportunità di cui all’articolo 48, comma 1, del d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 recante “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246″;
  • l’adozione entro il 31 gennaio di ogni anno di “un documento programmatico triennale, denominato Piano della performance (art. 10 comma 5 del d.lgs. 150/2009), che per gli Enti locali è unificato nel PEG (art. 169, comma 3-bis, del TUEL);
  • l’obbligo di certificazione o il diniego non motivato di certificazione, di un credito anche parziale verso la P.A. (comma 3 bis, art. 9, D.L. 185/2008 come modificato dall’art. 27, comma 2 lettera c) del D.L. 66/2014);
  • la verifica dell’impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell’apposito elenco per avviare procedure concorsuali e nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a dodici mesi (art 34, comma 6 d.lgs. 165/2001);
  • l’utilizzo dei lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 95/2012 e dell’art. 3 del D.L. 101/2013, che a domanda hanno chiesto la ricollocazione (art. 2, comma 13 D.L. 95/2012 applicabile a tutte le amministrazioni ai sensi del comma 14 del citato articolo 2 in caso di “…eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o finanziarie dell’amministrazione).
Ai suddetti vincoli assunzionali, si deve aggiungere l’ipotesi prevista dall’articolo 3, comma 101 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)” che al secondo periodo dispone “In caso di assunzione di personale a tempo pieno è data precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti assunti a tempo parziale che ne abbiano fatto richiesta”.
Le amministrazioni territoriali (non soggette ad autonomia differenziata) sono soggette – oltre che ai vincoli di carattere generale – anche ad ulteriori vincoli, nello specifico al:
  • rispetto dei termini per l’approvazione di bilanci di previsione, rendiconti, bilancio consolidato e del termine per l’invio alla Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche ex art. 13, legge n.196/2009, dei relativi dati, nei trenta giorni dalla loro approvazione, D.L. n. 113/2016, art. 9, comma 1 quinquies;
  • trasmissione delle informazioni richieste da parte degli Enti beneficiari di spazi finanziari concessi in attuazione delle intese e dei patti di solidarietà ai sensi del DPCM 243/2012 (art. 1, comma 508, Legge n. 232/2016);
  • obbligo di contenimento della spesa di personale con riferimento al triennio 2011-2013 (enti ex soggetti al patto) ai sensi del combinato disposto dell’art. 1 commi 557 e 557 quater della legge 296/2006 aggiunto, quest’ultimo, dall’art. 3, comma 5 del D.L. 90/2014);
  • conseguimento del saldo di cui al comma 466 della L. 232/2016: nell’anno successivo a quello di inadempienza è prevista la sanzione solo per assunzioni di personale a tempo indeterminato); (art. 1, comma 466 e 475, Legge n. 232/2016); si precisa che l’art. 1 comma 823 della L. 145/2018 prevede tuttavia che “A decorrere dall’anno 2019, cessano di avere applicazione i commi 465 e 466, da 468 a 482, da 485 a 493, 502 e da 505 a 509 dell’articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, i commi da 787 a 790 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e l’articolo 6-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123. Con riferimento al saldo non negativo dell’anno 2018 restano fermi, per gli enti locali, gli obblighi di monitoraggio e di certificazione di cui ai commi da 469 a 474 del citato articolo 1 della legge n. 232 del 2016. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo dell’anno 2017, accertato ai sensi dei commi 477 e 478 del medesimo articolo 1 della legge n. 232 del 2016”;
  • invio sulla piattaforma «http://pareggiobilancio.mef.gov.it», entro il 31 marzo – o comunque entro il 30 maggio – della certificazione attestante i risultati conseguiti ai fini del saldo tra entrate e spese finali firmata digitalmente, dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall’organo di revisione economico-finanziaria, ove previsto (nel caso di rispetto del termine 30 maggio la sanzione è applicata solo per assunzioni di personale a tempo indeterminato per i 12 mesi successivi, cioè fino al 31 marzo dell’anno successivo); (art. 1, comma 470, Legge n. 232/2016) – vedasi quanto riportato nel punto precedente in merito all’applicabilità dall’anno 2019 (rif. art. 1 comma 823 della L. 145/2018);
  • assenza della condizione di deficitarietà strutturale e di dissesto (art. 243 comma 1 TUEL).
