25/04/2018 – L’elusione intenzionale dei vincoli di finanza pubblica integra il reato di falso ideologico

L’elusione intenzionale dei vincoli di finanza pubblica integra il reato di falso ideologico

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

Sia il Tribunale di prima istanza che la Corte di Appello hanno condannato il Sindaco ed il Dirigente finanziario per i delitti di falso ideologico in atto pubblico, anche per induzione in errore dei consiglieri comunali, consistiti nell’aver formato falsamente il prospetto inerente le condizioni finanziarie per il rispetto del patto di stabilità e per aver indotto in tal modo i consiglieri comunali ad approvare un rendiconto della gestione economico-finanziaria del Comune falso, in quanto vi erano state inserite entrate maggiori del reale, e cancellate spese correnti per importi notevoli. In particolare nella ricostruzione dei fatti è emerso che il precedente dirigente finanziario si era sottratto alla predisposizione del documento contabile in modo formale anticipando il non raggiungimento dei vincoli di finanza pubblica per un importo considerevole (circa 20 milioni di euro) e che il Sindaco ne aveva disposto la rimozione dall’incarico affidandolo al nuovo dirigente che, in concorso con il Sindaco ha successivamente certificato come raggiunto il vincolo del patto di stabilità mediante materialmente falsificazione sia delle entrate (aumentandole artificiosamente per 6 milioni di euro) che delle spese (diminuite mediante atti di disimpegno per complessivi 13 Milioni di euro) raggiungendo per tale verso, mediante predisposizione del conto consuntivo, i vincoli di finanza pubblica altrimenti compromessi.

Vista la pesante sentenza della Corte di Appello (pena di tre anni di reclusione con mancata sospensione della pena), ricorrono in Cassazione i convenuti evidenziando il Dirigente finanziario, a propria discolpa, che le modifiche apportate sarebbero coerenti con i nuovi principi della contabilità armonizzata per il quale l’obbligo di imputazione a bilancio delle entrate e delle spese è stato spostato dal momento dell’accertamento delle prime e dell’impegno delle seconde, a quello rispettivamente della riscossione e del pagamento, mentre il Sindaco evidenzia che il legislatore ha previsto in modo esplicito, in caso di violazione dei vincoli di finanza pubblica, una sanzione pecuniaria (art. 31 comma 31, L. n. 183 del 2011) con impossibilità di applicare congiuntamente a questa anche una sanzione penale per violazione del principio del “ne bis in idem”.

La conferma della condanna della Cassazione

Secondo i giudici di legittimità le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale meritano piena condivisione per le seguenti ragioni:

– Avuto riguardo al dirigente finanziario, nella sua qualità di dirigente del servizio competente agli adempimenti preparatori dei dati di bilancio, redigendo il rendiconto ed apponendovi il parere di regolarità; con tali comportamenti, espressione del suo ufficio aveva realizzato un antecedente necessario per l’approvazione della delibera di bilancio da parte del consiglio, concretizzando una delle condizioni per l’integrazione del reato e restando, così, dimostrata la sua responsabilità concorsuale nel delitto. In merito ai principi della contabilità armonizzata, le argomentazioni sviluppate non meritano condivisione in quanto al contrario sono stati disattesi i suoi principi portanti come quelli di veridicità (nei dati contabili di bilancio devono essere rappresentate le reali condizioni delle operazioni di gestione di natura economica patrimoniale e finanziaria di esercizio) e di prudenza (secondo cui devono essere contabilizzate solo le componenti positive realizzate, mentre tutte le componenti negative devono essere contabilizzate e, quindi, rendicontate anche se non definitivamente concretizzate);

– In merito alla difesa del Sindaco secondo cui l’elusione del patto di stabilità sarebbe attratta dal solo illecito amministrativo, punito dal legislatore mediante una sanzione pecuniaria, e non anche con una sanzione penale, i giudici di Piazza Cavour giudicano tali argomentazioni prive di pregio in considerazione della differenza tra le due sanzioni, dove quella penale, a differenza dell’illecito amministrativo, colpisce le condotte di falsificazione effettuate dal pubblico funzionario come avvenuto nel caso di specie.

 

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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19/10/2017) 30-03-2018, n. 14617
 
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.C.A., nato il (OMISSIS);

F.P., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15/09/2016 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE GREGORIO EDUARDO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DI LEO GIOVANNI;

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità dei ricorsi;

Udito il difensore:

L’avv. GASTINI espone alla Corte i motivi di gravame e insiste per l’accoglimento del ricorso.

L’avv. PETRELLI illustra alla Corte i rilievi mossi alla sentenza impugnata nell’atto di ricorso e più specificamente nei nuovi motivi depositati e insiste per l’accoglimento.

– A questo punto, alle ore 11.25, l’udienza viene brevemente sospesa.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado di condanna degli imputati F., Sindaco del Comune di (OMISSIS), e R., dirigente del settore economico finanziario, alla pena di giustizia, per i delitti di falso ideologico in atto pubblico, anche per induzione in errore dei consiglieri comunali, consistiti nell’aver formato falsamente il prospetto inerente le condizioni finanziarie per il rispetto del patto di stabilità e per aver indotto in tal modo i consiglieri comunali ad approvare, con Delib. 4 maggio 2011, un rendiconto della gestione economico-finanziaria del Comune per l’anno 2010 falso, in quanto vi erano state inserite entrate maggiori del reale, per oltre sei milioni di Euro e cancellate spese correnti per oltre 13 milioni di Euro. Epoca dei fatti da (OMISSIS). La sentenza ha dato atto che il processo era stato sospeso nei confronti di V., assessore al bilancio del medesimo Comune per suo legittimo impedimento dovuto a gravi motivi di salute.

