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Esiste il modo per limitare lo strapotere dei “parerifici”?

 
Le pubbliche amministrazioni conservano un potere decisionale autonomo, oppure debbono sottostare ad indicazioni “vincolanti” dei “parerifici” presenti in gran quantità?
La sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia, Sezione I,23 dicembre 2015, n. 571 dovrebbe aiutare a rimettere le cose al loro posto.
I pareri, per quanto autorevole possa essere il soggetto che li esprime, restano pareri e, a meno che non sia la legge (e quindi, il Parlamento che, legittimato dal popolo, stabilisce di assegnare all’organo consultivo il potere di vincolare quello esecutivo) a definirli vincolanti, sono senz’altro superabili.

Il passaggio molto sintetico della sentenza, che richiama alla realtà è il seguente: “…osserva questo collegio come il parere dell’Anac reso all’interno di un procedimento di gara va valutato appunto come un parere, certamente non vincolante ancorché autorevole, per cui dallo stesso ci si può discostare, laddove in base ai noti principi sarà pur sempre il giudice a decidere in via definitiva”.
L’attività amministrativa, in particolare degli enti locali, in questi anni è stata particolarmente investita dall’attività consultiva di una serie di organi chiamati ad esprimere pareri:
Aran, Anac, Corte dei conti, Funzione Pubblica, Ministero dell’interno; da poco c’è la new entry della commissione Arconet.
Tutti soggetti autorevolissimi, che, tuttavia, della funzione consultiva in modo sempre più frequente fanno un utilizzo “creativo”, fornendo indicazioni che non trovano riscontro nelle norme. Certo, il parere di per sé deve assolvere al compito di fornire indicazioni che nelle norme non risultino espresse in modo esplicito; ma, da questo a “creare” il precetto intercorre una certa distanza.
Questo significa che anche il parere proveniente dall’autorità più autorevole, come afferma il Tar Friuli Venezia Giulia, resta un parere, che, se non vincolante, è privo tanto della forza di legge, quanto della valore della cosa giudicata.
Chi esprime un parere non decide, ma procura elementi conoscitivi e/o valutativi sulla cui base verrà assunta da altri la decisione”, funzione di natura ausiliaria, “valutazione affidata ad un organo diverso da quello procedente e la strumentalità che lo caratterizza lo fa qualificare come atto endo-procedimentale finalizzato a consentire una corretta realizzazione, dell’interesse pubblico attraverso il provvedimento finale, sul cui procedimento principale il parere stesso si innesta”, afferma dottrina accorta (S. Sfrecola, in materia di contabilità pubblica nei confronti delle regioni e degli enti locali dopo la legge5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “La Loggia”).
Il parere, quindi, si innesta nel procedimento, lo condiziona, ma non si sostituisce alla decisione finale, che resta di pertinenza dell’autorità dotata del potere decisorio di “amministrazione attiva”.
Tale autorità mantiene, nonostante il parere, la possibilità di discostarsene, ovviamente purchè ottemperi all’obbligo di estendere l’istruttoria incisa dal parere stesso, fornendo motivazioni profonde e simmetriche, che fondino la decisione di non seguire l’indicazione fornita dall’autorità.
E’ evidente che seguendo “il flusso” e, dunque, prendendo sempre e comunque per buono ciò che l’autorità afferma col parere si pongono in essere minori sforzi e si pensa anche di correre minori rischi.
Nella realtà, se il rischio consiste nell’esonero da responsabilità o da illegittimità, la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia dovrebbe chiarire le cose: soprattutto il giudice è totalmente libero di discostarsi dal parere di chiunque, perché è solo il giudice “a decidere in via definitiva”. Non è per nulla scontato che ciò che un’autorità ha affermato in sede di parere sia condiviso poi dal giudice.
In qualche misura, laddove il parere appaia manifestamente oltre i confini dell’interpretazione, per giungere fino alla formazione ex novo di regole giuridiche, appare perfino doveroso tenerne conto, per giungere a conclusioni diverse, da parte dell’organo amministrativo. Questo, proprio allo scopo di evitare che l’amministrazione attiva si inserisca nel meccanismo perverso del “parerificio” ed “acquisti” pareri, così da abdicare alla propria funzione e decidere in funzione di quanto indicato da altri.
Non è facile che ciò accada e, nella maggior parte dei casi, è proprio ciò che non accade. Tuttavia, sarebbe necessario che l’amministrazione attiva acquisisse la consapevolezza del proprio ruolo, che non risulta meno autorevole di quello degli organi consultivi. Questi sono utilissimi per ottenere una visione delle questioni indipendente e terza, ma non possono considerarsi lo strumento per rimettere ad altri le proprie decisioni.
Certo, se il legislatore intervenisse per chiarire meglio i confini dei pareri e per introdurre sistemi non tanto di ricorso, quanto di contraddittorio tra organi consultivi ed organi di amministrazione attiva, sarebbe molto meglio.

 

Nel frattempo, proprio per evitare che l’autorevolezza degli enti si riduca a “parerificio” è indispensabile tenere bene a mente l’insegnamento del Tar Friuli Venezia Giulia.

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