Si evidenzia, inoltre, che le amministrazioni pubbliche possono procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide e concernenti concorsi per assunzioni di personale a tempo indeterminato, finalizzate al reclutamento di personale.
Completano infine il quadro normativo di riferimento la disposizione di cui all’art. 1 comma 228 della L. 208/2015 (Legge di stabilità per il 2016) e l’art. 3 comma 5 del D.L. 90/2017 concernente la capacità assunzionale.
La prima norma prevede che “Le amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e successive modificazioni, possono procedere, per gli anni 2016, 2017 e 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente. Ferme restando le facoltà assunzionali previste dall’articolo 1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per gli enti che nell’anno 2015 non erano sottoposti alla disciplina del patto di stabilità interno, qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell’interno di cui all’articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la percentuale stabilita al periodo precedente è innalzata al 75 per cento nei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, per gli anni 2017 e 2018. Per i comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti che rilevano nell’anno precedente una spesa per il personale inferiore al 24 per cento della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio, la predetta percentuale è innalzata al 100 per cento. Fermi restando l’equilibrio di bilancio di cui ai commi 707 e seguenti del presente articolo e il parametro di spesa del personale di cui all’articolo 1, comma 557-quater, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per le regioni che rilevano nell’anno precedente una spesa per il personale inferiore al 12 per cento del titolo primo delle entrate correnti, considerate al netto di quelle a destinazione vincolata, la percentuale stabilita al primo periodo è innalzata, per gli anni 2017 e 2018, al 75 per cento. In relazione a quanto previsto dal primo periodo del presente comma, al solo fine di definire il processo di mobilità del personale degli enti di area vasta destinato a funzioni non fondamentali, come individuato dall’articolo 1, comma 421, della citata legge n. 190 del 2014, restano ferme le percentuali stabilite dall’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Il comma 5-quater dell’articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è disapplicato con riferimento agli anni 2017 e 2018.”
L’art. 3 comma 5 del D.L. n. 90/2014 ammette, invece, la facoltà di assumere nel limite del 100% della spesa delle cessazioni dell’anno 2018; nello specifico statuisce che  “Negli anni 2014 e 2015 le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno procedono ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 16, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. La predetta facoltà ad assumere è fissata nella misura dell’80 per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a decorrere dall’anno 2018. Restano ferme le disposizioni previste dall’articolo 1, commi 557, 557-bis e 557-ter, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. A decorrere dall’anno 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a cinque anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile; è altresì consentito l’utilizzo dei residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facoltà assunzionali riferite al quinquennio precedente. L’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 è abrogato. Le amministrazioni di cui al presente comma coordinano le politiche assunzionali dei soggetti di cui all’articolo 18, comma 2-bis, del citato decreto-legge n. 112 del 2008 al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo articolo 18, comma 2-bis, come da ultimo modificato dal comma 5-quinquies del presente articolo”.
