29/01/2019 – Società in house: affidamento, prevalenza dell’attività e scioglimento – I diversi modelli di in house nel codice dei contratti e nel T.U. delle società partecipate

Società in house: affidamento, prevalenza dell’attività e scioglimento – I diversi modelli di in house nel codice dei contratti e nel T.U. delle società partecipate *.

di Davide Ponte – Consigliere di Stato

Intervento nell’ambito Corso di formazione su “Le società a partecipazione pubblica, nel Testo unico 19 agosto 2016, n. 175”, organizzato dall’Ufficio studi massimario e formazione della giustizia amministrativa, tenutosi in data 13 – 14 dicembre 2018 presso il TAR per il Lazio.

 

1 L’evoluzione dell’in house.

Se la materia degli appalti coinvolge una fetta rilevante e peculiare del contenzioso amministrativo, anche a cagione del rito processuale particolarmente accelerato, il tema degli affidamenti cc.dd. in house ha interessato negli ultimi lustri non solo la giurisprudenza – europea e nazionale – ma anche la dottrina, impegnata a trovare una definitiva dimensione ad uno strumento che pareva mal visto a livello sovranazionale.

La prevenzione derivava dalla necessità di garantire il consolidamento dei principi in tema di obbligo di gara, connessi agli obiettivi di fondo nell’ottica europea, di tutela della concorrenza e di massima apertura del mercato. 

Le controspinte, accusate di partire da logiche tradizionali e protezionistiche, hanno trovato involontario sostegno nella crisi della finanza pubblica che, a fronte dei costi sempre più alti derivanti dall’esternalizzazione, hanno spinto a cercare una via di ritorno al controllo pubblico delle risorse impiegate. 

Ciò ha consentito un esame più sereno anche dal punto di vista giuridico, dove il totem dell’obbligo di gara è venuto ad essere bilanciato dal riconoscimento di una maggior autonomia a monte, in capo alla p.a. titolare delle risorse da impiegare e della responsabilità dell’oggetto di affidamento, in merito allo strumento da utilizzare.

2. Il ruolo della giustizia amministrativa.

Nel contesto di questa evoluzione, conosciuta dal dibattito sull’in house, si inserisce il rilevante ruolo svolto dalla giustizia amministrativa. In proposito, le sentenze amministrative hanno fornito più di un’interessante ipotesi applicativa della nuova visione dell’affidamento diretto quale modalità ordinaria alternativa all’esternalizzazione, non eccezionale. 

Invero, in sede di parere reso sui testi di riforma della disciplina in tema di società partecipate e del nuovo codice appalti, dalle stesse aule di Palazzo Spada (seppur nelle diverse vesti consultive) erano emerse indicazioni secondo cui l’opzione di fondo dovrebbe essere nel senso che la decisione di non esternalizzare l’attività deve costituire oggetto di una rigorosa motivazione tesa a dimostrare che la scelta organizzativa interna si risolve in un maggiore vantaggio per i cittadini; secondo il parere, in specie nel settore dei servizi di interesse economico generale, il ricorso al mercato e non all’in house può, infatti, costituire esso stesso, permettendo l’accesso di nuovi operatori, un utile strumento di liberalizzazione economica.

Successivamente, la giurisprudenza prevalente (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez V 18 luglio 2017 n. 3554) sembra aver ricondotto l’obbligo di motivazione in tema di in house al potere ordinario della p.a., secondo il principio generale e consolidato a mente del quale ogni determina della p.a. va motivata: la scelta dell’in house va motivata, ma costituisce un percorso ordinario alternativo rispetto all’esternalizzazione.

Incidentalmente ciò pare segnare un interessante ritorno alla qualificazione autoritativa delle scelte effettuate a monte dalle pp.aa. anche in materia di affidamenti: l’impiego di risorse pubbliche impone l’adozione di determinazioni autoritative e motivate.

All’evidenza, sul versante giuridico la questione si sposta sulla necessaria verifica della sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti necessari per motivare l’affidamento diretto. Altrimenti, infatti, sotto le vesti dell’in house rischia di celarsi un’esternalizzazione pilotata.

In termini pratici, emerge altresì l’impressione dello sforzo derivante dalle difficoltà di conciliare l’esame di questioni di tale rilevanza nel contesto di sentenze brevi o semplificate che dir si voglia, all’esito di processi particolarmente accelerati rispetto alla media dei tempi di giudizio. Ciò peraltro costituisce frutto dei tempi, dove il fastidio per i controlli giurisdizionali si accompagna ad una richiesta di sempre maggior rapidità nelle decisioni, cui gli operatori del diritto amministrativo (avvocati e giudici compresi) stanno dedicando uno sforzo non sempre compreso a livello di comunicazione generale. Invero, forse solo la crisi economica, causa principale del calo del contenzioso, rende possibile il fragile mantenimento di riti così accelerati in una materia particolarmente complessa, a fronte della carenza di risorse anche umane (basti pensare alle carenze di organico della magistratura amministrativa).

3 il contesto normativo.

In generale occorre prendere sempre le mosse da ciò che costituisce il “proprium” dell’attività del g.a., ordinariamente chiamato a svolgere un giudizio di legittimità, iniziando quindi dalle norme rilevanti nella specie [1].

 

Le norme nazionali vanno peraltro contestualizzate all’interno del nuovo più ampio c.d. statuto dell’in house, così come risultante dalla codificazione eurounitaria e nazionale.

Infatti, dopo una lunga elaborazione giurisprudenziale, l’in house è giunto al traguardo della codificazione con una disciplina interna che, attualmente, ha una duplice articolazione cui dovrebbe aggiungersi una terza componente; al codice degli appalti (d.lgs. 50 del 2016) ed al testo unico delle società partecipate (d.lgs. 175 del 2016), dovrebbe (il condizionale è d’obbligo nel variegato panorama ordinamentale attuale) sommarsi un nuovo testo unico sui servizi pubblici locali, oggetto di un supplemento di riflessione alla luce dello stop derivante dalla sentenza n. 2512016 della Consulta [2].

Nonostante l’apparente linearità della successione delle leggi nel tempo, per cui le nuove regole sull’in house – in specie ai sensi del codice degli appalti – si applicano per gli affidamenti posteriori alla sua entrata in vigore, il quadro appare piuttosto complesso, per la rilevanza numerica dei soggetti in house “di vecchia generazione” ancora attivi, con la segnalata conseguente necessità di offrire soluzioni che siano in grado di conciliare le regole del diritto pretorio con le nuove e diverse indicazioni derivanti dal legislatore eurounitario.

Invero, se per un verso le norme interne han cercato comunque di coordinarsi fra loro e di attenersi alle direttive, per un altro verse le stesse direttive a propria volta si inseriscono in un ambito europeo in cui il diritto vivente della Corte di giustizia assume un primario rilievo.

4 i possibili inquadramenti.