1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa dell’imputato R., che ha lamentato, col primo motivo, la nullità delle sentenze di primo e secondo grado, per la violazione degli artt. 178 e 180 c.p.p., a causa dell’omessa notifica al ricorrente del decreto di anticipazione dell’udienza datato 20 Marzo 2014 ed in ogni caso per il mancato rispetto del termine di 7 giorni previsto dall’art. 465 c.p.p..

2. Tramite il secondo motivo è stata dedotta, sotto diversi profili, la violazione di legge in relazione alle norme di cui agli artt. 43, 48, 479 e 479 c.p. e l’omessa motivazione. Infatti, la Corte territoriale avrebbe trascurato il fatto che l’imputato aveva lavorato su verifiche, controlli e conteggi operati dall’ufficio ragioneria prima del suo arrivo, essendone egli all’epoca dei fatti dirigente da poco tempo; R. aveva spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto di adeguarsi alle prassi adottate nei precedenti anni ma i Giudici non si erano confrontati con le sue dichiarazioni.

2.1 In particolare l’appello aveva rappresentato che R. aveva portato all’approvazione della Giunta e poi del Consiglio comunale uno schema di rendiconto finanziario formato con dati elaborati da altri, prima della sua assunzione, e già trasmessi al Ministero il 31 Gennaio 2011 e che il prospetto di tali dati contabili era stato elaborato sulla scorta di principi seguiti da anni dall’ufficio di ragioneria. A tali doglianze non sarebbe stata data risposta.

2.2 Per quanto riguarda il delitto di induzione in errore dei consiglieri comunali, che a causa dell’errore avrebbero approvato il rendiconto finanziario 2010, il ricorrente ha dedotto che sarebbe mancata la dimostrazione dell’avvenuto inganno di costoro ed in particolare che non sarebbe stata verificata l’ipotesi di una loro scelta dettata da ragioni politiche.

2.3 Il ricorrente ha, altresì, proposto, per quanto attiene il capo e), cioè la predisposizione dello schema di rendiconto falso, censure analoghe a quelle già sintetizzate e relative al capo a), circa l’assenza di dolo nelle condotte dell’imputato.

3. Tramite il terzo motivo è stato dedotto il vizio di manifesta illogicità per il travisamento delle prove in base quali era stata ritenuta l’esistenza del dolo in capo al giudicabile. La motivazione di conferma della responsabilità avrebbe, infatti, tenuto conto della deposizione del predecessore di R., che aveva dichiarato di non aver avuto rapporti diretti con lui e, quindi, doveva essere considerata ininfluente, ed aveva citato solo parzialmente le testimonianze delle impiegate dell’ufficio di ragioneria, dalle quali era desumibile che la procedura incriminata era già stata seguita negli anni precedenti e che l’imputato non avrebbe partecipato all’elaborazione del prospetto di cui al capo e), apportandovi solo correzioni di dati.

4. Col quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 133 c.p. e l’illogicità di motivazione in riferimento alla conferma della pena base, fissata in tre anni di reclusione. Ha sostenuto il ricorrente che la Corte, nel richiamare la formazione di un grave danno economico al Comune fino all’insolvenza dell’Ente e la volontà degli imputati di mantenere una buona immagine, nonostante la disastrosa situazione finanziaria, avrebbe usato due argomenti errati ed uno che non poteva riguardare R. ma gli amministratori.

5. Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato F. che, col primo motivo ha dedotto la nullità della sentenza per errata applicazione delle norme di cui all’art. 479 c.p. e L. n. 183 del 2011, art. 31, comma 31 in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 9, in quanto i fatti contestati integrerebbero l’illecito amministrativo previsto dalla seconda disposizione, nonchè la violazione dell’art. 649 c.p.p., commi 1 e 2, per la mancata applicazione del principio del ne bis in idem.

6. Col secondo motivo è stata censurata la sentenza per manifesta illogicità in relazione al ritenuto elemento psicologico del reato e per violazione delle norme di cui agli artt. 110, 48, 479 c.p., art. 61 c.p., nn. 2 e 9, con specifico riguardo alla sottoscrizione dell’autorizzazione in data 29.1.2011, a causa della quale le modifiche fraudolente sarebbero state realizzate, nonchè con riguardo al prospetto inerente le condizioni finanziarie per il rispetto del patto di stabilità. Il ricorrente ha, altresì, lamentato la mancanza di motivazione sulla prova degli elementi costitutivi del falso ideologico e sul tema del concorso dell’imputato nel reato, non essendo state individuate specifiche condotte da questi realizzate al fine di cooperare materialmente con le condotte illecite altrui o per determinare altri all’illecito.

6.1 In fase di appello era stato segnalato che l’imputato si sarebbe limitato ad una vidimazione burocratica dell’operato dell’assessore V., senza alcuna attività autonoma di valutazione e ricognizione ma, nel rispondere, la Corte piemontese avrebbe trascurato che la ricostruzione dei fatti resa dal Tribunale aveva accertato che era stato l’assessore V. ad ideare il meccanismo illecito; avrebbe ignorato la deposizione del precedente dirigente di ragioneria, S., per la quale questi si era sempre confrontato sul tema del rendiconto con l’assessore e mai col Sindaco; avrebbe omesso di valutare l’intervento dello stesso assessore, docente universitario di economia, che aveva definito consolidata la tecnica di rimodulazione delle entrate e spese.

6.2 La mancata considerazione di dati probatori avrebbe riguardato anche prove documentali, come le schede di singole partite contabili – peraltro prodotte dal PM – il cui significato di trasparente gestione contabile pure era stato evidenziato nei motivi di appello.

