23/01/2017 – la collega Giardina scrive a “Il fatto quotidiano”

Alla Redazione del Fatto Quotidiano

Mi permetto di segnalare un macroscopico errore, almeno per gli addetti ai lavori, nell’articolo “l’affare nomine: un debutto da principianti” a firma Managò pubblicato sul Fatto quotidiano del 22 gennaio.

Nell’articolo si ripete più volte che i fatti sarebbero accaduti anche per l’assenza di un capo di gabinetto “controllore della legittimità degli atti “, e si aggiunge ” assieme al segretario generale”, anche questo assente al momento dell’approvazione della macrostruttura. 

Il capo di gabinetto non soltanto non è figura obbligatoria negli enti locali, ma non può certamente avere compiti di controllo della legittimità degli atti, in quanto nominato fiduciariamente dal sindaco ai sensi dell’art 90 del testo unico degli enti locali. Una recente modifica della norma, intervenuta nel 2014, ne ha addirittura consentito una retribuzione parametrata a quella dei dirigenti, anche in assenza dei corrispondenti titoli di studio che infatti non sono assolutamente richiesti. Significa in sostanza che il capo di gabinetto può avere la terza media ma può essere pagato come un dirigente. 

I pochi controlli di legittimità che (ancora per poco) sopravvivono negli enti locali fanno capo invece al segretario comunale che, ex art.97 TUEL, ” svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”.

Figura poco conosciuta al cittadino (…ed anche alla stampa, pare) e scomoda per una certa politica , quella del segretario comunale, che per l’appunto la riforma Madia della dirigenza, incagliatasi nella sentenza della corte costituzionale 251/2016, voleva abolire.

Una figura che ha visto indebolire le sue funzioni ed il suo ruolo dopo la riforma Bassanini, che introdusse per la prima volta per questi dirigenti uno spoils system all’italiana. Il segretario comunale dal 1997 vede scadere il suo incarico nel comune o nella provincia alla scadenza del mandato del sindaco e viene nominato con una procedura che, seppure apparentemente trasparente (avvisi pubblici segnalano le sedi vacanti), è totalmente rimessa alla discrezionalità politica (non è richiesta alcuna motivazione ai sindaci per la scelta operata). Ma se la riforma Madia voleva abolire i segretari, stranamente però voleva al tempo stesso estendere il medesimo regime di nomina e decadenza dell’incarico a tutta la dirigenza… (forse non erano bastati 20 anni di spoil system per piegare i segretari ai voleri della politica ?)

Ciò che avviene per la prima volta in Italia e a Roma è il chieder conto ad un sindaco di come ha operato le sue scelte nelle nomine dirigenziali. Perché se è vero che nei paesi anglosassoni lo spoil system sarebbe la regola (verità molto opinabile però …), sicuramente li opera anche il concetto di accountability, in virtù del quale se un politico nomina un disonesto , ne risponde politicamente e dovrebbe dimettersi anche lui .

Ma, ripeto, sarebbe la prima volta che succede in Italia, perché mai si è visto un politico che si sentisse responsabile della cattiva scelta di un proprio fiduciario, e ciò in nome di un malinteso ed ipocrita principio di separazione delle competenze. Una certa politica è arrivata persino alla “saggia” conclusione che è preferibile un segretario/dirigente accomodante e poco competente ad uno intelligente e preparato! 

Anche questa è semplificazione e lotta alla burocrazia e le conseguenze sono oggi sotto gli occhi di chi vuol vederle.

Ad un giornalista d’inchiesta suggerirei un’indagine sui capi di gabinetto degli enti locali, per verificarne competenze e retribuzioni , perché è molto strano che l’ufficio legale del comune di Roma abbia commesso un così macroscopico errore allorché consigliò alla Raggi di nominare fiduciariamente il capo di gabinetto (il giudice Raineri, dimessasi prima che Anac rilevasse la illegittimità della nomina) , riconoscendole però un trattamento economico superiore a quello della dirigenza ex art.110 (che però disciplina altra e ben diversa fattispecie). 

Verrebbe quasi da pensare che forse sia prassi diffusa nei grandi comuni incrociare le due norme per arrivare ad una applicazione “di comodo”.

E non ci aiuta ad avere qualche informazione in più neanche l’accesso civico e la trasparenza, che impongono a tutti i comuni di pubblicare solo il costo complessivo degli uffici di staff (in cui è inserito il capo di gabinetto) e non le singole retribuzioni riconosciute a questi fiduciari della politica.

Sono però fiduciosa che il Vostro quotidiano, che fa dell’indipendenza dalla politica la sua bandiera, sappia approfondire nel modo migliore la questione e fare luce sulle pericolose scelte politiche che erano alla base della riforma della dirigenza e che, se attuate, rischiano di minare nel profondo la nostra Costituzione. 

Mi permetto di scrivere alla redazione ed al direttore perché non sono riuscita ad inserire il commento nel blog in calce all’articolo, credo per ragioni tecniche.

Ringrazio e saluto cordialmente 

Maria Concetta Giardina 

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