Prima di riassumere la giurisprudenza della Cge e di analizzare un caso di peculiare interesse ai predetti fini, in quanto reso su rimessione di giudice amministrativo di italiano e relativo ad una fattispecie collocatasi a cavallo fra le vecchie e le nuove regole, occorre evidenziare i due possibili inquadramenti di principio, uno classico secondo le coordinate sovranazionali, uno più “sovranista”, basato sulla nostra Carta costituzionale.

 

In primo luogo, come ricorda la più autorevole dottrina in materia [3], due sono i principi fondamentali del diritto europeo in materia di appalti: uno è il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, nel senso della libertà per i soggetti pubblici di organizzare (autorganizzare) come meglio ritengono le prestazioni dei servizi di rispettivo interesse; attraverso l’autoproduzione, la cooperazione e l’esternalizzazione; l’altro è il principio di tutela della concorrenza, che ha come finalità la piena apertura dei mercati.

Nella libertà della p.a. in materia, secondo l’art. 2, paragrafo 1 della direttiva 232014, rientrano tre modelli equiordinati: autoproduzione (in house), cooperazione tra amministrazioni ed esternalizzazione (gare).

Tuttavia, già in tale primario schema emergono alcuni rischi di fraintendimento. Infatti, l’in house, sia nello schema disegnato dalla giurisprudenza europea che ora in quello tracciato dal legislatore sovranazionale, può riguardare sia organi legati direttamente alla p.a. e privi di personalità giuridica (autoproduzione) sia enti controllati sebbene dotati di personalità giuridica (in house in senso stretto). Quindi, al fine di rimanere nell’orbita del principio occorre rimanere nella sfera di controllo diretto, altrimenti si finirebbe con il violare il secondo principio, quello di tutela della concorrenza. Ciò impone attenzione e rigore al fine di evitare che l’in house, possa costituire uno strumento capace di eludere entrambi i principi; anche perché, come noto, la “fuga dall’amministrazione” ha molti “vantaggi” per gli interessati, avendo la p.a. obblighi doveri e poteri ben diversi rispetto ad un ente privato che agisca liberamente o comunque all’interno di regole dettate da un’autorità (indipendente o amministrativa tradizionale che sia).

In secondo luogo, si è affacciato un diverso inquadramento critico, basato su di una lettura strettamente legata alle norme costituzionali.

La nostra Costituzione, infatti, con il suo riferimento generico all’iniziativa economica pubblica (art. 41) riconosce allo Stato ed in generale ai pubblici poteri il potere di svolgere attività a carattere imprenditoriale: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

La portata di tale potere è assai più larga di quella indicata dall’art. 43 (“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”).

Infatti non vi sono limiti nella tipologia delle attività assumibili, sicché non si dovrà trattare necessariamente di servizi pubblici, fonti di energia o monopoli. La materia, inoltre, non è soggetta a riserva di legge (se non nei programmi e nei controlli), per cui vi si può provvedere in via amministrativa. In tal caso, occorre solo che l’assunzione sia giustificabile per un qualche interesse pubblico, alla pari di ogni altra azione amministrativa (anche se in concreto questa condizione è stata spesso superata autorizzando le assunzioni singolari direttamente con leggi).

Questo stato di cose (utilizzato in maniera non sempre lineare dal sistema politico italiano)  insieme ai condizionamenti e alle forzate indicazioni comunitarie, ha portato ad un progressivo cambiamento della forma giuridica dell’impresa pubblica verso assetti più flessibili ed adeguati all’esercizio di attività imprenditoriali ed, in particolare, la trasformazione delle aziende autonome e degli enti di diritto pubblico in società di diritto privato con risultati disastrosi per l’economia nazionale, di cui si forniscono solo alcuni dati e spunti di riflessione.

In tale ottica le società pubbliche sono uno strumento utilizzato dalle amministrazioni, generalmente, per svolgere compiti istituzionali ad esse affidati per legge e allo scopo dichiarato di: perseguire una maggior efficienza economica nella gestione di servizi pubblici; realizzare opere attraverso l’utilizzo di strumenti privatistici; sostenere l’attività di impresa e l’occupazione.

 A fronte di tali scopi, senz’altro pregevoli, ciò a cui si è assistito è stato una crescita esponenziale di soggetti di natura privatistica, che difficilmente è avvenuta sulla base di idonei studi preliminari di convenienza economica e di analisi del mercato nel settore di riferimento. Al contrario, senza alcuna indagine preventiva di necessità e opportunità, si è assistito alla costituzione di società o comunque di figure soggettive alternative agli ordinari uffici ed organi dell’ente, per ogni compito amministrativo.

Nella medesima visione critica si inseriscono alcune considerazioni tratte da alcune relazioni di inaugurazione dell’anno giudiziario presso sedi regionali della Corte dei conti, dove si è rilevato come una delle più importanti anomalie del sistema delle società pubbliche il fatto che “lo strumento societario, che è previsto nel diritto civile come naturalmente preordinato a finalità di lucro, e che come tale risulta non sempre perfettamente aderente alle esigenze del sistema pubblicistico, comporta, laddove finanziato con capitale pubblico, l’ulteriore anomalia della non coincidenza della figura del socio finanziatore (i contribuenti) con quella del socio titolare dei diritti di partecipazione sociale (la pubblica amministrazione partecipante). In buona sostanza mentre nel caso del privato investitore la decisione di assumere il “rischio” di una partecipazione è diretta, nel caso delle partecipazioni pubbliche il contribuente finanziatore paga i tributi per avere servizi, scontando poi le conseguenze di decisioni di partecipazione societaria assunte, talvolta avventatamente, dai singoli enti”.

5. la motivazione delle determinazioni in materia.

A fronte delle considerazioni di inquadramento sin qui svolte, non appare del tutto casuale che in tema di generalità dell’in house, quale forma di libertà della p.a., possa sorgere qualche dubbio, anche in base alla motivazione rafforzata imposta dall’art. 192 del codice appalti.

Se la stretta attualità della norma si ricollega al duplice ordine di perplessità sollevate in sede applicativa (dinanzi alla Consulta dal Tar Liguria per un presunto eccesso di delega, dinanzi alla Cge dal Consiglio di Stato per la verifica della conformità alle direttive), la giurisprudenza si è trovata spesso ad affrontare il problema del sindacato giurisdizionale sulle relative determinazioni.

A titolo esemplificativo, si è ritenuto che il comma 2 dell’art. 192 cit. – sulle modalità procedimentali per l’affidamento in house — nella parte in cui impone alle stazioni appaltanti di effettuare una preventiva valutazione economica della congruità dell’offerta dei soggetti in house, non impone alcuna gara, neppure informale, fra operatori del mercato, quindi la valutazione delle congruità delle offerte dei soggetti in house prevista dal nuovo codice dei contratti pubblici non può essere confusa con una sorta di gara, alla quale l’ente affidante dovrebbe invitare le imprese del settore, fra le quali il gestore uscente del servizio [4].

