22/10/2018 – L’efficacia temporale delle prescrizioni del piano regolatore: la criticità del sistema legislativo

L’efficacia temporale delle prescrizioni del piano regolatore: la criticità del sistema legislativo

A cura di Assunta Ruberto

 La tematica dell’efficacia temporale delle prescrizioni del piano interseca quella che è l’esigenza tipica di tutti gli atti di pianificazione. Questi ultimi, da un lato , garantiscono una stabile organicità degli assetti regolati, dall’altro, la governabilità degli interessi sopravvenuti.

Con il termine pianificare si intende programmare lo sviluppo di un territorio.

Occorre, però, rilevare che la pianificazione deve comunque tener conto di eventuali interessi sopravvenuti.

Analizzando la l. n. 1150/1942, l’art 11 comma 1 cristallizza una regola: “il piano regolatore generale del Comune ha vigore a tempo indeterminato”.

A tale regola, è ammessa un’eccezione espressamente positivizzata ovvero che i vincoli preordinati all’esproprio ed i vincoli che comportano l’inedificabilità assoluta hanno durata quinquennale. Tali vincoli perdono efficacia se entro cinque anni non intervengono i relativi atti applicativi.

Tali tipologie di vincoli rientrano nella più generale categoria dei vincoli a contenuto espropriativo. Questi, infatti, comprendono sia le previsioni che comportano l’inedificabilità di aree in attesa della loro espropriazione (cd. vincoli preordinati all’espropriazione) sia le previsioni che determinano uno svuotamento di rilevante entità del contenuto della proprietà mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati, comportanti inedificabilità assoluta (cd. vincoli sostanziali di inedificabilità).

Proprio riguardo alla suddetta eccezione che per lungo tempo la giurisprudenza ha dibattuto. Tale elaborazione giurisprudenziale ha condotto alla distinzione tra zonizzazione e localizzazione.

Con riguardo alle zonizzazioni, si riconosce la loro efficacia a tempo indeterminato.

Si è di fronte ad una zonizzazione quando le prescrizioni del piano tendano ad “una zonizzazione dell’intero territorio comunale o parte di esso, si da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione assolta dall’intera zona in cui questi ricadano e delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto con un’opera pubblica”.

A tali prescrizioni viene attribuita una efficacia conformativa del diritto di proprietà.

Sono espressioni del potere conformativo le prescrizioni o vincoli che conformano il diritto di proprietà (cd. configurazione giuridica della proprietà) iscrivendolo in uno statuto proprietario speciale e circoscrivendone le facoltà in conformità alla naturale struttura del bene e, pertanto, non abbisognano di indennizzo (come, ad es. i vincoli paesistici o storico-artistici).

Infatti, anche qualora le suddette prescrizioni comportino un vincolo di inedificabilità assoluta, non sono incompatibili con la titolarità del diritto di proprietà, ma si limitano a conformarlo, eventualmente anche limitando del tutto le facoltà edificatorie.

Evidente è la differenza con quelle previsioni riconducibili al potere ablatorio. Queste non incidono sulla configurazione del diritto di proprietà, non riguardano un modo di essere della stessa, ma svuotano il diritto dominicale delle sue facoltà essenziali, con la conseguenza che questa compressione deve essere indennizzata.

La giurisprudenza ha precisato “la natura espropriativa o conformativa del vincolo va verificata non in astratto, ma sulla base della concreta disciplina urbanistica impressa ai singoli suoli, al fine di accertare se la destinazione impressa agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione ovvero, non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari”. (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 07/04/2010 n° 1982

Per le ragioni suesposte, le prescrizioni inerenti al potere conformativo non vengono ricondotte all’interno della categoria degli espropri sostanziali e non necessitano di indennizzo.

A conferma di ciò, l’art 9, comma 2 del D.P.R. n. 327/2001 attribuisce efficacia quinquennale ai soli vincoli preordinati all’esproprio e non anche a quelli di inedificabilità assoluta.