  1. La questione oggetto del presente parere, pertanto, va analizzata alla luce del ricostruito quadro normativo evidenziando, tuttavia che, lo stesso ha di recente subito un radicale mutamento a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 34/2019 recante Misure urgenti di crescita economica che, all’art. 33 riscrive l’intera disciplina dei vincoli di spesa ed assunzionali cui sono sottoposti i comuni (ed anche le regioni). Detto articolo rubricato “Assunzione di personale nelle Regioni a statuto ordinario e nei Comuni in base alla sostenibilità finanziaria), infatti, dispone al comma 2 dedicato ai comuni che 2. A decorrere dalla data individuata dal decreto di cui al presente comma, anche per le finalità di cui al comma 1 ,(…) i comuni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio asseverato dall’organo di revisione, sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, non superiore al valore soglia definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto dell’anno precedente a quello in cui viene prevista l’assunzione, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione. Con decreto del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le fasce demografiche, i relativi valori soglia prossimi al valore medio per fascia demografica e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio per le regioni che si collocano al di sotto del predetto valore soglia. I predetti parametri possono essere aggiornati con le modalità di cui al secondo periodo ogni cinque anni. I comuni in cui il rapporto fra la spesa di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione, e le predette entrate correnti dei primi tre titoli del rendiconto risulta superiore al valore soglia di cui al primo periodo adottano un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nell’anno 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento. A decorrere dal 2025 i comuni che registrano un rapporto superiore al valore soglia applicano un turn over pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia. Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 27 maggio 2017, n. 75 è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonchè delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.
La norma appena richiamata, come emerge da una sua attenta lettura, muta quindi le modalità di individuazione del limite cui sono sottoposti i comuni nell’ambito dell’esercizio delle facoltà inerenti il soddisfacimento del fabbisogno di personale mediante il ricorso al reclutamento. Tuttavia, l’applicazione della nuova disposizione rimane legata all’adozione entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore di un apposito Decreto del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dell’interno, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Detto decreto è finalizzato ad individuare le fasce demografiche, i relativi valori soglia prossimi al valore medio per fascia demografica e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio in relazione alle quali ogni comune potrà adeguare il proprio piano triennale di fabbisogno di personale già adottato.
Si pone, pertanto, in questa sede, la necessaria valutazione della disciplina applicabile nelle more dell’effettiva adozione di detto decreto interministeriale, la cui mancanza non consente di poter orientare le scelte degli enti verso una eventuale diversa valutazione delle proprie politiche del personale. Si ritiene, in questa sede per le motivazioni addotte in precedenza in relazione all’importanza che assume il controllo della spesa corrente di personale come anche affermato e ben evidenziato sopra, dalla Corte costituzionale che gli enti, in attesa dell’adozione del suddetto atto prodromico alla compiuta applicazione della nuova disciplina, debbano far riferimento ai vincoli assunzionali sopra richiamati: ovverosia quelli previsti dall’art. 1 commi 557 e 562 della legge 296/2006.
  1. Fatta questa necessaria puntualizzazione, dunque e per quanto di interesse in questa sede, occorre precisare rispetto al quesito prospettato che il rapporto contrattuale cessato per dimissioni era stato, come descrive l’ente richiedente stipulato, ab origine e a tempo pieno ed indeterminato e solamente in un momento successivo era stato trasformato in rapporto a tempo parziale. A tal proposito, pertanto, questa Sezione non può che fare rinvio a due norme tuttora vigenti – la prima di rango legislativo e la seconda contrattuale – applicabili al caso concreto che prevedono il diritto del lavoratore di ottenere il rientro a tempo pieno, ove siano soddisfatti gli elementi ivi indicati.
In particolare, l’art. 6 comma 4 del D.L. 79/1997 prevede che “I dipendenti che trasformano il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto di ottenere il ritorno al tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, nonché alle successive scadenze previste dai contratti collettivi. La trasformazione del rapporto a tempo pieno avviene anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive vacanze.” e l’art. 53 comma 13 del CCNL Comparto Funzioni Locali del 22/05/2018  (analogamente al quanto previsto dall’art. 4 del CCNL Comparto Regioni e Autonomie Locali del 14/09/2000) statuisce che “I dipendenti che hanno ottenuto la trasformazione del proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero, oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico. Tale disciplina non trova applicazione nelle ipotesi previste dal comma 10, che restano regolate dalla relativa disciplina legislativa.”