In termini più generali, derivanti dal contesto consultivo – normativo coinvolto, il Consiglio di Stato, in sede di commissione speciale (cfr. parere 1 febbraio 2017 n. 282), in tema di linee guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 stesso, ha evidenziato come la domanda di iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori non costituisca un atto di iniziativa procedimentale diretto ad assegnare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore un «titolo» abilitativo necessario per procedere ad affidamenti diretti. Essa ha, piuttosto, una duplice rilevanza: da un lato, consente ex se di procedere all’affidamento senza gara, rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell’intermediazione di un’attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore; dall’altro, detta domanda innesca una fase di controllo dell’ANAC tesa a verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ai quali la normativa, comunitaria e nazionale, subordina la sottrazione alle regole della competizione e del mercato.

In tale ottica l’esclusione del carattere provvedimentale finisce con il limitare ovvero allontanare lo “spettro” del controllo giurisdizionale.

6 la motivazione rafforzata ed i dubbi di compatibilità, europea e costituzionale.

 

Peraltro, come già evidenziato, le pur frequenti questioni che la giurisprudenza si trova ad affrontare in sede applicativa della norma in questione, dovranno fare i conti con gli esiti del duplice canale aperto sulla legittimità e conformità dello stesso art. 192 comma 2.

Per un verso, il T.a.r. per la Liguria (ordinanza 15 novembre 2018, n. 886) ha reputato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2 cit. “nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, “delle ragioni del mancato ricorso al mercato”, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1, lettere a) ed eee) della legge di delegazione n. 11 del 2016 (recante deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014)”.

Il T.a.r. ha così motivato, in punto di non manifesta infondatezza: a) l’in house providing costituisce una specifica applicazione del principio di autorganizzazione o di libera amministrazione delle autorità pubbliche; b) deve quindi ritenersi ormai definitivamente acquisito – quantomeno in ambito europeo – il principio che l’in house providing non configura affatto un’ipotesi eccezionale e derogatoria di gestione dei servizi pubblici rispetto all’ordinario espletamento di una procedura di evidenza pubblica, ma costituisce una delle ordinarie forme organizzative di conferimento della titolarità del servizio, la cui individuazione in concreto è rimessa alle amministrazioni, sulla base di un mero giudizio di opportunità e convenienza economica; c) tale principio può anzi ritenersi operante anche nell’ordinamento interno, come riconosciuto da diversi arresti del Consiglio di Stato (vengono citate: Consiglio di Stato, sezione V, 15 marzo 2016, n. 1034, in Riv. giur. servizi pubbl., 2016, 489, con nota di SORRENTINO; Consiglio di Stato, sezione V, 18 luglio 2017, n. 3554, in Guida al dir., 2017, 34, 62, con nota di D. PONTE), dovendosi valorizzare il disposto dell’art. 34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito in legge n. 221 del 2012; d) tale norma, specificamente dettata per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, “non contiene alcun riferimento alle ragioni del mancato ricorso prioritario al mercato, che sono ultronee rispetto all’istituto dell’in house”, diversamente dall’art. 192, comma 2, del codice appalti, il quale, nell’imporre un onere motivazionale supplementare relativamente alle “ragioni del mancato ricorso al mercato”, finisce con l’eccedere rispetto ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella legge di delega n. 11 del 2016.

Per un altro verso la quinta sezione del Consiglio di Stato ha disposto un duplice rinvio alla Corte di giustizia.

Con una prima ordinanza [5] ha posto alla Corte di giustizia UE due quesiti interpretativi in tema di affidamento in house, chiedendo in particolare se il diritto europeo osti a una disciplina nazionale che colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto e impedisce, in talune circostanze, ad una pubblica amministrazione di acquisire una quota di partecipazione in un organismo pluripartecipato da altre amministrazioni.

Con una seconda ordinanza [6], la stessa sezione ha rimesso due analoghe questioni. Da un canto, se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento. Dall’altro canto, se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’art. 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate, approvato con d.lgs. n. 175 del 2016) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipate.

7 gli approfondimenti giurisprudenziali.

In attesa della risposta che verrà fornita dalle Corti superiori, con particolare attenzione ai profili sostanziali sollevati dinanzi al Giudice europeo, anche al fine di inquadrare le future indicazioni, sono stati ricostruiti i più recenti passaggi giurisprudenziali [7].

In sede di parere sullo schema di decreto legislativo recante “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 11 del 2016, il Consiglio di Stato, aveva osservato che l’onere di motivazione imposto da (quello che sarebbe diventato) l’art. 192, comma 2, secondo cui “Ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, costituisce “un onere motivazionale rafforzato, il quale consente un penetrante controllo della scelta effettuata dall’Amministrazione, anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche” (comm. spec., parere 1° aprile 2016, n. 464, le cui massime sono riportate in Foro amm., 2016, 824).

In  linea generale, la giurisprudenza amministrativa, in sede di delibazione della “motivazione” resa dalla stazione appaltante sul “mancato ricorso al mercato”, si mostra al momento piuttosto rigorosa: ancora di recente la stessa sezione V del Consiglio di Stato (sentenza 16 novembre 2018, n. 6456), pronunciandosi sulla legittimità di un affidamento diretto, in house, del servizio di gestione dei rifiuti per un gruppo di Comuni ricompresi in un’Assemblea territoriale d’ambito marchigiana (ATO 2 Ancona), ha ritenuto che tale onere motivazionale debba essere adempiuto mediante un “compiuto esame comparativo”, da parte dell’amministrazione, sui costi medi del servizio da affidarsi e sulle relative performances che, nel medesimo ambito territoriale, risultino già svolti sia da operatori privati sia da altre società ad integrale partecipazione pubblica, statuendosi per l’effetto che “è onere dell’autorità amministrativa affidante quello di rendere comunque comparabili i dati su cui il confronto viene svolto”, con necessaria allegazione di “dati di dettaglio” (nella fattispecie, posto che simili dati non erano stati forniti, si è quindi concluso nel senso di “un approfondimento insufficiente delle implicazioni derivanti dalla scelta del modello di gestione in house del servizio relativo ai rifiuti”, con conseguente annullamento, in parte qua, della delibera che aveva affidato il servizio in via diretta).