6.3 Per quanto attiene la specifica condotta di sottoscrizione della nota informativa del 29.1.2011, di cui all’imputazione sub a), era stata ritenuta non veritiera ma senza giustificazione la deposizione de capo di gabinetto A., per il quale quando era stata sottoscritta da Sindaco era priva della dicitura “la Giunta autorizza” e, quindi, poteva valutarsi come una mera dichiarazione di intenti, senza efficacia vincolante.

6.4 Il ricorrente ha, altresì, segnalato che la nuova disciplina dei principi contabili applicabili per i conti pubblici degli Enti territoriali, introdotta con il D.Lgs. n. 118 del 2011, ha stabilito il criterio della competenza finanziaria, per il quale l’obbligo di imputazione a bilancio delle entrate e delle spese è stato spostato dal momento dell’accertamento delle prime e dell’impegno delle seconde, a quello rispettivamente della riscossione e del pagamento, precisando che la nuova normativa è stata resa operativa da Comune di Alessandria col regolamento di contabilità del Dicembre 2014.

6.5 Ne è stato tratto l’argomento di un ulteriore profilo di difficoltà tecnica della materia, che secondo il ricorrente, convaliderebbe la tesi, per la quale il Sindaco si sarebbe affidato alle valutazioni dell’assessore, in quanto soggetto professionalmente attrezzato e si sarebbe limitato a convalidarne l’operato tecnico, limitandosi a realizzare la fase esecutiva del piano da altri stilato.

7. Tramite il terzo motivo si è lamentata l’errata applicazione dell’art. 480 c.p., poichè i Giudici del merito avevano qualificato ai sensi dell’art. 479 c.p. le condotte di falso di cui ai capi a) e e) senza valutare che l’imputato si era assunto la responsabilità di aver attestato la veridicità dei dati relativi alla gestione economico-finanziaria 2010 ma non aveva formato gli atti di cui alle imputazioni in base ad attività da egli stesso compiuta. Nei fatti, pertanto, era ravvisabile la fattispecie di falsità ideologica in certificati di cui all’art. 480 c.p..

8. Col quarto motivo è stata dedotta l’illogicità della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio – elevata determinazione della pena base, applicazione delle attenuanti generiche in misura inferiore alla massima, mancata sospensione della pena – nella cui determinazione sarebbero stati ignorati una pluralità di elementi favorevoli all’imputato, tra cui la sua incensuratezza.

9. Tramite il quinto motivo è stata criticata la disposizione inerente il riconoscimento di una provvisionale di 50mila Euro in favore di uno dei fornitori del Comune, costituito parte civile. In data 29.9.2017 la difesa del ricorrente F. ha depositato motivi nuovi, con i quali ha sviluppato più ampiamente gli argomenti relativi alla dedotta specialità tra la norma di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 31, comma 31, che ha configurato una nuova fattispecie di illecito amministrativo e l’art. 479 c.p., e del divieto del bis in idem, nonchè le critiche circa la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Motivi della decisione

Ricorso R..

1. Il primo motivo del ricorso è infondato.

E’ pacifico che l’imputato era stato dichiarato contumace e, pertanto, era rappresentato dal suo difensore, al quale fu notificato il decreto di anticipazione dell’udienza, il quale aveva dichiarato di non avere problemi a partecipare all’udienza fissata per la nuova data. La mancata notifica all’imputato del medesimo provvedimento non ha comportato alcuna nullità, alla luce della giurisprudenza formatasi in proposito, e citata dalla Corte territoriale, per la quale il decreto emesso ai sensi dell’art. 465 cod. proc. pen., con cui è disposto il rinvio del dibattimento fuori udienza non necessita di notificazione personale all’imputato già dichiarato contumace, essendo sufficiente la notifica al difensore, che lo rappresenta. Sez. 3, Sentenza n. 52507 del 16/10/2014 Ud. (dep. 18/12/2014 ) Rv. 261514. In senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 35122 del 28/05/2013 Ud. (dep. 07/11/2013) Rv. 257556, ha stabilito il principio per cui il provvedimento di rinvio del dibattimento a udienza fissa prima del compimento degli atti introduttivi deve essere notificato all’imputato di cui non sia stata dichiarata la contumacia, per il quale, quindi, non funziona il meccanismo di rappresentanza da parte del difensore.

1.1 La tesi contraria sostenuta dalla difesa, secondo la quale l’imputato assente sarebbe rappresentato dal difensore solo all’interno della fase di udienza, le cui ragioni – esposte in particolare alle pagine 8 e 9 del ricorso – restano non completamente chiare, non è, pertanto, accoglile.

2. Per quanto attiene il secondo motivo e le ragioni innanzi sintetizzate sub 2 e 2.1, si tratta di censure sviluppate sul merito del discorso argomentativo condotto dai Giudici torinesi e che, in definitiva, non hanno tenuto conto dell’ampia giustificazione addotta riguardo ai profili di responsabilità per il delitto di falso nel rendiconto dell’esercizio 2010, attribuito al ricorrente in concorso col Sindaco.

2.1 In proposito deve annotarsi che la motivazione ha ricostruito in maniera aderente agli atti il contesto storico locale in cui era intervenuto l’imputato. A partire dall’inizio del 2010 il precedente ragioniere capo – Z., sentito a teste nel processo e specifica fonte di prova per questo aspetto della vicenda – aveva manifestato a tutta la dirigenza amministrativa ed anche al Segretario generale ed a Sindaco il suo documentato e formale parere che il patto di stabilità per il 2010 non poteva essere rispettato per oltre 20 milioni di Euro, a causa della difficile situazione finanziaria, e che egli non aveva intenzione di modificare i dati che erano emersi; nel Gennaio 2011 il Sindaco F. l’aveva spostato ad altro incarico e R. ne aveva preso il posto. E’ stato poi aggiunto in motivazione che l’imputato nell’atto di appello non aveva contestato il fatto che lo schema di rendiconto 2010 fosse stato redatto in violazione delle norme in materia di finanza pubblica, che le violazioni erano consistite nell’inserire maggiori entrate e nell’effettuare riduzioni e cancellazioni di spese correnti per gli importi complessivi indicati nell’imputazione, nè che i dati non corretti avevano indotto i consiglieri comunali ad approvare il rendiconto; nè il ricorrente aveva confutato di aver posto in essere la condotta materiale di sottoscrizione di un atto nel quale era stato scritto che il Comune aveva rispettato il patto di stabilità.