In altri termini, ove ricorrano tutti presupposti previsti dalla legge (ovvero dalla contrattazione collettiva), l’ente non può non dar seguito alla richiesta del dipendente di riconduzione del rapporto di lavoro alle modalità originarie, senza alcuna discrezionalità, e questo anche qualora il rientro a tempo pieno conduca ad un aumento della spesa di personale non costituendo dunque nuova assunzione ai fini della capacità assunzionale, ma un diritto del lavoratore alla riespansione dell’orario di lavoro (sul punto, vedasi, deliberazione di questa sezione n. 2/2009/PAR e 106/2013, secondo cui i vincoli finanziari, quale quello imposto dal comma 557, possono incidere solo sulla componente discrezionale della spesa e non su quella vincolata, identificabile, tra l’altro, con i “diritti sorti in base a disposizioni vincolanti, di fonte legale o contrattuale”). Appare di palese evidenza, tuttavia, che nel momento in cui l’amministrazione, che subisce l’esercizio del diritto potestativo del lavoratore non potendo sottrarsi alla richiesta di riespansione del rapporto dovrà essere consapevole che dalla stessa richiesta potrebbe conseguire un effetto sul rispetto del proprio tetto di spesa. Invero, dal punto di vista dell’approccio prudenziale appare chiaro che tale rischio verrà evitato ove all’atto dell’autorizzazione al passaggio alla prestazione lavorativa a tempo parziale l’ente continui a considerare la spesa di detta unità di personale anche (figurativamente) per la parte eccedente il part time.
Al contrario, i rapporti di lavoro costituiti originariamente come part-time e successivamente trasformati in rapporti a tempo pieno costituiscono “nuova assunzione” e ciò sulla scorta di quanto disposto dal sopracitato art. 3 comma 101 della legge 244/2007 secondo cui “Per il personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale la trasformazione del rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni.” Peraltro, sul punto , la Corte di cassazione nella sentenza n. 27440/2017 ha affermato “..l’ente pubblico datore di lavoro può prendere la decisione di avviare una procedura di assunzione di personale a tempo pieno valida ai fini dell’applicazione di cui all’art. 3, comma 101, cit. soltanto dopo aver individuato nelle proprie dotazioni organiche (determinate nel piano triennale dei fabbisogni di personale) vacanze relative alle categorie e ai profili propri di quei lavoratori part-time la cui eventuale trasformazione in rapporto a tempo pieno è compatibile con il rispetto del patto di stabilità interno (applicabile ratione temporis anche ai Comuni con più di mille abitanti) e, in particolare, con il principio del contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (vedi: art. 6 del d.lgs. n. 165 del 2001 e art. 1, comma 557-quater, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) nonché con la direttiva di non creare posizioni soprannumerarie;…”.
Nel caso di specie, pertanto, il soggetto dimissionario avrebbe ben potuto richiedere, ed ottenere, dall’amministrazione comunale il ripristino dell’originario tempo pieno, anche con eventuale sforamento dei limiti di cui al citato art. 1 comma 557 ove l’ente, non prudenzialmente, abbia omesso nel frattempo di considerare l’onere figurativo determinato dalla prestazione eccedente il part time come sopra ben evidenziato. In quest’ultima ipotesi il Comune avrebbe potuto (e dovuto) esclusivamente provvedere al riassorbimento dello stesso sforamento a decorrere dall’esercizio finanziario immediatamente successivo a quello nel quale si è verificata la riespansione del rapporto di lavoro (in questo senso deliberazioni di questa Sezione n. 287/2011/PAR, 106/2013/PAR). Tra l’altro, questa Sezione si è già espressa affermando che “sin dal momento della stesura del bilancio di previsione l’ente locale dovrebbe tener conto della possibilità che venga esercitato il diritto del personale in part – time alla ricostituzione del tempo pieno alla scadenza del biennio e, conseguentemente, adottare le necessarie iniziative di contenimento di altre componenti della spesa di personale al fine di rispettare i vincoli derivanti dalla legislazione finanziaria”(v. questa Sezione deliberazione n. 2/2009/PAR).