Analogamente il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha affermato che “L’opzione di fondo, secondo il Collegio, dovrebbe essere nel senso che, fermo restando specifiche prescrizioni imposte dal diritto europeo, la decisione di non esternalizzare l’attività deve essere rigorosamente motivata dimostrando che la scelta organizzativa interna si risolve in un maggiore vantaggio per i cittadini. La mancanza di una libera decisione da parte dell’amministrazione pubblica è maggiormente coerente con il principio generale di tutela della concorrenza…” (così il parere della Commissione speciale n. 968 del 21 aprile 2016, reso in sede di analisi dello schema di decreto legislativo recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, poi confluito nel d.lgs. n. 175 del 2016 il cui art. 5, comma 1, ha poi stabilito che “l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, […] deve essere analiticamente motivato […] evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato”). In altra occasione, ancora in sede consultiva, va ricordato che il Consiglio di Stato – nel rilasciare il parere sullo schema del regolamento di attuazione degli interventi di cui all’articolo 1, commi 648 e 649, della legge n. 208 del 2015 (si tratta dello schema poi confluito nei dd.mm. nn. 125 e 126 del 2017, in tema di contributi per il decongestionamento della rete viaria e del trasporto marittimo e per i servizi di trasporto ferroviario intermodale) – ha affermato che l’affidamento ad una società in house, in via diretta, di molteplici attività di gestione (per come previsto all’art. 4 dello schema) non era assistito da un’adeguata motivazione, ricordando che, “ai sensi della vincolante disciplina sovranazionale, l’affidamento diretto di attività remunerate, da parte di pubbliche amministrazioni in favore di soggetti privati in house, non può giustificarsi solo in forza di una valutazione giuridico-formale, ma deve anche essere sorretto dalla dimostrazione della ragionevolezza economica della scelta compiuta”, con espresso richiamo proprio alla norma di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 50 del 2016; così, in particolare, si legge nel parere: “Il Collegio dà per scontato che, anche nel caso di specie, tale valutazione di meritevolezza dell’affidamento alla RAM s.p.a. sia stata compiuta (giacché, diversamente, la scelta regolatoria sarebbe illegittima); sennonché, pure in questo caso, si deve purtroppo registrare un’assoluta laconicità sia della relazione tecnica sia di quella AIR (relazioni queste che, per i provvedimenti normativi, contengono, insieme all’ATN e alla relazione ministeriale, la “motivazione” degli intervento regolatori). Si impone, pertanto, la necessaria integrazione in parte qua della documentazione di supporto dello schema in esame” (Consiglio di Stato, sez. consultiva atti normativi, parere n. 774 del 29 marzo 2017, le cui massime si trovano in Foro amm., 2017, 610).

Alcune oscillazioni, circa la maggiore o minore intensità dell’onere di motivazione ai sensi dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, si rinvengono nella giurisprudenza di primo grado: a titolo esemplificativo, il  T.a.r. per la Lombardia, sezione III, sentenza 3 ottobre 2016, n. 1781 (in Foro amm., 2016, 2453), ha annullato un affidamento in house (si trattava dell’affidamento del servizio idrico integrato per la Provincia di Varese) proprio per la “laconicità” della motivazione spesa dall’amministrazione: si è rilevato che la relazione all’uopo predisposta (ossia, la relazione predisposta ai sensi dell’art. 34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito in legge n. 221 del 2012, atto prodromico all’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica) “non contiene alcuna valutazione di tipo concreto, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sui profili della convenienza, anche non solo economica, della gestione prescelta, limitandosi ad apodittici riferimenti alla gestione in house che, come tali, sono da ritenersi privi di quel livello di concreta pregnanza richiesto per soddisfare l’onere di motivazione aggravato e di istruttoria ai sensi del combinato disposto degli art. 3 l. n. 241 del 1990 e 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179. In altri termini nella relazione si dà per presupposta e scontata la scelta circa la forma di gestione del servizio senza che ne vengano illustrate le ragioni e gli elementi concreti su cui si fonda”, giungendosi pertanto alla conclusione che “la scelta e il conseguente affidamento diretto fondati su determinazioni che non forniscono alcuna ragione dell’opzione esercitata a monte, sono da ritenersi di per sé illegittimi…”).

A fini di delimitazione, può richiamarsi, con riferimento ad una commessa relativa all’affidamento del servizio di igiene urbana, T.a.r. per la Sardegna, sezione I, sentenza 4 maggio 2018, n. 405 (in Foro amm., 2018, 923), ha ritenuto che, in simile fattispecie, non sarebbe in radice applicabile l’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, con conseguente non necessità della motivazione in caso di affidamento in house, “ove si tenga conto del fatto che il servizio di igiene urbana non è riconducibile alla categoria dei servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza; e ciò per la semplice ragione che l’art. 198 del d.lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale) riserva ai comuni «in regime di privativa» la «gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento», sottraendolo, pertanto, al mercato concorrenziale”.

A titolo esemplificativo di un caso in cui il giudice amministrativo ha ritenuto “esaurientemente e convincentemente motivata, tanto nei suoi profili in fatto quanto in quelli in diritto”, la delibera con cui un’Azienda sanitaria aveva affidato il servizio di pulizia e sanificazione in favore di una propria società in house, può richiamarsi il T.a.r. per la Puglia – Lecce, sezione II, sentenza 5 marzo 2018, n. 383.

In termini più generali, sempre nella giurisprudenza di prime cure, si è chiarito, sempre in occasione della applicazione dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, che detta norma, nell’onerare le stazioni appaltanti di effettuare una preventiva valutazione economica della congruità dell’offerta dei soggetti in house, tuttavia non impone alcuna gara, neppure informale, fra operatori del mercato: pertanto la valutazione delle congruità delle offerte dei soggetti in house prevista dal nuovo codice dei contratti pubblici non può essere confusa con una sorta di gara, alla quale l’ente affidante dovrebbe invitare le imprese del settore, fra le quali il gestore uscente del servizio (così T.a.r. per la Lombardia, sezione IV, 22 marzo 2017, n. 694, in Foro amm., 2017, 697).

Inoltre, sui relativi limiti del sindacato del giudice amministrativo è stato altresì ritenuto (T.a.r. per l’Abruzzo – Pescara, sentenza 29 gennaio 2018, n. 35) che “la scelta, espressa da un ente locale, nella specie da un Comune, nel senso di rendere un dato servizio alla cittadinanza con una certa modalità organizzativa piuttosto di un’altra, ovvero in questo caso di ricorrere allo in house e non esternalizzare, è ampiamente discrezionale, e quindi, secondo giurisprudenza assolutamente costante e pacifica, è sindacabile nella presente sede giurisdizionale nei soli casi di illogicità manifesta ovvero di altrettanto manifesto travisamento dei fatti”.

A fini di inquadramento della posizione che ha poi portato il Consiglio di Stato a sollevare le indicate questioni, va evidenziato come da tempo sia stata chiarita la “non eccezionalità” del ricorso al modello dell’in house (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 24 ottobre 2017, n. 4902), che a propria volta ha ribadito la più recente giurisprudenza ricordando come,  stante l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, e la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito in legge n. 148 del 2011, sia “venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; mentre, con l’art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 197, sono venute meno le ulteriori limitazioni all’affidamento in house, contenute nell’art. 4, comma 8 del predetto d.l. n. 238 del 2011” [8].

La stessa sezione V (sentenza 22 gennaio 2015, n. 257, in Foro amm., 2015, 76,) ha non solo ribadito la natura ordinaria e non eccezionale dell’affidamento in house, ricorrendone i presupposti, ma ha pure rilevato come la relativa decisione dell’amministrazione, ove motivata, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salva l’ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta, richiamando altresì (sentenza 18 luglio 2017, n. 3554), in senso rafforzativo, la chiara dizione del quinto “considerando” della direttiva n. 2014/24/UE, laddove si ricorda che “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”.

