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Il decreto Sicurezza del 2018 (dl 113/2018 convertito con la legge 132/2018) modifica la legge 46/2017 nella parte in cui aveva stabilito che gli stranieri  richiedenti protezione internazionale ospitati nei centri di prima accoglienza o nelle strutture dello SPRAR potessero essere iscritti nell’anagrafe ai sensi dell’art. 5 del dpr n. 223/1989, ove non già iscritti personalmente.  In pratica, la legge del 2017 aveva equiparato CAS e SPRAR a convivenza anagrafica ( come ospedali, case di cura o assistenza, caserme), con la conseguenza che il responsabile di ogni centro aveva l’obbligo di comunicare all’ufficio anagrafe gli stranieri ospitati ai fini della registrazione nei registri anagrafici e, correlativamente, l’obbligo di comunicarne l’allontanamento ai fini della immediata cancellazione. Tutto ciò, se lo straniero non fosse già iscritto individualmente nell’anagrafe. Con l’art. 13 del dl 113/2018 è stata abrogata questa disposizione. 

Non risulta, però, cancellato il diritto dello straniero richiedente protezione di iscriversi personalmente all’anagrafe.  Si evidenzia, infatti, che  in base al vigente art. 6 comma 7 del d.lgs 286/1998 “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalita’ previste dal regolamento di attuazione”.  

La questione si è posta in merito alla disposizione introdotta sempre dall’art. 13 del d.l. 113/2018 in base alla quale il permesso di soggiorno rilasciato allo straniero richiedente protezione  “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi dell’art. 6, comma 7 del decreto legislativo 286 del 1998”. 

Qual’e’ la portata applicativa di tale disposizione? È davvero vietata l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti protezione? 

Intanto, esiste un dato normativo inoppugnabile che continua ad affermare il diritto degli stranieri regolarmente soggiornanti all’iscrizione nell’anagrafe alle medesime condizioni dei cittadini italiani. Non basta più essere semplicemente in possesso di un permesso di soggiorno per ottenere l’iscrizione anagrafica; ma il secondo periodo del comma 7 dell’art. 6 del dlgs 286/1998 dispone che “in ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalita’ da piu’ di tre mesi presso un centro di accoglienza”.   Sembrerebbe, dunque, che l’iscrizione anagrafica dello straniero non ancora regolarmente soggiornante non possa più essere ottenuta in base al mero possesso del permesso di soggiorno; ma, sulla base dell’orientamento espresso dalla Cassazione nella celeberrima sentenza 14.3.1986, n. 1738 non può negarsi che trascorsi 3 mesi dall’inizio dell’ospitalità in uno dei centri di accoglienza lo straniero in attesa di protezione possa richiedere l’iscrizione anagrafica essendo per legge verificato il requisito della dimora abituale.

Il problema, dunque, si porrebbe esclusivamente per il periodo iniziale della permanenza del richiedente protezione nei centri di accoglienza e, comunque, fino alla conclusione del procedimento con cui lo Stato italiano si pronuncia sulla domanda di protezione, accolta la quale lo straniero è’ equiparato ai fini dell’iscrizione anagrafica ad un cittadino italiano. Va, tuttavia, osservato che la lett. b) del comma 1 dell’art.13 del decreto 113/2018 afferma che l’accesso ai servizi garantiti dalle legge vigenti agli stranieri presenti sul territorio e’ garantito nel luogo del domicilio. Quindi, il decreto sicurezza garantisce l’accesso ai servizi già previsti a favore degli stranieri pur nel periodo in cui gli stessi non possono essere iscritti nei registri anagrafici; a tal fine si fa riferimento al domicilio. 

Vale la pena di rilevare che il sempre vigente art. 35 del dlgs 286/1998 dispone testualmente: 

“3. Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche’ continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in particolare, garantiti: 

a) la tutela sociale della gravidanza e della maternita’, a parita’ di trattamento con le cittadine italiane, ai sensi delle leggi 29 luglio 1975, n. 405, e 22 maggio 1978, n. 194, e del decreto del Ministro della sanita’ 6 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87 del 13 aprile 1995, a parita’ di trattamento con i cittadini italiani; 

b) la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176; 

c) le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni; 

d) gli interventi di profilassi internazionale; 

e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai. 

4. Le prestazioni di cui al comma 3 sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parita’ con i cittadini italiani. 

5. L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non puo’ comportare alcun tipo di segnalazione all’autorita’, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parita’ di condizioni con il cittadino italiano.”  Allo stesso modo, l’art. 6 comma 2 del d.lgs 286/1998 garantisce il diritto alle prestazioni scolastiche obbligatorie. 

La lettura sistematica delle norme vigenti in materia di stranieri richiedenti protezione sembra escludere i paventati profili di abbassamento della soglia di tutela assicurata a queste persone, essendo comunque garantiti nelle more dell’esame della domanda di protezione da parte delle competenti Autorità tutti i diritti fondamentali, ivi compresi quelli all’istruzione e alla salute. 

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