Print Friendly, PDF & Email

Se violati obblighi informativi il countdown per la prescrizione del risarcimento parte con la scoperta del danno erariale

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

Si ha “occultamento doloso del danno” erariale -in presenza del quale, a mente dell’art. 1, comma 2, L. n. 20 del 1994, la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per il diritto al risarcimento del danno erariale non coincide più con la data in cui si è verificato il fatto dannoso ma con la data della sua scoperta- anche in caso di comportamento consistente nella mera omissione di una informazione, purché questa sia dovuta, ossia sussista un obbligo del debitore di informare previsto dalla legge cui egli si sia intenzionalmente sottratto. A chiarirlo la Prima Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti con la sentenza n. 173 del 2018, che sulla scorta del su enunciato principio ha riformato la pronuncia resa in prime cure dalla Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia Romagna.

Il caso riguardava l’attivazione della procedura contemplata dall’art. 53, commi 7 e 7-bis, D.Lgs. n. 165 del 2001 per il recupero in favore dell’ente di appartenenza (nella fattispecie una Azienda Ospedaliero-Universitaria) delle somme indebitamente percepite da una sua infermiera professionale a carico della quale era stato accertato lo svolgimento di attività extraprofessionale in assenza delle prescritte autorizzazioni del datore di lavoro. La norma menzionata, com’è noto, prevede, alla luce del regime di incompatibilità tra rapporto di lavoro pubblico ed incarichi esterni, che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza, e che dalla inosservanza di tale divieto discende -salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare- l’applicazione di una sanzione “espropriativa”, ossia l’obbligo, con adempimento a cura dell’erogante od in difetto del percettore, di versare il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte nel conto dell’entrata del bilancio dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente. L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.

L’organo giuscontabile felsineo però aveva in primo grado accolto solo in minima parte la richiesta risarcitoria, avanzata dalla competente Procura regionale per l’ammontare di poco più di 72mila euro (al lordo delle imposte), corrispondente alla totalità delle somme incamerate dall’infermiera da marzo 2008 fino ad ottobre 2011 per prestazioni extralavorative rese presso varie società di assistenza private, taciute dalla dipendente alla propria Amministrazione. Nello specifico, i Giudici emiliani avevano difatti ritenuto prescritti gli importi reclamati dalla Procura attrice con riferimento ai compensi percepiti dall’interessata in epoca anteriore al 30 marzo 2011, ossia oltre cinque anni indietro rispetto alla data di richiesta di restituzione delle somme in parola, nella fattispecie formulata dall’Azienda Ospedaliera con nota del 31 marzo 2016, che costituiva il primo atto interruttivo della prescrizione.

A tale riguardo, occorre ricordare che a norma dell’art. 1, comma 2, L. n. 20 del 1994 “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”. Orbene, il Collegio bolognese aveva optato per l’inapplicabilità della regola della decorrenza della prescrizione dalla scoperta del fatto in caso di doloso occultamento che, nel caso di specie, avrebbe fatto slittare in avanti il dies a quo della prescrizione al marzo 2015, quando la Procura regionale contabile aveva avuto puntuale contezza della vicenda in esito a segnalazione della Guardia di Finanza.

Invero, secondo la Corte dei Conti dell’Emilia Romagna perché si configuri “occultamento doloso del danno” non è sufficiente una condotta, anche dolosa, in violazione degli obblighi di servizio, ma è necessario un “quid pluris” consistente in una condotta specifica, ingannatrice e fraudolenta, diretta intenzionalmente ad occultare l’esistenza del danno, di cui nella circostanza non era stata data prova.

Un orientamento tuttavia non del tutto condiviso dalle Sezioni d’appello della Corte dei Conti: queste ultime pur condividendo il principio per cui, in assenza di un obbligo giuridico di attivarsi, l’occultamento doloso richiederebbe un “quid pluris” commissivo teso a porre nell’ombra dell’impercettibile il fatto dannoso -in fieri o già prodotto- hanno al contempo evidenziato come, invece, ricorrendo un obbligo giuridico di informare e, quindi, di attivarsi, l’ulteriore condotta dolosa del debitore/dipendente pubblico, tesa ad occultare il fatto pregiudizievole, può estrinsecarsi anche in una condotta meramente omissiva, sempre che chiaramente, giova ribadirlo, riguardi atti dovuti, ai quali, cioè, il debitore sia tenuto per legge, come nel caso in esame.

Infatti, all’obbligo di “esclusiva” della dipendente era nella circostanza intimamente ed inscindibilmente connesso un obbligo informativo, nei confronti dell’ente datore di lavoro, dello svolgimento di attività lavorative extra-istituzionali, cui la normativa di settore riconnette conseguenze giuridiche ed economiche: fermi i generali obblighi di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che devono comunque e sempre presidiare la fase delle trattative e di esecuzione dei contratti, anche di lavoro, pubblici e privati, e che costituiscono di per sé fonti del dovere di informazione, in specie un tale obbligo era insito nella disciplina, generale (richiamato art. 53D.Lgs. n. 165 del 2001, che al comma 10, tra l’altro prevede anche che “l’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico”, precisando che la stessa “può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato”, cosicché l’obbligo informativo è da ritenere immanente allo stesso procedimento autorizzatorio) e settoriale, prevedente le attività extra istituzionali e le incompatibilità dei pubblici dipendenti; disciplina che obbligava l’infermiera a portare a conoscenza la propria Amministrazione degli incarichi che i soggetti privati intendevano conferirle e di attendere il suo benestare -sempreché non fossero radicalmente vietati per incompatibilità assoluta- condizionato all’insussistenza di situazioni di conflitti di interessi con l’Azienda Ospedaliera di appartenenza.

E proprio il fatto che il silenzio serbato dalla dipendente sullo svolgimento di attività in violazione dell’obbligo di esclusiva valeva a sottrarla alle predette conseguenze giuridiche ed economiche normativamente previste, ha indotto i Giudici d’Appello a ravvisare la dolosità della condotta omissiva intesa ad occultare l’esercizio di attività extra-istituzionale e il conseguente obbligo di riversamento.

Corte dei Conti Sez. I App., Sent., 24 aprile 2018, n. 173

Art. 1L. 14 gennaio 1994, n. 20 (G.U. 14 gennaio 1994, n. 10)

Art. 53D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (G.U. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.)

 

Torna in alto