#appalti #corruzione Centralizzazione: il miraggio di chi non sa risolvere i problemi

#appalti #corruzione Centralizzazione: il miraggio di chi non sa risolvere i problemi

Pubblicato il 13 dicembre 2014 di rilievoaiaceblogliveri

La centralizzazione degli appalti sta generando, come era facilmente preventivabile, mostri.

Il Consiglio di stato, con la sentenza Sez. III del 12 dicembre 2014 n. 6114 si è accapigliato, contro il Tar Veneto, sulla possibilità che una commissione di gara di un soggetto aggregatore sia composta da funzionari diversi da quelli appartenenti all’amministrazione che ha chiesto l’appalto; come se questo fosse un tema non scontato o, comunque, un problema serio.

Aberrazioni operative ed interpretative verranno fuori in serie e sempre più numerose, a causa di una disciplina normativa velleitaria, fondata sul fideismo nella riduzione del numero delle stazioni appaltanti, come rimedio alla corruzione.

Il caso di Roma dimostra la totale inefficacia di simile assurda (in quanto spinta all’eccesso) impostazione. Infatti, a Roma, la centralizzazione in argomento, per quanto concerne il business delle abitazioni provvisorie ai nomadi e agli immigrati, non si sarebbe in ogni caso applicata:

1.         a) perché si tratta di appalti di servizi non regolati da convenzioni Consip o presenti nel mercato elettronico di un soggetto aggregatore;

2.        b) perché, in ogni caso, Roma è un comune capoluogo e, dunque, non sarebbe stato tenuto ad avvalersi dei sistemi di centralizzazione.

Soprattutto quest’ultima considerazione lascia capire come l’intento di risolvere i problemi della corruzione attraverso la riduzione delle stazioni appaltanti sia un estro di chi pensa che esistano soluzioni semplici per faccende molto, ma molto complicate. Come si vede, l’ “ideona” di centralizzare le procedure di gara non si applica proprio ai grandi comuni; guarda caso lo scandalo delle coop di Roma, fa ambo con l’Expo a Milano e terno con il Mose a Venezia: tre grandi comuni, come tali non soggetti alla centralizzazione.

E’ un po’ come la congerie di norme sulle partecipate, volte (senza alcun risultato apprezzabile) a mettere sotto controllo appalti e assunzioni, assimilando le regole di questi soggetti a quelle vigenti per le amministrazioni pubbliche: sono totalmente estranee a queste regole proprio le società più grandi, perché quotate in Borsa. Sicchè, le ragioni del mercato finiscono per giustificare comportamenti operativi non consoni al gestire amministrativo, così come ragioni dovute, forse, al peso “politico” dei grandi comuni permettono loro di stare fuori da sistemi di aggregazione degli appalti, lasciando, dunque, aperte tutte le falle adatte all’ingresso della corruzione e del malaffare. Che, non a caso, si concentrano proprio non verso il comune di Roccacannuccia, ma, guarda caso, nei grandi comuni. Perché, forse sfugge ai Soloni delle “grandi riforme” degli ultimi 20 anni, grandi solo nella loro inutilità e caoticità, che è proprio nei grandi comuni o nell’ambito dei grandissimi appalti che c’è più polpa da spolpare.

Tra pochi anni scopriremo con finta meraviglia che la concentrazione degli appalti in poche centrali di committenza, per effetto dell’ingingantimento delle basi di gara o della serialità degli appalti, avrà attratto l’attenzione della criminalità su quei soggetti aggregatori che si vorrebbero creare allo scopo di tenere lontana la criminalità stessa. Lo scriviamo adesso, nel dicembre 2014, a memoria di un futuro certo, certissimo.

L’aggregazione degli appalti serve ed è utile solo per i grandissimi lavori pubblici, sovra comunali, sovra provinciali, sovra regionali, che richiederebbero, per altro, un unico centro decisionale, senza la dispersione tra mille enti di espropri ed autorizzazioni; l’aggregazione, ancora, è estremamente utile per l’acquisizione delle utenze, nonché di forniture standard di beni: dalla famosa siringa, alla cancelleria, ai computer, alla benzina.

Non ha alcun senso, invece, l’aggregazione di servizi sociali, perché non standardizzabili, o di opere di manutenzione, perché troppo strettamente legate al territorio e alla logistica.

Ma, l’utilità dell’aggregazione consiste solo nella possibilità di calmierare e standardizzare i prezzi. Il risvolto anticorruzione è sostanzialmente inesistente, solo un mito, un’invenzione populistico giornalistica, alla quale è facile credere, sicchè, piace e vi si presta fede.

Per agire contro la corruzione negli appalti occorrono, invece, sistemi di controllo rigorosi, preventivi, su tutti gli atti dal bando, per verificare che non sia la fotocopia dell’organizzazione di un’azienda, al provvedimento di impegno della spesa così da evitare che anche in un ambito pluriennale vengano a mancare le risorse, alla composizione della commissione di gara che, tornando alla fattispecie analizzata dal Consiglio di Stato, Sez. III del 12 dicembre 2014 n. 6114, è largamente opportuno che non sia composta dai funzionari dell’ente che si avvale dell’amministrazione che svolge la funzione di stazione appaltante. Infatti, la presenza di una commissione diversa garantisce meglio la terzietà ed obiettività e, anzi, si presta al controllo dell’amministrazione beneficiaria. Del resto, non si capisce davvero quale sia il problema di una commissione di gara di un ente, il soggetto aggregatore, diverso da quello che chiede l’appalto: non è forse vero che le convenzioni della Consip le gestisce la Consip stessa in totale autonomia, senza la presenza nelle proprie commissioni di gara dei funzionari degli enti che poi si avvalgono delle convenzioni stesse?

Il fatto stesso che si sia potuto avviare un contenzioso finito al Consiglio di stato su una cosa così logica, la possibilità che la commissione di gara dell’ente aggregatore sia composta da soggetti diversi da quelli operanti nell’amministrazione che se ne avvale, fa capire come le riforme siano mal pensate e gestite. Sono state spese risorse, tempo, appresso ad una vertenza oggettivamente paradossale e inutile.

 

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