In dottrina sono emerse diverse voci [9], sia per quanto riguarda la coerenza coi criteri di delega [10], sia nel senso che la norma del codice costituirebbe una violazione del c.d. divieto di gold plating, in quanto l’onere di motivazione circa la scelta dell’in house determina un livello di regolazione maggiore o più incisivo rispetto a quelli contenuti nelle disposizioni della direttiva n. 2014/24/UE [11].

In ordine alla questione di rilievo maggiormente formale, sollevata con riferimento al presunto eccesso di delega, in linea generale, sulla possibile estensione della delega legislativa, e sui limiti di esercizio della delega da parte del Governo, ai sensi dell’art. 76 Cost., l’Ufficio studi ha segnalato la sentenza n. 104 del 2017 della Corte costituzionale [12], in cui si è affermato che “il legislatore delegante, nel conferire al Governo l’esercizio di una porzione di funzione legislativa, è tenuto a circoscriverne adeguatamente l’ambito, predeterminandone i limiti di oggetto e di contenuto, oltre che di tempo. Di conseguenza la legge delega non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato, ma può essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità al Governo, sì da poter agevolmente svolgere la propria attività di ‘riempimento’ normativo”. Più in generale, preme qui ricordare che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la verifica di costituzionalità per eccesso di delega legislativa deve compiersi sulla base di “un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno, relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, da svolgere tenendo conto del complessivo contesto in cui esse si collocano ed individuando le ragioni e le finalità poste a fondamento della stessa; l’altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega”: al riguardo, al legislatore delegato spettano margini di discrezionalità nell’attuazione della delega, sempre che ne sia rispettata la ratio e che l’attività del delegato si inserisca in modo coerente nel complessivo quadro normativo di riferimento, dovendosi escludere che l’art. 76 Cost. riduca la funzione del legislatore delegato ad una mera “scansione linguistica” delle previsioni stabilite dal legislatore delegante, e fermo comunque restando che l’ambito della discrezionalità lasciata al delegato muta a seconda della specificità dei criteri fissati nella legge delega [13].

8 le diverse questioni legate al modello dell’in house.

Tornando all’inquadramento della figura in esame, alcune perplessità circa la qualifica dell’in house in termini di vera e propria autoproduzione sono emerse in relazione alla acquisita fallibilità.

Sul punto, se per un verso assume rilievo dirimente il tenore dell’art. 14 del d.lgs 1752016 cit. , nella stessa giurisprudenza di merito erano emersi elementi e considerazioni in proposito [14]. Sul punto meritano di essere richiamate le parole spese in sede consultiva (Consiglio di Stato comm. spec., 14/03/2017, n. 638) in tema di parere sullo di schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 175 cit.: “la possibilità di fallire, prevista in modo sufficientemente chiaro dall’art. 14, deve essere coordinata con la disciplina dell’art. 21, comma 1, che impone alle pubbliche amministrazioni locali partecipanti di accantonare nel bilancio un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Da ciò deriva che, nel caso di società interamente partecipate dall’ente locale, qualora quest’ultimo non intenda dismettere la partecipazione o porre in liquidazione la società, sarà obbligato a ripianare le perdite, eventualità quest’ultima che negherebbe in radice la possibilità per le società in house di fallire. È, pertanto, necessario chiarire che dall’obbligo di accantonamento di cui al comma 1 dell’art 21, non deriva un obbligo di ripiano, potendo le pubbliche amministrazioni locali partecipanti decidere di non ripianare il bilancio delle società in house, in considerazione della sperimentata necessità di rivolgersi al mercato”.

Analoghi elementi, in specie rispetto ai limiti dell’istituto, possono trarsi dalla presa di posizione delle Sezioni unite della Cassazione, che hanno escluso le finalità ideali, in tema di fondazioni: “e fondazioni di diritto privato non rientrano tra i soggetti in house , in quanto enti caratterizzati dall’assenza di finalità di lucro. Infatti, la figura dell’affidamento in house trova la sua precipua collocazione nell’ambito di attività economiche svolte sul mercato con criteri imprenditoriali e secondo logiche concorrenziali [15].

Per certi versi sulla stessa lunghezza d’onda si è mossa una parte della giurisprudenza amministrativa [16], secondo cui, qualora l’aggiudicatario di un appalto pubblico sia un’associazione di pubblica utilità senza scopo di lucro che, al momento dell’affidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attività senza scopo di lucro, la condizione relativa al «controllo analogo», dettata dalla giurisprudenza della corte affinché l’affidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come un’operazione in house non è soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, è applicabile.

Alcuni dubbi sono stati altresì sollevati in merito alla parziale e possibile esclusione dalla trasparenza. In sede consultiva [17], nel parere sullo schema di Linee guida aventi ad oggetto « Aggiornamento delle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici », per quanto concerne le società quotate in borsa, si è evidenziato come lo stesso schema, dopo averle escluse dal secondo ambito di applicazione del d.lg. 33/2013, le ricomprende nel terzo ambito, al pari dei soggetti espressamente considerati al comma 3 dell’art. 2-bis del d.lg. 33/2013. Al riguardo, la scelta di esonerare le società quotate dagli obblighi di trasparenza, se da un lato potrebbe essere giustificata dall’esigenza di contemperare gli interessi pubblici sottesi alla normativa anticorruzione e trasparenza con la tutela degli investitori e dei mercati finanziari, dall’altro non sarebbe giustificata se si considera la ratio dell’esonero. In materia, è stata fatta anche una segnalazione al Parlamento ed al Governo, sulla incongruità dell’esenzione dal regime del secondo ambito (oltre che per le società quotate in borsa, anche) per le società che emettono strumenti finanziari in mercati regolati — l’esenzione vigente, infatti, comprende quest’ultime, in ragione del rinvio all’accezione ampia di « società quotata » contenuta all’art. 18 del d.lg. 175/2016. L’opzione prescelta dalle linee guida richiede dunque, secondo il parere, quanto meno una motivazione più approfondita.

Proseguendo nella rapida carrellata esemplificativa, non potevano mancare diverse questioni sul riparto di giurisdizione.

Sul versante della giurisdizione civile, in tema di società in house si è statuito che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le azioni civili in caso di responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate; si configura, invece, la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato da amministratori e dipendenti delle società in house. A ribadire la regola di riparto di giurisdizione sono le Sezioni unite, che ricordano come a decidere sia il giudice ordinario, salvo l’ipotesi di concorso con la giurisdizione contabile, tutte le volte in cui emerge un danno erariale [18].

Analogamente, è stato affermato che il reclutamento del personale delle società in house, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 112 del 2008 , conv. con modif. in l. n. 133 del 2008 , nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009 , avviene secondo i criteri stabiliti dall’ art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 , che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, sicché la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, impedisce la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato [19].

A fini di certezza delle regole di ingaggio, la giurisprudenza anche amministrativa ha cerca di mettere qualche paletto, in specie in tema di rito processuale applicabile, come laddove si è ritenuto che anche le impugnazioni di affidamenti in house di contratti pubblici di lavori servizi e forniture siano soggetti al rito appalti [20].