Piuttosto, per le previsioni a tempo indeterminate, potrebbe sorgere un problema diverso, poiché l’indeterminatezza temporale potrebbe risultare un limite, comprimendo, ad esempio, i bisogni del territorio.

Dinanzi alla nascita di un interesse, la regola prevede che il piano possa essere cambiato con un procedimento identico a quello previsto per la sua approvazione.

Tuttavia, mediante l’utilizzo di questa variante ordinaria, non si riesce a soddisfare in modo ottimale l’interesse emergente.

Per tale ragione, sono sorte nell’ordinamento procedure di variante semplificate.

Esemplificativo, in tal senso, sono l’approvazione del progetto di un’opera pubblica in variante tipizzata dall’art 19 del D.P.R. n. 327/2001 oppure il modulo procedimentale previsto dall’art 5 del D.P.R. n. 447/1998 per i progetti di insediamento di impianti produttivi in variante allo strumento urbanistico.

Occorre, però, precisare che a monte dell’art 5 del D.P.R. n. 447/1998 non c’è alcun atto di programmazione. Inoltre, tale procedimento da eccezione si è trasformato in regola.

Per questo motivo, la giurisprudenza amministrativa è intervenuta per limitare l’abuso del procedimento derogatorio, prevedendo che le Regioni “a fronte di un modello procedimentale derogatorio rispetto a quello generale possono legittimamente intervenire per circoscriverne la portata, adottando misure vincolanti ragionevolmente atte a scongiurare il rischio che l’istituto dell’art 5 finisca per eludere la logica unitaria della pianificazione territoriale”.

Con riguardo, invece, alle localizzazioni ad efficacia quinquennale, attraverso le stesse, si prevede la realizzazione di un’opera pubblica. In tal modo l’aerea oggetto di localizzazione potrebbe diventare oggetto di un procedimento ablatorio.

Tali previsioni sono caratterizzate dal fatto che non comprimono lo ius aedificandi, ma, allo stesso tempo, sono incompatibili con la proprietà privata del bene.

Al riguardo, è intervenuta una importante sentenza della Corte Costituzionale del 29 maggio 1968 n. 55.

In tale occasione, la Corte ritenne che i vincoli  preordinati all’espropriazione hanno carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso che comportano come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati (tale definizione è stata poi sviluppata nella successiva n. 55 del 1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);

Inoltre, sono tali quei vincoli che superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga l’espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all’esproprio) attraverso l’approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge;

Sono vincoli preordinati all’esproprio quelli che superano sotto un profilo quantitativo (“per la maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto”: sentenza n. 6 del 1966) la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).

Assumono, invece, certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995).

Questo ovviamente in assenza di previsione alternativa dell’indennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo che l’obbligo dell’indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).

La Corte, nella sentenza del 1968, offriva al Legislatore due possibilità: o l’efficacia limitata nel tempo o l’immediata indennizzabilità.

Tra queste due possibilità, il Legislatore scelse la prima, anche in considerazione dell’enorme dispendio economico che avrebbe provocato la seconda possibilità.

Orbene, le localizzazioni o vincoli espropriativi hanno durata quinquennale e decadono se, nell’arco di cinque anni, non interviene l’atto dichiarativo della pubblica utilità.

A differenza di quanto previsto dall’art 10 della l. n. 1150/1942, l’efficacia limitata nel tempo viene oggi riconosciuta ai soli vincoli espropriativi e non anche ai vincoli di inedificabilità assoluta.

Quindi, tutti i vincoli espropriativi sono vincoli di inedificabilità assoluta, ma non tutti i vincoli di inedificabilità assoluta sono vincoli espropriativi.

Infatti, ci sono beni di inedificabilità assoluta che sono espressione di una generica zonizzazione e che non risultano essere incompatibili con la titolarità dei beni incisi.

In quanto tali, hanno efficacia illimitata nel tempo.

Il vincolo localizzativo, invece, ha efficacia limitata nel tempo perché espressione del potere di ablazione della proprietà.

Quando decorre il quinquennio, il vincolo decade con effetti ex nunc.