IX. A questo punto, occorre richiamare – per quel che qui rileva – il fatto che il complesso normativo sin qui illustrato ha determinato la sostanziale trasformazione del concetto di dotazione organica, che tradizionalmente era già stata intesa quale strumento fondamentale ai fini della realizzazione dell’assetto organizzativo di un ente. Detto concetto deve essere oggi inserito nel rinnovato contesto dell’ottica programmatoria delle pubbliche amministrazioni ed in particolare nel piano dei fabbisogni del personale, previsto e disciplinato all’art. 6 del D.Lgs. 165/2001. 
Il combinato disposto del citato art. 6 con il successivo art. 35, comma 4, del d. lgs. 165/2001 e s.m.i. – a mente del quale tutte le “determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento sono adottate (…) sulla base del piano triennale dei fabbisogni” – attribuisce, infatti, a tale provvedimento la natura di condicio sine qua non per ogni eventuale procedura assunzionale di personale nella pubblica amministrazione, indipendentemente dalle modalità di acquisizione.
Detto piano deve tenere conto delle indicazioni operative di carattere generale fornite dal D.M. 08/05/2018, con cui il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha definito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 ter del d. lgs. 165/2001 e s.m.i., le “Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle pubbliche amministrazioni”. Ne consegue che le amministrazioni pubbliche non possono procedere ad assunzioni di personale al di fuori di quelle programmate prima del 27 luglio 2018, data di efficacia del suddetto Decreto.
Le Linee guida precisano che la spesa del personale in servizio – sommata a quella derivante dalle facoltà di assunzioni consentite, comprese quelle previste dalle leggi speciali e dall’articolo 20, comma 3, del d.lgs. 75/2017 – non possa essere superiore alla spesa potenziale massima, espressione dell’ultima dotazione organica adottata. A tal fine, ogni ente dovrà procedere alla rilevazione del proprio fabbisogno di personale sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo. Il primo profilo concerne la consistenza numerica di unità necessarie ad assolvere alla mission dell’amministrazione, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica (sarà opportuno per tale profilo individuare parametri che consentano di definire un fabbisogno standard per attività omogenee o per processi da gestire); il secondo profilo concerne, invece, le diverse tipologie di professioni e competenze professionali idonee a soddisfare le nuove esigenze e obiettivi dell’amministrazione. Allo scopo di verificare la coerenza con i vincoli di finanza pubblica, inoltre, il piano dovrà essere sottoposto sia ai controlli previsti dai rispettivi ordinamenti, sia alla preventiva informazione sindacale (ove prevista nei contratti collettivi nazionali).
Lo stesso D.M. del 8 maggio 2018, tuttavia, precisa che per Regioni e per gli enti territoriali, sottoposti a tetti di spesa del personale, resta, in ogni caso, impregiudicato quale indicatore di spesa potenziale massima il tetto alla spesa di personale previsto dalla normativa vigente.
Tale impostazione permette di superare il concetto di dotazione organica, che viene ad essere interpretata quale “dotazione” di spesa potenziale, la quale rappresenta esclusivamente un valore finanziario di spesa potenziale massima sostenibile e non valicabile, imposta come vincolo esterno dalla legge, o da altra fonte, in relazione ai rispettivi ordinamenti (in questo senso, vedasi da ultimo questa Sezione n. 548/2018/PAR e sez. controllo per la Puglia n. 111/2018/PAR e n. 141/2018/PAR e da ultimo, Sezione delle Autonomie deliberazione n. 4/2019/QMIG).
A tal fine come già richiamato, gli enti dovranno indicare nel PTFP, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, le risorse finanziarie destinate all’attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente e potranno procedere annualmente alla rimodulazione qualitativa e quantitativa della propria consistenza di personale, in base ai fabbisogni programmati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 10-bis, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, garantendo la neutralità finanziaria della rimodulazione.