2.2 A completamento del congruo percorso motivazionale la Corte territoriale ha posto in evidenza che, nel corso dell’interrogatorio, R. aveva, per di più, ammesso di aver avuto dubbi sulla correttezza della prassi di cancellare gli impegni di spesa per spostarli all’esercizio successivo ma si era acquietato, avendo verificato che si trattava di un metodo già usato nel biennio precedente, e per il quale nè la Corte dei Conti, nè gli organi di controllo del Comune avevano avanzato censure. Inoltre, a smentita della tesi difensiva secondo la quale il ricorrente non avrebbe agito in mala fede ma, al più, con leggerezza e scarsa competenza, essendosi in sostanza adeguato ad una prassi scorretta ma in uso da tempo presso il servizio di ragioneria, sono state riportate – alle pagine 18 e 19 – le informazioni probatorie acquisite nel processo tramite le testimoni impiegate presso quell’ufficio, che hanno concordemente riferito di aver lavorato su proposte di modifiche al prospetto contabile a loro indicate direttamente da R.. E’ stato, altresì, sottolineato come l’imputato avesse affermate in Consiglio comunale che l’organo collegiale non aveva titolo per entrare nei dettagli dei capitoli di rendiconto ed avesse, altresì, tentato di rendere più difficili i controlli dei revisori contabili, limitandone la possibilità di accedere agli atti, attraverso l’introduzione della regola di avanzare, allo scopo, una richiesta scritta a lui stesso, quale dirigente del servizio.

2.3 Come logica e coerente conclusione di tali premesse la Corte torinese ha desunto che l’imputato non solo si era adeguato ad una prassi riguardo atta cui liceità aveva molte e serie ragioni di dubitare ma aveva dato il suo contributo concreto all’elaborazione dei dati ritenuti falsificati, cooperando in seguito, insieme al coimputato V., nell’ostacolare l’accesso ai documenti contabili redatti in modo anomalo, essendosi in tali evidenti modi integrato il suo concorso nei delitti di falso contestati.

3. Per quanto attiene, in particolare, la condotta delittuosa inerente il delitto di induzione in errore dei consiglieri comunali che, ingannati, avevano approvato i rendiconto finanziario 2010, formando la relativa delibera, falsa in quanto fondata sui falsi dati contabili presentati dal servizio finanziario, e la censura del ricorrente per la quale sarebbe mancata la dimostrazione dell’avvenuto inganno dei consiglieri, deve osservarsi quanto segue.

3.1 La sentenza impugnata ha legittimamente richiamato la motivazione del Tribunale, secondo la quale anche se i consiglieri comunali avessero agito volontariamente, o con intenzione dolosa, la sorte processuale dell’imputato non sarebbe stata diversa. Infatti – hanno annotato i Giudici del merito – il bilancio consuntivo è un atto complesso, perfezionato all’esito di un procedimento amministrativo articolato, in cui erano intervenuti più organi comunali e che aveva la specifica finalità dell’approvazione da parte dell’organo consiliare; nel suddetto procedimento R. era intervenuto nella sua qualità di dirigente del servizio competente agli adempimenti preparatori dei dati di bilancio, redigendo il rendiconto ed apponendovi il parere di regolarità; con tali comportamenti, espressione de suo ufficio aveva, quindi, realizzato un antecedente necessario per l’approvazione della delibera di bilancio da parte del consiglio, concretizzando una delle condizioni per l’integrazione del reato e restando, così, dimostrata la sua responsabilità concorsuale nel delitto.

3.2 Può solo aggiungersi che l’argomento proposto in ricorso della scelta politica autonomamente operata dal Consiglio comunale riguardo l’approvazione del bilancio, è stato solo genericamente suscitato, non essendo stato precisato quali e quanti consiglieri avrebbero potuto farlo e per quali autonome ragioni politiche o amministrative.

4. Anche le censure del terzo motivo di ricorso sono state incentrate sul ragionamento in fatto sviluppato nella motivazione, attraverso la proposizione di un’inammissibile interpretazione delle prove in senso favorevole al ricorrente. La ricostruzione operata dai Giudici del merito è esente dalla dedotta illogicità e – contrariamente a quanto rappresentato nell’atto di impugnazione – ha dato atto che la procedura di eliminazione di spese ed incrementi di entrate era stata seguita dal servizio di ragioneria anche negli anni precedenti, reputando il dato irrilevante ai fini della pretesa mancanza di elemento psicologico del giudicabile.

4.1 Le testimonianze delle impiegate sono state ritenute di adeguato supporto dimostrativo del dolo in capo all’imputato poichè alcune – Vi., P. e Sa. – avevano precisamente descritto i positivi e concreti comportamenti di R., quali i suggerimenti dati alla prima circa la versione finale del prospetto contabile, (Indicazione degli impegni da cancellare alla voce residui passivi forniti alla seconda e la loro reiscrizione come nuovi impegni per il 2011, nonchè le entrate fittizie, di cui R. aveva chiesto alla terza l’inserimento nel rendiconto 2010.

