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Obbligo di esercizio associato delle funzioni per i piccoli comuni: il TAR Lazio solleva la questione di costituzionalità (Ordinanza n. 1027 del 20 gennaio 2017)

 
Con ordinanza n. 1027 del 20 gennaio 2017 il TAR Lazio ha sollevato la questione di costituzionalità della norma che impone l’obbligo di gestire in forma associata le funzioni fondamentali previsto per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti (fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane).
L’obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali, introdotto dall’art. 14, co. 26-31, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122, è stato più volte rinviato, da ultimo con l’art. 6, co. 5, del DL 244/2016 cd milleproroghe (si veda in argomento il precedente post Le misure di maggior interesse per gli enti locali contenute nel Milleproroghe).
Quali i motivi che hanno indotto il TAR Lazio a ritenere di promuovere la questione di costituzionalità?

In primo luogo, lo strumento legislativo utilizzato, ossia il decreto legge. Il giudice amministrativo sospetta che non vi siano stati, al momento dell’adozione del decreto, i motivi di straordinarietà ed urgenza che giustificano l’adozione del decreto legge, nè d’altra parte la norma tende ad introdurre una disciplina particolare per far fronte ad una situazione eccezionale.
Le norme di cui all’art. 14, co. 26 – 31, d.l. n. 78/2010 lungi dall’incidere su aspetti particolari o su singole funzioni degli enti locali, introducono una riforma ordinamentale giungendo a: delineare in via definitiva l’elenco delle funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p (co. 27); incidere sull’assetto organizzativo dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti prevedendo, in via definitiva, l’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali stesse (co. 28 – 31 quinquies);
– il decreto legge n. 78 del 2010, in parte qua, inoltre, non appare trarre la propria legittimazione dalla necessità di disciplinare casi straordinari, bensì, come già sottolineato, arriva a dettare un’ordinaria disciplina ordinamentale degli enti locali, senza peraltro contenere misure di immediata applicazione;
– le disposizioni sull’obbligo di esercizio associato non hanno trovato, infatti, immediata applicazione, essendo stato previsto, dal comma 31ter, in particolare, un loro attuazione dilazionata nel tempo. Tali termini sono stati, inoltre, più volte prorogati, sino al termine ultimo del 31 dicembre 2016, fissato dall’art. 4, comma 4, d. l. 30 dicembre 2015, n. 210, convertito in l. 25 febbraio 2016, n. 21;
– le medesime disposizioni non sono state adeguatamente giustificate nemmeno sotto il profilo dei risparmi di spesa che si sarebbero potuti ottenere in virtù dell’intervento riformatore, risparmi che, nella specie, non risultano essere stati mai quantificati“. 
Nel merito si ipotizza, poi, che la disciplina si ponga in contrasto con i principi costituzionali del buon andamento, di differenziazione e tutela delle autonomie locali e con l’art. 3 della Carta europea dell’autonomia locale.
L’obbligo di gestione associata comporta infatti “rilevanti conseguenze sul normale funzionamento del circuito democratico:
a) gli organi gestionali non sono più sottoposti all’indirizzo politico degli organi rappresentativi. Nell’attuale ordinamento degli enti locali, gli organi politici (consiglio, giunta, sindaco) esercitano la funzione di controllo degli appararti burocratici essenzialmente tramite due strumenti: il potere di indirizzo politico – amministrativo (emanazione di direttive, piani e programmi) e il potere di attribuzione degli incarichi di funzione dirigenziale.
Secondo il modello di gestione associata obbligatoria entrambi i poteri vengono sottratti agli organi politici comunali, i singoli uffici vengono a perdere la loro individualità, dando vita a nuovi uffici co-gestiti da tutti i comuni associati e al conseguente accentramento delle funzioni di indirizzo, con vulnus del principio di responsabilità politica degli organi democraticamente eletti, espresso dagli artt. 95 e 97 cost. nonché dell’autonomia degli enti locali coinvolti. […]
L’esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali appare, inoltre, comprimere, la potestà regolamentare dei comuni riconosciuta, dall’art. 117, comma 6 cost., “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
Infine, non manifestamente infondata appare la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 133, comma 2, cost., che in relazione all’istituzione di nuovi comuni dispone “La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”.  Dubbi anche sulla compatibilità con gli artt. 114 e 119 cost., in relazione all’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali.
Nell’ordinanza che promuove il giudizio di costituzionalità, il TAR Lazio ricorda come la Corte Costituzionale, con sentenza n. 44 del 2014, ha escluso il contrasto “con l’art. 133, comma 2, cost., della normativa censurata in quanto “detta normativa non prevede la fusione dei piccoli Comuni, con conseguente modifica delle circoscrizioni territoriali. In realtà, diversamente da quanto accade in caso di fusione, gli enti che partecipano all’unione non si estinguono, ma esercitano le loro funzioni amministrative in forma associata”.
Tali affermazioni, tuttavia, meritano di essere nuovamente vagliate alla luce del disposto normativo in tale sede censurato.
L’esercizio associato imposto come forma obbligatoria ai comuni di dimensioni minori dall’art. 14, co. 28, d.l. n. 78/2010 investe, infatti, tutte le funzioni fondamentali come individuate al comma 27 del medesimo art.14, eccezion fatta per le funzioni di cui alla lettera l).
Sebbene attraverso l’esercizio associato di tali funzioni, imposto per legge, gli enti interessati non risultino formalmente estinti, occorre tuttavia interrogarsi sull’autonomia che, ai sensi degli artt. 114, 117, co. 6, 118 e 119, cost., residua in capo ai medesimi in termini di: a) potestà regolamentare; b) titolarità d’esercizio di funzioni proprie o conferite; c) autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Come correttamente osservato da parte ricorrente, l’autonomia di un ente territoriale non può essere disgiunta dalla titolarità di un “nucleo minimo” di attribuzioni e delle correlate potestà regolamentari e finanziarie. Questo nucleo minimo non può che essere rappresentato dalle funzioni fondamentali, per le quali opera una riserva costituzionale di esercizio individuale.
Le norme del d.l. n. 78 del 2010, in tal sede censurate, hanno disposto la traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto nuovo o diverso, spogliandone il precedente titolare, ciò che, ai fini dell’art. 133, comma 2 Cost., non appare distinguibile dall’estinzione dell’ente locale per fusione o incorporazione.
La mancata previsione del coinvolgimento delle popolazioni interessate, alla stregua del disposto dell’art. 133, comma 2, cost., rende anche sotto tale profilo dubbia la legittimità della riforma operata dalle norme del d.l. n. 78 del 2010″.
Qui il link all’ordinanza del TAR Lazio n. 1027 del 20 gennaio 2017.
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