Le Amministrazioni avranno la facoltà, dunque, di coprire i posti vacanti nei limiti delle facoltà assunzionali previste dalle norme vigenti, verificando, in ogni caso, l’esistenza di oneri connessi con l’eventuale acquisizione di personale in mobilità, fermi restando gli ulteriori vincoli di spesa dettati dall’ordinamento di settore, anche con riferimento alla stipula di contratti a tempo determinato.
Come già ampiamente espresso con la deliberazione n. 548/2018, questa Sezione ritiene, invero, che sia “(…) di palmare evidenza che l’esistenza di un limite di spesa potenziale massima non ancora integrato e di facoltà assunzionali da utilizzare, non è di per sé sufficiente a poter effettuare le assunzioni previste nel PTFP. Infatti, prescindendo dal rispetto dei vincoli di finanza pubblica e assunzionali vigenti (prima descritti) appare necessario rammentare che nella costruzione del PTFP l’amministrazione dovrà tenere in debita evidenza l’incidenza delle programmate assunzioni sui livelli della spesa corrente. Ciò, al fine di verificare che la stessa sia effettivamente sostenibile nel quadro di derivante dall’osservanza degli equilibri di bilancio di cui al d.lgs. 118/2011 in quanto l’assunzione di personale, ed in particolare di quello a tempo indeterminato si traduce in una imputazione di spesa corrente che incide sul bilancio dell’ente fino alla cessazione del relativo rapporto di lavoro. In pratica, dunque, il PTFP dovrà necessariamente considerare se la spesa per il personale assumibile, nello stesso contemplata, possa essere sostenibile senza incidere negativamente sugli equilibri di bilancio dell’amministrazione. E ciò, anche in una prospettiva pluriennale. A fini di completezza, le Linee di Indirizzo sottolineano altresì che “Nell’ambito delle suddette facoltà di assunzione vanno ricomprese anche quelle previste da disposizioni speciali di legge provviste della relativa copertura finanziaria, nonché l’innalzamento delle facoltà derivante dall’applicazione dell’articolo 20, comma 3, del d.lgs. n. 75 del 2017. In questo senso, l’indicazione della spesa potenziale massima non incide e non fa sorgere effetti più favorevoli rispetto al regime delle assunzioni o ai vincoli di spesa del personale previsti dalla legge e, conseguentemente, gli stanziamenti di bilancio devono rimanere coerenti con le predette limitazioni.”
X. In conclusione, per le esposte motivazioni, tralasciando ogni valutazione in merito alla ricorrenza di tutti i presupposti di legge ai fini dell’ammissibilità di copertura di spesa del posto rimasto vacante nel mese di dicembre 2018 presso il Comune di Casalserugo, il cui accertamento non compete in sede consultiva (ovvero rispetto dei tetti di spesa, degli stanziamenti di bilancio, rispetto degli equilibri in chiave dinamica, vincoli generali e specifici), a parere di questa Sezione, nulla osta astrattamente all’amministrazione comunale di ricoprire il posto rimasto vacante per dimissioni di dipendente in regime di part-time (originariamente in full time) con personale a tempo pieno, previa verifica altresì della possibilità di ricoprire lo stesso per mobilità interna od esterna. Si precisa, infine, che l’ente rimasto inadempiente a quanto disposto nell’articolo art. 6 del D.lgs. 165/2001 non potrà assumere nuovo personale, così come previsto al comma 6 del citato articolo. Tale sanzione si impone, come visto, sia per il mancato rispetto dei vincoli finanziari e la non corretta applicazione delle disposizioni che dettano la disciplina delle assunzioni, sia per l’omessa adozione del PTFP e degli adempimenti previsti dagli articoli 6 e 6-ter, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
P.Q.M.
La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini sopra espressi. 
Copia della presente delibera sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco e al Segretario Comunale del Comune di Casalserugo (PD).
Così deliberato in Venezia, nella Camera di consiglio del 21 maggio 2019.
           Il Magistrato relatore                                              Il Presidente f.f.
            F.to Tiziano Tessaro                                          F.to Elena Brandolini
 

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