4.2 La critica inerente la deposizione del precedente direttore di ragioneria, Z., risulta completamente fuori centro, poichè ne è stato tenuto conto al fine di ritenere accertato il contesto fattuale in cui si erano inserite le condotte giudicate delittuose attribuite al ricorrente ed ai coimputati; la situazione narrata dal teste, infatti, aveva offerto una razionale chiave di lettura degli eventi successivi, potendosi coerentemente da essa desumere che l’imputato era stato designato alla direzione della ragioneria allo scopo di modificare i dati contabili che, invece, il predecessore aveva già dichiarato formalmente di non voler variare.

5. Il quarto motivo di ricorso ha criticato il tema del trattamento sanzionatorio, richiedendone un inammissibile diverso apprezzamento, in base all’osservazione che i danni per il Comune non sarebbero stati cagionati dagli imputati, intervenuti per ultimi in una situazione finanziaria consolidata in anni precedenti.

5.1 In proposito va premesso che al giudicabile sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, anche se non nella massima estensione. La motivazione ha, altresì, adeguatamente posto in luce che, pur essendo stato accertato che la grave situazione di bilancio presso il Comune era preesistente all’illecito operare degli imputati, tuttavia, la stessa si era senza dubbio aggravata a seguito delle loro condotte delittuose tendenti a nasconderne la portata negli atti pubblici del Comune, falsamente formati allo scopo di attestare inveridicamente il rispetto del patto di stabilità.

5.2 Quanto all’intenzione degli imputati di mantenere agli occhi dell’opinione pubblica una buona immagine che – secondo il ricorrente – non riguarderebbe R. ma solo gli amministratori, va osservate che l’argomento non è idoneo a scalfire la congruità della motivazione adottata dalla Corte territoriale, essendo intuitiva l’esistenza di un interesse ad una buona reputazione anche da parte del ricorrente, in considerazione della carica pubblica dallo stesso rivestita, e di un interesse indiretto verso la sorte politica del Sindaco – che sarebbe stata pregiudicata dallo sforamento del patto di stabilità – al quale R. era legato da un rapporto fiduciario alla base del conferimento del suo incarico.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Ricorso F..

6. Il primo motivo di ricorso è fondato sull’ipotizzato carattere speciale della norma di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 31, comma 31 che – a parere del ricorrente – contemplerebbe gli stessi fatti oggetto delle imputazioni, qualificandoli come illeciti amministrativi; pertanto, si sarebbe in presenza di un’ipotesi di concorso apparente di norme, da risolvere, ai sensi della regola generale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9, con la sola applicazione dell’illecito amministrativo.

6.1 A sostegno della tesi è stato premesso il testo della norma invocata, che recita: “Qualora le sezioni giurisdizionali regionali della Corte de conti accertino che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive, le stesse irrogano, agli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno, la condanna ad una sanzione pecuniaria…”.

6.2 In proposito, per rispondere alle doglianze avanzate nel ricorso, è necessario rammentare che la Corte territoriale ha ritenuto che si tratti di un concorso materiale di norme, poichè le fattispecie legali in gioco – art. 479 c.p. e L. n. 183 del 2011, art. 31, comma 31 – sono state giudicate diverse, in quanto le condotte contestate all’imputato erano consistite in gran parte nella cancellazione delle spese correnti, e non potevano sussumersi nella definizione di artificiosa e non corretta imputazione delle entrate o delle usate ai pertinenti capitoli di bilancio prevista dal predetto art. 31; nè esse potevano rientrare nel concetto di altre forme elusive, che – secondo i Giudici del merito – sono caratterizzate da un rispetto solo formale della legge, con l’obbiettivo di conseguire un fine diverso da quello tipico.

7. Negli argomenti molto ampiamente impiegati nell’atto di ricorso e nei motivi aggiunti è stato censurato il percorso giustificativo della Corte torinese che, secondo l’impugnante, sul punto sarebbe stato identico al ragionamento reso dalla Corte dei Conti ne procedimento per responsabilità contabile nei confronti degli imputati. La difesa ha, infatti, sostenuto che era apparso incomprensibile il tentativo di escludere dalla nozione normativa di non corrette imputazioni delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio, la condotta di soppressione di poste passive e implementazione di quelle attive ascritta al giudicabile.

Inoltre, i Giudici non avrebbero risposto alle critiche circa l’uso dell’avverbio artificiosamente, che – a suo parere – indicherebbe per l’appunto l’uso di mezzi aventi caratteristica di artifizi. Le censure del ricorrente sono infondate.

7.1. In proposito deve premettersi che la giurisprudenza delle Sezioni Unite risulta consolidata nel rilevare che l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie. (Sez. U, n. 20664 de 23/02/2017, Staila, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302.

Tale principio è stato ribadito anche in relazione all’ipotesi di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, nel quale deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra, all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte Sez. U., Sentenza n. 1963 del 28/10/2010 Cc. (dep. 21/01/2011) Rv. 248722.

7.2 Si è, inoltre, precisato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicchè l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.).

8. Alla luce di tali principi deve osservarsi che la fattispecie astratta descritta dalla norma che definisce l’illecito amministrativo, la cui applicabilità è stata evocata dal ricorrente, per nulla è sovrapponile a quella ex art. 479 c.p. e non ne contiene gli elementi costituitivi, per la semplice ma chiara ragione che non prevede condotte di falsificazione.

8.1 Non sono condivisibili le contrarie argomentazioni in proposito sviluppate dal ricorrente, che ha valorizzato sia l’avverbio artificiosamente, sia l’espressione altre forme elusive, entrambe contenute nella disposizione amministrativa, e che – a quanto è dato comprendere – ha inteso ricondurre nell’ambito di un ampio concetto di falsificazione e, quindi, nella fattispecie penale.