9 l’importanza della giurisprudenza europea.

Come già evidenziato, il modello attuale di ordinamento europeo comporta una primaria rilevanza, anche in materia, dei principi dettato dalla giurisprudenza sovranazionale.

In tale contesto la giurisprudenza nazionale, anche laddove opti per la strada del sindacato debole, finisce spesso con l’invocare l’intervento della CGE [21]. Nella stessa ottica anche il Consiglio di Stato, quale Giudice di ultima istanza, sempre più di frequente chiede l’intervento definitivo della stessa Corte, come ad esempio in ordine ad una questione interpretativa concernente l’affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico locale, nelle ipotesi c.d. de minimis di cui all’art. 5, par. n. 4, del Regolamento CE 23 ottobre 2017, n. 1370 [22].

Dal canto suo la Corte cerca di dare il proprio apporto, dopo gli anni di delimitazione dell’istituto, fornendo ad esempio ulteriori chiarimenti circa il requisito della c.d. attività prevalente necessario per individuare un legittimo affidamento in house con la sentenza [23] resa in decisione di una questione rimessa dal Consiglio di Stato (ordinanza sez. V, 20 ottobre 2015 n. 4973).

Tale pronuncia è apparsa particolarmente rilevante per l’ordinamento nazionale, in via formale, a fronte della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità [24], per vizi del procedimento di approvazione della l. n. 124 del 2015 (c.d. legge delega Madia), attuata, nella parte di interesse (disciplina della società pubbliche e, in particolare, dell’in house), dagli artt. 2, co.1, lett. o), e 16, d.lgs. n. 175 del 2016.

In termini sostanziali, peraltro, l’interesse deriva dal fatto di trovarsi a cavallo fra vecchia e nuova disciplina, cosicchè la Corte, pur trovandosi ad applicare i propri precedenti principi, ha modo di procedere ad una prima verifica di confronto rispetto alle novità normative. Ciò appare di particolare interesse in quanto anche la CGE si trova ad affrontare quello che costituisce problematica costante per i giudici nazionali.

In particolare, la fattispecie concreta rimessa alla Corte UE nasceva dall’impugnativa, da parte di un’impresa di settore, di una delibera comunale che, ritenendo sussistenti i presupposti per l’affidamento in house ad una società a partecipazione pubblica, assegnava alla stessa un appalto del servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani. L’ordinanza di rimessione dopo aver svolto un esame ricostruttivo del panorama normativo italiano e della giurisprudenza europea in tema di in house, al fine di risolvere la controversia sottoponeva alla Cge i due seguenti quesiti: “se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci”; “se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo”.

La Corte europea, nel formulare i principi formulati riassunti nelle due massime, riportate in nota, ha preso e le mosse dall’individuazione dell’obiettivo della disciplina in tema di in house.

In proposito ha ribadito che il requisito soggettivo – ovvero che il soggetto cui attribuire l’affidamento diretto svolga l’attività prevalente con l’ente o con gli enti locali che lo controllano – è finalizzato a garantire che la direttiva 2004/18 trovi applicazione anche nel caso in cui un’impresa controllata da uno o più enti sia attiva sul mercato e possa pertanto entrare in concorrenza con altre imprese.

Da ciò ne consegue, secondo la Corte, una serie di corollari.

In primo luogo, un’impresa non sia necessariamente privata della libertà di azione per il mero fatto che le decisioni che la riguardano siano prese dall’ente o dagli enti locali che la controllano, se essa può svolgere ancora una parte importante della sua attività economica presso altri operatori; per contro, qualora le prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate in via esclusiva all’ente o agli enti locali in questione, appare giustificato che l’impresa di cui trattasi sia sottratta agli obblighi della direttiva 2004/18, i quali sono dettati dall’intento di tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più ragion d’essere.

In secondo luogo, qualsiasi attività dell’ente affidatario che sia rivolta a persone diverse da quelle che lo controllano (anche se pp.aa.), deve essere considerata come svolta a favore di terzi.

In terzo luogo, al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non soci di detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo; tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi.

Infine, per valutare il requisito dello svolgimento dell’attività prevalente, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative [25].

Nell’ambito di una vasta casistica, nazionale e comunitario, sull’in house sono diverse le pronunce rese negli ultimi anni dalla Corte del Lussemburgo, oltre a quelle più note e richiamate da tutti gli approfondimenti in materia.

A titolo esemplificativo la sentenza Sez. V, 19 giugno 2014, C-574/12, Centro Hospitalar [26], secondo cui “qualora l’aggiudicatario di un appalto pubblico sia un’associazione di pubblica utilità senza scopo di lucro che, al momento dell’affidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attività senza scopo di lucro, la condizione relativa al «controllo analogo», dettata dalla giurisprudenza della corte affinché l’affidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come un’operazione in house non è soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, è applicabile.

Sempre la Sez. V, con la sentenza 8 maggio C-15713, Technische [27], che si è soffermata sulla disciplina del c.d. in house orizzontale, stabilendo che “l’art. 1, par. 2, lett. a), direttiva 2004/18/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente ad oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato, un’università che è un’amministrazione aggiudicatrice ed è controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi da uno stato federale tedesco e, dall’altro, un’impresa di diritto privato detenuta dallo stato federale e dagli sati federali tedeschi, compreso detto stato federale, costituisce un appalto pubblico ai sensi della medesima disposizione e, pertanto, deve essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici previste da detta direttiva”.

Non perde di attualità l’interesse per la nota sentenza della Sez. III, 29 novembre 2012, C-182/ e C-183/11, Soc. Econord [28], che ha delineato in modo puntuale le caratteristiche del controllo analogo, chiarendo che tale condizione sussiste quando l’affidatario è assoggettato al controllo effettivo, strutturale e funzionale, dell’amministrazione aggiudicatrice, la quale deve essere in grado di influenzarne in maniera determinante sia gli obiettivi strategici, sia le decisioni maggiormente rilevanti; si è anche puntualizzato che, nell’eventualità in cui l’aggiudicatario sia un ente posseduto in comune da più autorità pubbliche, il controllo analogo può essere esercitato anche congiuntamente.

10 considerazioni prospettiche.

In tema di in house sarebbe illusorio svolgere qualsiasi considerazione conclusiva. Oltre ad una prassi sempre più complessa, la stessa evoluzione normativa impone di mantenere alta l’attenzione sull’evoluzione dell’istituto e sulla stessa attualità del modello.

In tale contesto, se per un verso le indicazioni che verranno all’esito dei più recenti rinvii alle Corti superiori assumeranno valore decisivo nel prosieguo dell’analisi dell’in house, per un altro verso le stesse rimessioni da ultimo intervenute costituiscono uno dei tanti aspetti ancora aperti.

