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Il whistleblowing aggiorna i modelli organizzativi 

Il Sole 24 Ore – 28 Agosto 2019 
 
La legge 179/17 ha introdotto nell’ ordinamento italiano una disciplina specifica dedicata al fenomeno delle segnalazioni di reati o di irregolarità nell’ ambito dei rapporti di lavoro (whistleblowing). L’ intervento mira a favorire l’ emersione di condotte illecite nei luoghi di lavoro e interviene su due fronti: da un lato, implementa la tutela già prevista per i dipendenti pubblici, ampliando le maglie dell’ articolo 54 bis del Dlgs 165/01 (Testo unico del pubblico impiego), introdotto nel 2012 con la legge 190 (cosiddetta “legge Severino”); dall’ altro, estende la tutela anche al settore privato, prevedendo nuovi oneri in capo agli enti che abbiano scelto di adottare i modelli di organizzazione e gestione (Mog) di cui al Dlgs 231/01.
Mentre nel pubblico l’ effettività della nuova disciplina è affidata, tra l’ altro, a un sistema presidiato da sanzioni di competenza dell’ Anac, in ambito privato si è scelto di sfruttare lo strumento “facoltativo” del modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal Dlgs 231/01. I Mog devono ora prevedere, infatti, almeno due canali che consentano al personale di presentare segnalazioni (riguardanti condotte illecite rilevanti secondo il decreto 231 o violazioni del Mog) garantendo la riservatezza dell’ identità del segnalante. I Mog devono poi introdurre il divieto di atti ritorsivi o discriminatori nei confronti del whistleblower, nonché stabilire sanzioni nei confronti sia di chi violi le misure di tutela dello stesso, sia di chi effettui (con dolo o colpa grave) segnalazioni infondate.
Gli enti sono pertanto tenuti anzitutto ad aggiornare il Modello attraverso l’ aggiunta, nella parte generale, di una specifica sezione dedicata al whistleblowing e, nel sistema disciplinare, di sanzioni conseguenti alla violazione delle misure di tutela e all’ utilizzo abusivo dei canali informativi. Inoltre, è necessaria la predisposizione di una procedura per l’ inoltro e la gestione delle segnalazioni che tenga conto della normativa in materia di privacy e data protection. Fondamentale, quindi, l’ attivazione di almeno due canali idonei ad assicurare la corretta segnalazione dei reati o delle irregolarità da parte dei destinatari del Modello e la loro riservatezza nell’ intero processo di gestione della segnalazione. A quest’ ultimo riguardo, il nuovo comma 2 bis dell’ articolo 6 del decreto 231 si limita a prescrivere che almeno uno dei canali debba garantire la riservatezza dell’ identità del segnalante con modalità informatiche.
Molteplici sono quindi le forme con cui nella prassi viene data attuazione alla predisposizione dei canali informativi: anzitutto la posta elettronica, ma anche piattaforme informatiche esterne, cui si accede con codici identificativi; numeri verdi affissi nei luoghi di lavoro con annesse caselle vocali; aree apposite nel sistema informatico aziendale; pagine web sul sito aziendale raggiungibile da qualunque Pc. La disciplina del whistleblowing differisce a seconda che si tratti di lavoro pubblico o privato. Non si tratta di differenze da poco: basti ricordare che l’ adozione del Mog costituisce ancora una mera facoltà dell’ ente, mentre nel lavoro pubblico la stessa legge impone l’ istituzione di un canale informativo con il responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza o con l’ Anac.
È dunque essenziale stabilire se l’ ente sia o meno assoggettato alle previsioni del Tu Pubblico impiego. La questione trova una soluzione nell’ articolo 54 bis, comma 2 del Tupi e nell’ articolo 1 del Dlgs 231/01, ove si definiscono i due ambiti soggettivi. Fra le due categorie di datori di lavoro vi sono peraltro delle evidenti intersezioni, come per le società controllate disciplinate dall’ articolo 2359 del Codice civile. Queste, ov e il controllante sia un ente pubblico, sono sottoposte infatti ex articolo 54 bis del Tupi alla disciplina del whistleblowing “pubblico”, e tuttavia sono comunque tenute ad adottare Mog dotati di doppio canale informativo, così come stabilito dall’ articolo 6 del Dlgs 231/01 novellato, in quanto assoggettate alla disciplina della responsabilità da reato degli enti.
Sull’ istituto si è di recente pronunciata la giurisprudenza. La Cassazione civile (ordinanza 21/19) ha sostenuto che, per dimostrare di aver subito un danno da demansionamento, il dipendente non è obbligato ad addurre specifiche circostanze fattuali. Infatti, «se è vero che il danno da demansionamento non è in re ipsa, tuttavia la prova di tale danno può essere data, ai sensi dell’ articolo 2729 del Codice civile, anche attraverso l’ allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell’ attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione».
La Cassazione penale (sentenza 35792/18), invece, ha sancito che la normativa non scrimina eventuali condotte criminose commesse nell’ attività di investigazione estranea alla nozione di whistleblowing. Merita infine evidenziare che, in attuazione dell’ articolo 54 bis, comma 5, del Tupi l’ Anac ha posto in consultazione pubblica, sino al 15 settembre, lo schema per le nuove linee guida in materia di segnalazione di illeciti, le quali sostituiranno le attuali Linee guida risalenti al 2015 (determinazione 28 aprile 2015, n. 6).

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