8.2 Infatti, premesso che l’avverbio artificiosamente inserito nell’art. 31, comma 31 di cui si discute, non risulta consueto nel linguaggio giuridico, esso, inteso in senso letterale e nel contesto normativo di riferimento, sembra voler sottolineare e rafforzare la necessità della presenza e dell’adozione da parte dei soggetti attivi di sistemi scorretti e difformi da quelli legittimi nella procedura di imputazione delle entrate o delle usate ai pertinenti capitoti di bilancio, ai fini del giudizio di integrazione dell’illecito amministrativo.

8.3 La seconda espressione: atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno, indica chiaramente metodi caratterizzati da un apparente e solo formale rispetto della legge e dall’uso di strumenti leciti ma con l’obbiettivo di raggiungere un risultato contrario ed in ogni caso diverso da quello tipico voluto e previsto dall’ordinamento, sfruttando possibili zone d’ombra della normativa.

8.4 Lo schema legale descritto dalla regola amministrativa, dunque, non delinea alcun elemento di condotta inquadrabile nella pluralità dei fatti tipici di falsificazione contemplati dall’art. 479 c.p., che in definitiva rimandano sempre ad un sostanziosa rappresentazione non vera della realtà, ad opera del pubblico ufficiale, atteso che i comportamenti caratteristici e tipizzanti in essa previsti restano pur sempre quelli di non corrette imputazioni delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio.

9. L’impossibilità di sussumere le condotte addebitate agli imputati esclusivamente nelle ipotesi di illecito amministrativo risulta di solare evidenza, se si pensa che nel caso concreto – secondo le sentenze di merito – ci si trova in presenza di una massiccia cancellazione di spese correnti, pari ad 11 milioni di Euro e di incremento di entrate, pari a circa 6 milioni di Euro.

9.1 Sul punto non è accoglibile la versione della difesa, per la quale le spese non sarebbero state cancellate ma spostate all’anno successivo, venendo meno, quindi, la falsificazione, che, in tesi di accusa, sarebbe fondata proprio sulla eliminazione delle spese.

Deve, in contrario, osservarsi che il sistema dell’appostamento degli impegni di spesa alle voci di bilancio dell’anno successivo e di anticipazione di componenti positive non ancora realizzate, risulta manifestamente contrario ai principi di redazione del bilancio degli Enti territoriali.

9.2 Questo documento – di fondamentale ed intuitiva importanza per la vita dell’Ente – in base ai principi contabili generali contenuti nel D.Lgs. n. 118 del 2011 ed allegati, deve essere, invece, ispirato a criteri: a) di unità, per cui i documenti del sistema di bilancio sono predisposti con cadenza annuale e si riferiscono a distinti periodi di gestione coincidenti con l’anno solare; b) di veridicità, per cui nei dati contabili di bilancio devono essere rappresentate le reali condizioni delle operazioni di gestione di natura economica patrimoniale e finanziaria di esercizio; e) di prudenza, per cui devono essere contabilizzate solo le componenti positive realizzate, mentre tutte le componenti negative devono essere contabilizzate e, quindi, rendicontate anche se non definitivamente concretizzate.

9.3 I metodi di compilazione del bilancio accertati nei giudizi di merito, per quanto innanzi annotate, risultano, invece, platealmente contrari ad ognuno e tutti i principi in proposito stabiliti dalla legge, comportando la sparizione viceversa il fittizio incremento dei predetti elementi contabili dal conto consuntivo del 2010, la confusione dei periodi di gestione finanziaria, l’applicazione al contrario della regola di prudenza e, quindi, la vera e propria falsità del documento finanziario, che nell’esercizio di riferimento ha fornito al pubblico un’informazione sulla situazione finanziaria del Comune in palese contrasto con la realtà dei dati allo scopo adoperabili.

La sentenza impugnata, pertanto, in base alla rilevata ed inequivocabile inveridica rappresentazione contabile, ha correttamente ed in modo aderente ai risultati dei processi, escluso l’applicazione nel caso in esame della norma sull’illecito amministrativo, invocata nell’impugnazione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 9.

10. Il profilo della violazione del principio del ne bis in idem – illustrato al punto 1 bis del ricorso e nei motivi aggiunti – risulta del tutto generico in quanto, pur ricavandosi dagli atti che per là vicenda in esame vi è stata una sentenza della Corte dei Conti nei confronti dei consiglieri comunali di maggioranza e degli imputati, l’atto di impugnazione in nulla ha chiarito in che misura tale pronunzia potrebbe riguardare il ricorrente, nè quale sia stata la decisione adottata, nè ha fornito gli estremi del provvedimento, nè lo ha allegato.

11. Le osservazioni critiche del secondo motivo, sintetizzate in precedenza sub 6., 6.1, 6.2 e 6.3, non hanno relazione con il percorso logico argomentativo sviluppato dalla Corte territoriale, che ha adeguatamente esposte le ragioni de ritenuto elemento psicologico dei delitti e della sussistenza dei loro elementi costitutivi.

11.1 Infatti, la motivazione ha premesso che neppure F. aveva contestato il carattere illecito del meccanismo di disimpegno di spese da un esercizio ad un altro, attribuendone, peraltro, l’esclusiva responsabilità all’assessore V., che ne era stato ideatore e realizzatore. Sul punto la motivazione ha valorizzato – tra le altre prove – la deposizione dell’assessore Ro., che aveva riferito di una riunione, nel corso della quale V. ed il Sindaco si erano concordemente espressi sulla possibilità di rispettare il patto di stabilità nonostante le difficoltà in tal senso esistenti, note a tutti; del resto proprio F. aveva rassicurato lo stesso assessore, che gli aveva domandato della legittimità della procedura seguita per rispettare il patto di stabilità. A migliore esplicazione delle ragioni in fatto della decisione, è stata richiamata la situazione storica locale, nella quale si era inserita la specifica vicenda oggetto delle imputazioni ed il cambio alla direzione del servizio di ragioneria tra Z. e R., determinato proprio dall’imputato, dopo le ripetute dichiarazioni del primo di non modificare i dati contabili allo scopo di far ritenere osservato il patto di stabilità. Del resto è emerso con chiarezza dalla sentenza impugnata che già nel 2009 un terzo direttore della ragioneria, tale S. aveva indicato, con relazione scritta al Sindaco, come necessari consistenti incrementi di entrate e contenimenti di spesa; costui, però, aveva ben compreso che non vi era alcuna volontà di modificare la politica finanziaria del Comune da parte del Sindaco e dell’assessore competente e, dunque, alla prima occasione aveva lasciato l’incarico.