Oltre al tema dell’estensione della motivazione in ordine alla scelta dell’affidamento diretto e del relativo sindacato, ciò che impegnerà ancora per molto tempo gli operatori del diritto non potrà che essere la verifica nel caso di specie della sussistenza o meno dei necessari presupposti, fra i quali l’elasticità del controllo analogo, specie in caso di controllo frammentato o congiunto, resta il più complesso, al fine di evitare che un presunto controllo analogo a quello tenuto sugli uffici pubblici nasconda un affidamento diretto in violazione dei principi dell’evidenza pubblica. In tale ottica la giurisprudenza, in casi analoghi di nell’in house pluripartecipato, ha evidenziato la necessità che anche le amministrazioni pubbliche, in possesso di partecipazioni di minoranza, debbano poter esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative  dell’organismo controllato; c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

Un eccessivo allargamento delle maglie rischierebbe di far rientrare dalla finestra ciò che, ragionevolmente, è stato fatto uscire dalla porta: il mito dell’esternalizzazione ad ogni costo.

D’altronde la delicatezza del concetto stesso di controllo è nota, anche oltre il diritto amministrativo dove invero negli ultimi lustri è parso un po’ affievolirsi, sotto costanti attacchi ordinamentali e non. A mero titolo esemplificativo, l’importanza del controllo è stata ricordata anche, seppur in termini critici, da alcune frasi celebri di “campioni” del rispettivo settore, come Jim Morrison (“chiunque controlla i media controlla le menti”) e Mario Andretti (“se tutto è sotto controllo stai andando troppo piano”). Invero, forse più coerente ai principi di fondo di un ordinamento moderno sarebbe la citazione, seppure profondamente amara e di sapore prettamente critico, di un premio nobel (Dario Fo): “Non dobbiamo permettere ai politici di agire senza controllo”.

Davide Ponte – Consigliere di Stato

28 gennaio 2019

 


[1] D.Lgs. 18/04/2016, n. 50

Codice dei contratti pubblici.

Pubblicato nella Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O.

Art. 5 Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico

In vigore dal 20 maggio 2017

1. Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata (19).

2. Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore.

3. Il presente codice non si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

4. Un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore può aggiudicare un appalto pubblico o una concessione senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche in caso di controllo congiunto.

5. Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;

b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

6. Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;

b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;

c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

7. Per determinare la percentuale delle attività di cui al comma 1, lettera b), e al comma 6, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione.

8. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile.

9. Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica o per l’organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica.

(19) Lettera così modificata dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56.

 

Art. 192 Regime speciale degli affidamenti in house

In vigore dal 20 maggio 2017

1. E’ istituito presso l’ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house di cui all’articolo 5. L’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto. L’Autorità per la raccolta delle informazioni e la verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all’ente strumentale. Resta fermo l’obbligo di pubblicazione degli atti connessi all’affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3. (469) (470)

2. Ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

3. Sul profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente sono pubblicati e aggiornati, in conformità, alle, disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in formato open-data, tutti gli atti connessi all’affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti nell’ambito del settore pubblico, ove non secretati ai sensi dell’articolo 162.

 

D.Lgs. 19/08/2016, n. 175

Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.

Pubblicato nella Gazz. Uff. 8 settembre 2016, n. 210.

Art. 2. Definizioni

In vigore dal 27 giugno 2017

1. Ai fini del presente decreto si intendono per:

c) «controllo analogo»: la situazione in cui l’amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante;

d) «controllo analogo congiunto»: la situazione in cui l’amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La suddetta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

o) «società in house»: le società sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all’articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell’attività prevalente di cui all’articolo 16, comma 3; (6)

(6) Lettera così modificata dall’art. 4, comma 1, lett. c), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, a decorrere dal 27 giugno 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 100/2017.

 

Art. 4. Finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche

In vigore dal 1 gennaio 2018

1. Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.

2. Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:

a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all’articolo 17, commi 1 e 2;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.

3. Al solo fine di ottimizzare e valorizzare l’utilizzo di beni immobili facenti parte del proprio patrimonio, le amministrazioni pubbliche possono, altresì, anche in deroga al comma 1, acquisire partecipazioni in società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato.

4. Le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 16, tali società operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti.

 

Articolo 11

15. Agli organi di amministrazione e controllo delle società in house si applica il decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444.

 

Art. 16. Società in house

In vigore dal 27 giugno 2017

1. Le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata.

2. Ai fini della realizzazione dell’assetto organizzativo di cui al comma 1:

a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile;

b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, terzo comma, del codice civile;

c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile.

3. Gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci. (27)

3-bis. La produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società. (28)

4. Il mancato rispetto del limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile e dell’articolo 15 del presente decreto.

5. Nel caso di cui al comma 4, la società può sanare l’irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest’ultimo caso le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata. (29)

6. Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all’articolo 4. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo.

7. Le società di cui al presente articolo sono tenute all’acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 5 e 192 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016. (30)

(27) Comma così modificato dall’art. 10, comma 1, lett. a), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, a decorrere dal 27 giugno 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 100/2017.

(28) Comma inserito dall’art. 10, comma 1, lett. b), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, a decorrere dal 27 giugno 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 100/2017.

(29) Comma così modificato dall’art. 10, comma 1, lett. c), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, a decorrere dal 27 giugno 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 100/2017.

(30) Comma così modificato dall’art. 10, comma 1, lett. d), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100, a decorrere dal 27 giugno 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 100/2017.

[2] Corte Costituzionale , 25/11/2016 , n. 251, in Foro it. 2017, 2, I , 451 con note di D’AURIA e AMOROSO: “ È costituzionalmente illegittimo l’art. 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), l. 7 agosto 2015, n. 124, nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata. Le disposizioni impugnate stabiliscono una serie di principi e criteri direttivi relativi alla delega al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d’interesse economico generale, la cui attuazione è demandata a decreti legislativi del Governo da adottarsi previo parere in Conferenza unificata”.

[3] C. Volpe, Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’In House Providing: problemi vecchi e nuovi, 2015, in www.giustizia-amministrativa.it. Dottrina.

[4] Cfr. ad es. T.A.R. Milano sez. IV  22 marzo 2017 n. 694.

[5] Ord.za 7 gennaio 2019, n. 138, cfr. news us in www.giustizia-amministrativa.it, ai cui approfondimenti si rinvia.

[6] 14 gennaio 2019, n. 293, su cui cfr. news us in www.giustizia-amministrativa.it, ai cui approfondimenti si rinvia.

[7] Cfr. News ufficio studi 29 novembre 2018, in www.giustizia-amministrativa.it.

[8] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762, in Dir. giur. agr. ambiente, 2013, 328, con nota di PIEROBON.

[9] In generale, a fini di corretta ricostruzione, N. Durante, 30 settembre 2016 in studi e contributi www.giustizia-amministrativa.it; G. VELTRI, Il nuovo codice dei contratti pubblici – L’in house nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2016, 436.

[10] . DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici, Bologna, 2017, 266 ss.

[11] F.E. RIZZI, La società in house: dalla natura giuridica al riparto di giurisdizione, in Società, 2018, 71 ss.

