Print Friendly, PDF & Email
Termine di prescrizione per l’accertamento del danno erariale al dipendente pubblico con incarico extra retribuito ma non autorizzato
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di appello della Corte dei Conti, con la sentenza n. 217, dell’8 novembre 2019, nel riformare la sentenza del giudice di primo grado che riteneva rilevante ai fini della prescrizione del danno erariale i pagamenti ricevuti da terzi, precisando che l’omissione della richiesta della preventiva autorizzazione alla propria amministrazione, da parte del dipendente infedele, rileva ai fini del computo del periodo di prescrizione spostandolo al momento della sua conoscenza e non dai pagamenti ricevuti o dalla data delle prestazione illecite effettuate.
Il contenzioso
Il giudice di prime cure ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa della convenuta, dipendente pubblica, in riferimento alle somme percepite prima del 23.04.2010, essendo stata richiesta dall’azienda sanitaria la restituzione delle somme illegittimamente percepite con nota del 23 aprile 2015.
Ha rilevato il Collegio che non sussisterebbe alcun occultamento doloso del danno; di conseguenza, il fatto dannoso contestato, costituito dall’omesso riversamento da parte del convenuto dei compensi percepiti per le prestazioni extra lavorative rese in carenza di preventiva e specifica autorizzazione, deve intendersi compiutamente verificato all’atto dell’introito delle somme alla medesima corrisposte dalle società private di assistenza domiciliare negli anni dal 2007 al 2011.
E’ stato, pertanto, dichiarato prescritto il diritto al risarcimento del danno per i compensi percepiti prima del 23.04.2010.
La sentenza ha, poi, ritenuto fondata la domanda per i compensi corrisposti alla dipendente successivamente a tale data, riconoscendo il danno conseguente al mancato riversamento dei compensi ricevuti dall’azienda privata in assenza della prescritta autorizzazione.
Avverso la predetta sentenza la Procura regionale ha proposto appello; in particolare ha contestato l’assunto secondo cui non vi sarebbe stato occultamento doloso perché secondo il giudice sarebbe occorsa una condotta ulteriore a quella causativa del danno, specificamente voluta e finalizzata alla dissimulazione del danno stesso.
Nel caso di specie, ha osservato la Procura, la dipendente, non solo non aveva riversato i compensi illecitamente percepiti, ma aveva omesso di denunciare alla propria Amministrazione l’attività lavorativa svolta presso una SRL.
Tale omissione risulta ancor più rilevante se si tiene presente che sussisteva un preciso obbligo giuridico di comunicare alla propria amministrazione l’attività lavorativa esterna che si intendeva svolgere per chiederne l’autorizzazione. L’omissione della comunicazione costituisce una condotta illecita, contraria a una norma imperativa e tesa proprio a non far conoscere il proprio guadagno esterno non riversato; si tratta, quindi, di un’azione (comportamento omissivo) prodromica all’occultamente del danno patito dall’amministrazione.
Sotto altro profilo, la Procura ha osservato che, in ogni caso, anche a non volere condividere le suddette argomentazioni, non poteva ritenersi maturato il termine di prescrizione alla luce dell’orientamento delle Sezioni Riunite dei giudici di prime cure , secondo cui l’omessa denuncia ad opera del dipendente non fa decorrere il termine prescrizionale anteriormente al disvelamento del fatto dannoso originario consistente nella specifica condotta omissiva della denuncia delle prestazioni professionali svolte senza autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza (cfr. SS.RR.n.2/2017/QM).
L’analisi della Corte di appello della Corte dei Conti
Per i giudici dell’appello il ricorso deve essere accolto. In particolare il Collegio ritiene, in proposito, di dovere confermare integralmente la giurisprudenza delle Sezioni di appello in materia e, in particolare, quanto espresso nella sentenza n. 55/2017: “In termini di stretta disciplina giuridica, l’art. 1, comma 2, L. n. 20/1994, ha previsto che: Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”. La regola generale ritiene che il fatto dannoso non si perfeziona con il comportamento tenuto dal pubblico dipendente in difformità da quello previsto dalle norme, circostanza questa attinente alla condotta, ma con il momento in cui, verificandosi le conseguenze di quella condotta, si realizza l’eventus damni , quale effettivo depauperamento del patrimonio pubblico, e si abilita il requirente all’esercizio dell’actio damni. Ora, una tale regola generale va inevitabilmente incontro a deroghe nelle non infrequenti ipotesi di “occultamento doloso”, richiedenti lo spiegamento di accorte attività finalizzate al disvelamento, non mero, dei fatti.
In tali evenienze, integranti di norma condotte penalmente rilevanti, il legislatore ha voluto affermare la regola della decorrenza della prescrizione dal momento della conoscenza effettiva del danno a ragione del dolo, in luogo del principio della “conoscibilità obiettiva” dello stesso. E la giurisprudenza contabile si è poi spinta oltre, ampliando il concetto di occultamento doloso del pregiudizio e facendo coincidere il comportamento causativo della lesione con l’occultamento stesso.
In breve, volendo così valorizzare la regola espressa dalla Corte di legittimità “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui l’agente compie l’illecito – o dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto – bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno,
divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile”.
In tale contesto, “si deve alla Corte di legittimità l’affermazione per cui in presenza di obbligo giuridico di informare e, quindi, di attivarsi, l’ulteriore condotta dolosa del debitore/dipendente pubblico, tesa ad occultare il fatto pregiudizievole, possa estrinsecarsi anche in una condotta omissiva, quando chiaramente riguardi atti dovuti, ai quali, cioè, il debitore è tenuto per legge”
La Corte dei conti accoglie l’appello del Procuratore regionale e, per l’effetto, riforma la sentenza nel senso di rigettare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte privata, con ritorno degli atti al primo Giudice per la prosecuzione della causa nel merito.

Torna in alto