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Appalti senza gara e trucchi: il bluff delle municipalizzate

È con le società in house, longa manus degli enti locali, che si realizzano i maggiori artifizi: servizi pubblici milionari agli amici e bilanci fantasma. Un mondo sommerso senza regole

Paolo Bracalini Mariateresa Conti – Sab, 13/12/2014 – 08:11

Trucchi, favori agli amici, servizi pubblici milionari come la raccolta dei rifiuti o la gestione dell’acqua affidati senza gara d’appalto, a società amiche o a coop, a tutto danno delle tariffe che poi vengono applicate ai cittadini.

C’è tutto un mondo sommerso del quale si tiene poco conto quando si parla delle partecipate. Le paroline magiche, che trasformano una normale società in una sorta di intermediario che opera con affidamenti diretti, in barba alla concorrenza, le abbiamo prese in prestito dall’inglese. Ed è con le società «in house», longa manus degli Enti, che si realizzano i maggiori artifizi. L’ex commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, nella sua relazione ha evidenziato l’anomalia Italia che vede nel nostro Paese un boom di queste società. E anche la Corte dei conti bacchetta le Regioni, bocciando questa pratica: «L’affidamento a società in house – rimarcano i giudici contabili – resta previsto soltanto come ipotesi eccezionale». Ma invece succede il contrario. Ancora la Corte dei conti, con le cifre: «Si evidenzia il ricorso generalizzato a tale modalità di affidamento (in house, ndr ), in quanto le gare con impresa terza risultano essere soltanto 31 (su un totale di 24.578)». Una prassi generalizzata, dunque. Che ha un indubbio vantaggio: permette di calpestare le regole.

IL LAVORO C’È. PER GLI AMICI

E dunque: niente gare d’appalto, affidamento alle coop di commesse milionarie (i limiti fissati dalla legge si bypassano frazionando l’appalto, in modo che resti sempre sotto la soglia entro cui la gara diventerebbe obbligatoria), assunzioni di massa, fuori dai limiti imposti alle pubbliche amministrazioni. Come in Friuli Venezia Giulia, dove la Corte dei conti evidenzia come ci siano 2.800 dipendenti, ma altri 1.700 lavorano per la stessa Regione grazie a «un sistema satellitare composto da enti, agenzie, aziende, società ed enti funzionali». Insomma, tutti escamotage tecnico per sfuggire al fastidiose norme, come le gare d’appalto o i limiti alle assunzioni.

IL CASO VENEZIANO

Uno dei casi più eclatanti è quello della Veritas spa, la società che si occupa di acqua e rifiuti, partecipata dai Comuni della Provincia di Venezia e Treviso. A sollevare il caso, con un esposto appena presentato alla Corte dei conti, è il consigliere regionale veneto Diego Bottacin. La stessa coop, nel 2013, ha ricevuto da Veritas Spa la bellezza di undici affidamenti, per quasi un milione e mezzo di euro. Tutti senza gara perché tutti – appositamente – sotto i 200mila euro (anche solo di 50 euro, come un lavoro da 199.950 euro), la soglia comunitaria oltre la quale è obbligatorio fare la gara. «Le grandi municipalizzate – spiega – non svolgono più direttamente il servizio pubblico che i comuni affidano loro, ma lo sub-affidano ad una miriade di cooperative e società con assoluta discrezionalità e senza alcuna gara, anche quando si tratta di commesse milionarie, magari attraverso l’artificio del frazionamento dell’appalto». C’è di tutto, nell’esposto che Bottacin girerà anche all’Autorità anticorruzione: affidamento a terzi dei servizi, coop rosse ma non solo; zero controllo da parte dei comuni. E un’enorme potere su un’enorme massa di denaro pubblico, che si può usare anche molto male. Mafia capitale docet .

IL GIOCO DELLE TRE CARTE

Gli esempi, qua e là per l’Italia, sono diversi. Meno debiti scaricandoli sulle partecipate, o vendendo a società in house le proprie reti. È il caso della Ravenna holding spa, su cui il Comune ha scaricato, dice l’opposizione, debiti per circa 33 milioni. Dall’Emilia alla Puglia. La Corte dei conti, sulla base dei bilanci 2012, ha puntato l’indice contro «la tendenza da parte degli amministratori locali a scaricare le perdite d’esercizio delle società partecipate sugli enti locali, gravando quindi sui contribuenti». Prendiamo la Santa Teresa spa di Brindisi, società multiservizi della Provincia con un valore di produzione nel 2012 di 5.467.322 euro e un utile netto di esercizio di 211.980 euro. La Provincia ha trasferito alla partecipata, per far fronte ai contratti di servizio, 6.804.835 euro.

BILANCI FANTASMA

Una galassia con molti buchi neri, quella delle partecipate degli enti locali. A rilevarlo è anche il Cerved, il centro studi che periodicamente analizza la pubblica amministrazione italiana. Molte società partecipate non depositano neppure il bilancio, una zona d’ombra che può far comodo se si vuol nascondere la polvere sotto il tappeto. «Un numero non trascurabile di società ancora operative, 656 (il 12%), non ha mai depositato il bilancio del 2012 (o riporta un attivo pari a zero) – si legge nell’ultimo rapporto del Cerved – Il mancato deposito di bilancio spesso denota una situazione di difficoltà dell’azienda, che non riesce a chiudere i libri contabili. Nella maggior parte dei casi, il 72%, si tratta di società per cui il problema è ricorrente nel tempo (anche nel 2011 non è stato depositato un bilancio). Non mancano però casi di partecipate di dimensioni medio-grandi che non hanno adempiuto all’obbligo di deposito del bilancio (25 con un totale dell’attivo compreso tra 10 e 50 milioni nel 2011 e 13 con un totale dell’attivo superiore a 50 milioni)». Una giungla con troppe ombre.

 

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