[12] in Foro it., 2017, I, 2540, con nota di G. PASCUZZI, Il fascino discreto degli indicatori: quale impatto sull’università?, ed in Giur. cost., 2017, 1063, con note di G. SERGES, Delegazione legislativa, legislazione regionale e ruolo del potere regolamentare, e di G. TARLI BARBIERI, L’“erompere” dell’attività normativa del governo alla luce della sent. n. 104 del 2017: conferme e novità da un’importante pronuncia della corte costituzionale, nonché oggetto della News US in data 16 maggio 2017, in www.giustizia-amministrativa.it.

[13] così, da ultimo, Corte cost., sentenza n. 10 del 2018, in Foro it., 2018, I, 1119, ed in Giur. cost., 2018, 137, con nota di G. TARLI BARBIERI, Storia di una delega “inutile”? Lo “strano caso” deciso dalla sent. n. 10/2018 della Corte costituzionale, nonché oggetto della News US in data 31 gennaio 2018.

[14] Corte appello Napoli, 27 ottobre 2015, sez. feriale, in Giurisprudenza Commerciale, fasc.1, 2017, pag. 130 con nota di Petitti, Le società in house falliscono per il Testo Unico.

[15] Cassazione civile sez. un.  02 febbraio 2018 n. 2584.

[16] Consiglio di Stato Sez. V, 19 giugno 2014, C-574/12, Centro Hospitalar, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2014, 1373, con nota di FERRARI

[17] cfr. ad es. Consiglio di Stato comm. spec., 29 maggio 2017, n. 1257.

[18] Cassazione civile sez. un.  13 settembre 2018 n. 22406.

[19] Cassazione civile sez. lav.  29 agosto 2018 n. 21378.

[20] Consiglio di Stato, sez. V 29 maggio 2017, n.2533.

[21] T.A.R. Latina (Lazio) sez. I  14 maggio 2018 n. 255   

In materia di servizio di trasporto pubblico locale, vanno rimessi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea i seguenti quattro quesiti interpretativi: 1) se l’ articolo 5, par. 2 del regolamento CE n. 1370/2007 (in particolar modo per quanto concerne il divieto — di cui alle lettere «¿b¿» e «¿d¿» — per un operatore interno, di partecipare a gare extra moenia), debba o meno trovare applicazione anche agli affidamenti aggiudicati in epoca precedente all’entrata in vigore del medesimo regolamento; 2) se sia astrattamente riconducibile alla qualifica di ‘operatore interno’ — ai sensi del medesimo regolamento ed in eventuale analogia di ratio con la giurisprudenza formatasi sull’istituto dell’in house providing — una persona giuridica di diritto pubblico titolare di affidamento diretto del servizio di trasporto locale ad opera dell’Autorità statale, laddove la prima sia direttamente collegata alla seconda sotto il profilo organizzativo e di controllo ed il cui capitale sociale sia detenuto dallo Stato medesimo (integralmente o pro quota, in tal caso unitamente ad altri enti pubblici); 3) se sia o meno una circostanza idonea a sottrarre l’affidamento diretto di servizi ricadenti nell’ambito di disciplina del regolamento (CE) n. 1370/2007 il fatto che, successivamente all’affidamento, l’Autorità statale istituisca un ente pubblico amministrativo dotato di poteri organizzativi sui servizi in questione ma non esercitante alcun «¿controllo analogo¿» sull’affidatario diretto dei servizi (rimanendo peraltro in capo allo Stato l’esclusivo potere di disporre del titolo concessorio); 4) se l’originaria scadenza di un affidamento diretto oltre il termine trentennale del 3 dicembre 2039 (termine decorrente dalla data di entrata in vigore del regolamento CE 1370/2007 ) comporti comunque la non conformità dell’affidamento ai principi di cui al combinato disposto degli articoli 5 ed 8, par. 3 del medesimo regolamento, ovvero se detta irregolarità debba considerarsi automaticamente sanata, ad ogni fine giuridico, per implicita riduzione ex lege (articolo 8, par. 3 cpv) a tale termine trentennale

[22] Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 16 luglio 2018, n. 4303: Va rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione se l’art. 5, comma 4, del Regolamento (CE) 23/10/2007 n. 1370/2007 deve essere interpretato nel senso che ricorre nella legislazione nazionale il divieto all’affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico locale, preclusivo dell’affidamento diretto anche nei casi in cui sarebbe consentito dalla normativa euro-unitaria, quando è posta la regola generale della gara pubblica per l’affidamento del predetto servizio ovvero soltanto nel caso di divieto specifico di affidamento diretto anche in relazione alle ipotesi in cui è consentito dalla normativa euro-unitaria.

Con l’ordinanza in rassegna il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di giustizia UE di chiarire la nozione di “divieto posto dalla legislazione nazionale” contemplato dall’art. 5, par. n. 4, del Regolamento (CE) n. 1370 del 2007 per consentire agli Stati membri di prevedere l’obbligo della gara anche nelle ipotesi di affidamenti sotto soglia (c.d. ipotesi de minimis). Come è noto, in materia di servizio di trasporto pubblico locale, la normativa euro-unitaria consente – in alcuni casi specificamente individuati in base alle soglie di rilevanza dell’appalto (c.d. de minimis) – di derogare alla regola dell’affidamento con gara, ammettendo la facoltà dell’autorità amministrativa di aggiudicare il contratto in via diretta: ciò, tuttavia, “A meno che non sia vietato dalla legislazione nazionale” (così l’incipit del par. n. 4 dell’art. 5 cit.). Secondo il Consiglio di Stato, questa disposizione non chiarisce se il divieto di affidamento diretto, che discenda da una previsione nazionale, debba essere esplicito (debba, cioè, risultare da una specifica ed espressa clausola di divieto contenuta nella legge nazionale) oppure possa essere anche desunto, implicitamente, dalla circostanza che la legge nazionale, pur senza imporre a chiare lettere un simile divieto, si limiti a stabilire la regola generale della gara pubblica per l’affidamento del servizio.

[23] Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. IV, 8 dicembre 2016, C-553/15, Undis: In materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici, detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice e segnatamente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non soci di detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo; tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi. In materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici, detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che esercitino su di esso, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui loro stessi servizi, occorre tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, all’occorrenza, l’attività che il medesimo ente affidatario abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo tale controllo congiunto.

[24] cfr. Corte cost. n. 251 del 2016 oggetto della News US del 1 dicembre 2016, in www.giustizia-amministrativa.it ai cui approfondimenti si rinvia.

[25] Per una interessante e completa analisi, sia della sentenza che dell’evoluzione della giurisprudenza, v. A.Giusti,

I requisiti dell’in house fra principi giurisprudenziali e nuove regole codificate, in Giurisprudenza italiana, 2017, n. 2, UTET, p. 439.

[26] in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2014, 1373, con nota di FERRARI.

[27] in Foro it., 2015, IV, 40, con nota M. CASORIA, ivi ogni ulteriore riferimento di dottrina e giurisprudenza anche relativo alla nuove direttive del 2014

[28] in Urbanistica e appalti, 2013, 307, con nota di F. LEGGIADRO.

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