11.2 Quanto all’argomento della presunta sottoscrizione dell’autorizzazione, del 29 Gennaio 2011, agli uffici competenti ad effettuare le imputazioni contabili necessarie al raggiungimento dell’obbiettivo prefissato, va constatato che neppure in questa caso ci si è confrontati con la motivazione. Invero, a fronte delle genetiche doglianze di difetto di motivazione svolte dal ricorrente, emerge dalla sentenza impugnata che l’unico teste – A. – che aveva tentato di smentire l’evidenza del contenuto del documento, pacificamente sottoscritto dal Sindaco, sotto la dicitura la Giunta autorizza, era stato ritenuto talmente di favore nei confronti del giudicabile, per aver reso dichiarazioni palesemente non veritiere, da indurre i Giudici a trasmettere gli atti all’Ufficio di Procura, per la verifica dell’ipotesi di reato di falsa testimonianza.

In proposito – e diversamente da quanto prospettato in ricorso – la motivazione ha richiamato la deposizione del teste Z. negativa dell’esistenza di una lettera di richiesta di spostamento dal suo incarico, invece affermata da A., e l’intrinseca contraddittorietà della testimonianza.

11.3 Nel suddetto ampio ed adeguato quadro dimostrativo, l’ulteriore censura del ricorrente di mancata motivazione circa l’apprezzamento del dato probatorio documentale, costituito dalle schede di singole partite contabili, che sarebbero state esempio di trasparente gestione contabile, oltre ad essere svolta sul pieno merito delle argomentazioni sul fatto, risulta del tutto inidonea a scalfire il congruo ordito motivazionale della sentenza.

11.4 Quanto alle esposizioni di cui ai punti 6.4 e 6.5, non può che constatarsene l’esclusiva valenza di argomenti ad colorandum, posto che lo stesso ricorrente ha dichiarato che i nuovi criteri di imputazione a bilancio delle entrate e delle spese secondo il principio della competenza finanziaria, erano entrati in vigore solo nel 2014, D.Lgs. n. 118 del 2011, ex art. 38, e che se ne vorrebbe trarre un elemento in favore della prospettata buona fede del Sindaco, affidatosi completamente alla competenza dell’assessore V.. Buona fede che, per le congrue ragioni più volte ricordate, è stata esclusa in radice nel corso dei giudizi di merito.

Il terzo motivo di ricorso, nel quale è stata sollevata la questione della qualificazione giuridica degli atti pubblici di cui ai capi di imputazione 1) e 3), è infondato.

12. Deve puntualizzarsi che al Sindaco F. è stato contestato al capo 1) di aver concorso moralmente e materialmente con le condotte già ben descritte nelle sentenze dei Giudici di merito ed innanzi sintetizzate – tra le quali la firma per conto della Giunta all’autorizzazione del 29 Gennaio 2011 – alla falsa formazione della delibera di approvazione del rendiconto di gestione economico-finanziaria del Comune da parte dei consiglieri comunali, indotti in errore – come si legge in sentenza alla pagina 39 – dall’intervento in aula dell’assessore V., che aveva agito in pieno concorso col Sindaco e col direttore di ragioneria; costui, professore universitario in materie economiche, della cui competenza i consiglieri si erano fidati, li aveva convinti che essi, non approvandolo, avrebbero leso le prerogative della Giunta e si sarebbero opposti ad un percorso di risanamento Finanziario efficacemente iniziato.

Al capo 3) è stato contestato di aver formato, sottoscrivendolo, in concorso con V. e R., il prospetto previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 77 bis, comma 15, in cui falsamente era attestato il rispetto del patto di stabilità da parte del Comune di (OMISSIS).

12.1 Il ricorrente ha sostenuto che entrambi gli atti erano da qualificarsi ai sensi dell’art. 480 c.p. – e non art. 479 c.p. come erroneamente aveva ritenuto la Corte – poichè il Sindaco si sarebbe limitato ad attestare la veridicità di dati relativi alla gestione economico-finanziaria del 2010, ma non aveva formato gli atti in base ad attività da egli stesso compiuta.

13. In proposito, quanto alla delibera consiliare di approvazione del rendiconto di gestione economico-finanziaria del Comune, occorre ricordare una antica ma chiara pronunzia di questa Corte, che ha ritenuto atti pubblici ai sensi degli artt. 476-479 c.p. gli atti del Sindaco o degli organi collegiali comunali che manifestano la volontà dell’Ente verso l’esterno e sono destinati per previsione di legge a determinare conseguenze giuridiche. Sez. 5, Sentenza n. 10883 del 01/10/1996 Ud. (dep. 20/12/1996) Rv. 206537.

Tale principio è, del resto, coerente con quanto in generale ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale l’atto pubblico contemplato dagli artt. 476, 479 c.p. è quello caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica (Cass. SU n. 10929/81; conformi Cass. 5 n. 10149 del 1984; Cass. 17 Giugno 1987, Iorio).

