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Ai fini dell’inconferibilità dell’incarico non conta la veste formale del soggetto conferente
di Michele Nico – Dirigente amministrativo di ente locale

 

L’incarico di amministratore delegato di un consorzio universitario non può essere conferito a colui che, nei due anni precedenti, abbia rivestito la carica di vicesindaco in un Comune con popolazione superiore a 15 mila abitanti.

Ancora una volta l’art. 7, D.Lgs. n. 39 del 2013, in tema di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso la Pa, fa breccia nelle dinamiche del governo locale con una interpretazione restrittiva dell’Anac, volta a rimuovere le cause di un potenziale conflitto di interessi nell’amministrazione della cosa pubblica.

In base al comma 2, lett. c), del suddetto articolo “a coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico, ovvero a coloro che nell’anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico, non possono essere conferiti […] gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale”.

Nel caso di specie portato all’esame dell’Autorità, un esposto anonimo comunica il mancato rispetto di tale disposto in relazione all’incarico di presidente di un Consorzio universitario conferito dalla relativa assemblea dei soci il 10 marzo 2015 all’amministratore di un Comune che, in pari data, rassegna le dimissioni dall’incarico di vicesindaco, immaginando che tale rimedio sia sufficiente per poter essere nominato alla guida del Consorzio.

La fattispecie è però regolata dall’art. 7, D.Lgs. n. 39 del 2013, che preclude l’assunzione di un siffatto incarico nelle condizioni date, per una serie di circostanze concomitanti che fanno scattare un preciso divieto.

L’interessato, in primo luogo, ha ricoperto la carica di amministratore in un Comune con oltre 15 mila abitanti secondo quanto prevede il disposto in parola, mentre d’altro canto l’incarico di destinazione riguarda per certo un ente pubblico, rientrando in tale categoria la figura giuridica del consorzio universitario.

E’ poi fuor di dubbio che la carica di presidente di quest’ultimo soggetto territoriale rientra in quella di amministratore di ente di pubblico, di cui all’art. 1, comma 2, lett. l), D.Lgs. n. 39 del 2013, il quale fa appunto riferimento agli incarichi di “Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell’ente, comunque denominato”.

Tanto basta all’Autorità di vigilanza per accertare la sussistenza di una situazione di inconferibilità, che preclude la legittima assunzione di un siffatto incarico di governo, che tuttavia nel caso di specie è stato de facto conferito ed esercitato dal 10 marzo al 21 settembre 2015.

L’illegittimo esercizio della carica per tale arco di tempo si configura un “vulnus” del diritto amministrativo, e non è scevro di gravi conseguenze.

Ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. n. 39 del 2013 i componenti degli organi che hanno conferito incarichi dichiarati nulli sono responsabili per le conseguenze economiche degli atti adottati, mentre tale evenienza fa nel contempo scattare l’irrogazione della sanzione inibitoria costituita dal divieto, per i medesimi membri collegiali, di conferire gli incarichi di loro competenza per un periodo di tre mesi.

Sotto il profilo formale, si potrebbe obiettare che la nomina a presidente del Consorzio – preclusa dal D.Lgs. n. 39 del 2013 – è avvenuta per via indiretta, ossia mediante un atto deliberato dall’assemblea dei soci.

La questione è stata già più volte affrontata dall’Anac, che con gli orientamenti n. 100/2014 e n. 122/2014 ha rilevato che sussiste la prefigurata ipotesi di inconferibilità anche quando l’incarico di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico sia stato conferito “non dall’amministrazione locale ma da un organo sociale del medesimo Ente di diritto privato in controllo pubblico”.

Ciò che conta, in definitiva, non è la veste formale del soggetto conferente, bensì il divieto generale legato alla provenienza da cariche politiche che mira a prevenire conflitti di interesse tra le posizioni del vigilante/controllore che possa al contempo divenire soggetto gestore.

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