13.1 Più recentemente nella nozione di atto pubblico oggetto del delitto di falso ideologico ex art. 479 cod. pen. è stato ricompreso ogni atto redatto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, giacchè ciò che rileva è la provenienza dell’atto dal medesimo ed il contributo dallo stesso fornito, in termini di conoscenza o di determinazione, ad un procedimento della pubblica amministrazione. Sez. 5, Sentenza n. 44383 del 29/05/2015 Ud. (dep. 03/11/2015) rv. 266401. In senso conforme: Sez. 5. Sentenza n. 43737 del 27/09/2012 Ud. (dep. 09/11/2012) Rv. 254520.

13.2 Applicando tali consolidati principi alla fattispecie concreta deve considerasi che la delibera consiliare in discussione, già definibile atto pubblico quanto all’organo collegiale di provenienza ed all’esercizio di pubbliche funzioni di soggetti che l’hanno adottata, è idonea a rappresentare la volontà dell’Ente circa l’approvazione del bilancio consuntivo, è inserita in un più ampio procedimento amministrativo – di cui vi è chiaro riscontro nelle sentenze di merito – ed è destinata per legge a determinare conseguenze giuridiche, produttive degli specifici effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi di situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica, sotto ogni aspetto della complessa attività e del funzionamento dell’amministrazione comunale, sia verso il suo interno che verso l’esterno.

Il provvedimento, pertanto, è qualificabile come atto pubblico ex art. 479 c.p..

14. Quanto al prospetto previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 77 bis, comma 15, al fine di esaminare la questione della sua natura giuridica è opportuna una brevissima disamina – per i fini di interesse – dell’articolato contenuto nella norma ai commi 14, 15 e 20.

14.1 La prima disposizione definisce in via generale il prospetto come lo strumento di comunicazione necessario agli Enti locali per trasmettere semestralmente al Ministero dell’economia e delle finanze le informazioni utili per la finanza pubblica, anche relativamente alla loro situazione debitoria. In particolare, la specifica comunicazione del saldo finanziario da trasmettersi, ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, a cura e responsabilità del rappresentante legale dell’Ente e del responsabile del servizio finanziario – previsto e disciplinato dal comma 15 ed oggetto del capo di imputazione 3) – deve essere inviata, entro il termine perentorio del 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento, al medesimo Ministero.

14.2 Per quanto di notevole rilievo nella fattispecie in esame, vanno ricordate le conseguenze del mancato rispetto del patto di stabilità – che spiegano logicamente le condotte attribuite agli imputati – indicate nel successivo comma 20 del medesimo art. 77. Infatti, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo agli anni 2008-2011, per la Provincia o Comune inadempiente era prevista la riduzione del 5 per cento dei contributi ordinari dovuti dal Ministero dell’interno per l’anno successivo. Inoltre, l’ente inadempiente non avrebbe potuto, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza, impegnare spese correnti in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio e ricorrere all’indebitamento per gli investimenti.

14.3 La normativa, dunque, descrive un atto di indiscutibile dimensione pubblicistica, sottoscritto da due pubblici ufficiali nell’esercizio delle rispettive funzioni di Sindaco e dirigente del servizio finanziario, adottato nell’ambito di un procedimento complesso previsto dalla legge, determinante la volontà dell’Ente locale ed al contempo sua espressione quanto alla informazione al competente organo statale circa la sua situazione finanziaria relativa all’anno precedente a quello di inoltro, dal quale deriva il rilevantissimo effetto della mancata applicazione delle conseguenze collegate al non rispetto del patto di stabilità, di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 77, comma 20, e per queste caratteristiche in possesso, quindi, di una efficacia giuridica autonoma.

Il documento, pertanto, è qualificabile atto pubblico ai sensi dell’art. 479 c.p..

14.4 Le ragioni suestese rendono chiaro che il vocabolo certificazione, con cui è definito nel D.L. n. 112 del 2008,art. 77, comma 15, fatto a firma del Sindaco e del responsabile del Servizio finanziario di cui si discute, non è sufficiente a farlo considerare – come vorrebbe il ricorrente – un certificato ai sensi dell’art. 480 c.p.. Tale ultima ipotesi ricorre, infatti, nel caso in cui l’atto non solo riproduca attestazioni già documentate ma non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, limitandosi a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente. Sez. 2, Sentenza n. 46273 del 15/11/2011 Ud. (dep. 14/12/2011 )Rv. 251549, Sez. 5 sent. 38965 del 2005, rv. 232551; Sez. 5 sentenza 1481 del 2006, Rv 233043.

14.5 Sul punto può, altresì, annotarsi come sia stato affermato che anche in caso di esercizio di una potestà certificativa da parte del pubblico ufficiale inerente all’esercizio delle funzioni istituzionalmente attribuitegli, quando la sua condotta consista nel rendere un’attestazione difforme dalla realtà, sia configurabile il delitto di cui all’art. 479 c.p. Sez. 5, Sentenza n. 30314 del 09/04/2008 Ud. (dep. 18/07/2008) Rv. 240446.

15. Le censure circa il trattamento sanzionatorio sono svolte sul pieno merito dell’apprezzamento discrezionale dei Giudici e non hanno relazione con l’adeguata motivazione, che ha plausibilmente spiegato la negatoria nella massima estensione delle attenuanti generiche definite generosamente riconosciute in primo grado – con il ruolo di maggiore garanzia ricoperto dall’imputato.

16. Quanto alla doglianza inerente il riconoscimento di una provvisionale, va ricordato il costante orientamento di questa Corte per cui il provvedimento con il quale il Giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. Sez. 5, Sentenza n. 5001 del 17/01/2007 Ud. (dep. 07/02/2007) Rv. 236068; Sez. 2, Sentenza n. 49016 del 06/11/2014 Ud. (dep. 25/11/2014) Rv. 261054.

Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono le dedotte violazioni di legge non sono ravvisabili, il ricorso F. deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2018

 
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