Di conseguenza, l’area diventa “zona bianca”. In capo al Comune grava l’obbligo di ritipizzazione urbanistica.

Rientra nella potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti analiticamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche” (sentenza n. 575 del 1989).

Essendo i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, l’indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa destinazione o con altri mezzi, “è costituzionalmente legittima a condizione che l’esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968” (sentenza n. 575 del 1989).

L’obbligo di indennizzo è previsto dall’art 39, comma 1, del D.P.R. n 327/2001.

Apparentemente, tale disposizione normativa sembrerebbe essere una garanzia per il privato. In realtà, non lo è.

In primo luogo, perché la previsione dell’indennizzo non è requisito di legittimità della delibera di reiterazione.

In secondo luogo, l’indennizzo, per espressa previsione normativa, deve essere commisurato “all’entità del danno effettivamente patito”.

Per il privato si prefigurerebbe una sorta di probatio diabolica poiché risulta assai difficile, se non impossibile, dimostrare la reiterazione del vincolo espropriativo su di un terreno sul quale già grava un vincolo di inedificabilità da esproprio.

La perdita dello ius aedificandi è già di per sé da indennizzare.

In tal modo, la ratio sottesa alla statuizione della Corte Costituzionale non verrebbe rispettata.

La Corte ritiene che la reiterazione equivale ad un esproprio e, in quanto tale, deve essere indennizzata.

Invece, per il Legislatore, è richiesta la prova del danno effettivamente patito.

Occorre osservare che il terreno è già inedificabile da cinque anni e non è ben chiara la consistenza del danno patito in forza della delibera di reiterazione.

Ebbene, la critica mossa nei confronti di quanto suesposto consiste nell’evidente penalizzazione della proprietà privata al fine di salvaguardare le casse degli enti pubblici in vista di programmazioni di opere pubbliche che, per la non disponibilità di risorse economiche, restano solo un’utopia.

Si auspica, quindi, un cambiamento normativo che preveda l’avvio della procedura espropriativa e l’imposizione el vincolo solo qualora ci sia la reale disponibilità economica dell’ente pubblico per la realizzazione dell’opera.

Occorre però rilevare che un cambio di rotta, da parte della giurisprudenza amministrativa, si sta avendo. Infatti, più di recente anche a seguito del decisivo impulso fornito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale,  la giurisprudenza tende ad affermare che la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti (oggi rientrante nella previsione di cui all’art. 9 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, poiché l’amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti é tenuta ad accertare che l’interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative. Inoltre, la stessa deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l’accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell’indennità di espropriazione.

E’ stato rilevato, in particolare, che l’obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell’adozione di variante generale al PRG. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3365).

Nel passato, invece, giurisprudenza amministrativa é stata orientata nell’affermare che la motivazione sottesa alla reiterazione del vincolo potesse consistere anche in generiche considerazioni omnicomprensive dell’intero territorio comunale.

Quindi, la prassi esistente in passato era caratterizzata dal fatto che, in sede di reiterazione dei vincoli scaduti per decorrenza del quinquennio, nel caso in cui l’amministrazione intendeva procedere alla reiterazione totale dei vincoli, era sufficiente la sola documentazione che attestava l’esistenza dei problemi di ordine generale che incidevano in senso negativo sulle condizioni di vita dell’intera cittadinanza, non risolti o addirittura medio tempore aggravatisi.

Non era necessaria una rinnovata indagine condotta sulle singole aree, al fine di accertare la perdurante necessità di disporre di esse, al fine di soddisfare quelle esigenze.

Infatti, il giudizio in ordine all’attualità dei bisogni recava in sé quello sulla persistente attualità ed idoneità delle soluzioni a suo tempo prefigurate per soddisfarli.

Invece, nel caso in cui il procedimento reiterativo del vincolo aveva un oggetto circoscritto, l’amministrazione doveva adottare una specifica ed analitica motivazione, poiché, non avendo attivato con tempestività il procedimento ablatorio, avrebbe potuto ingenerare nel privato proprietario un legittimo affidamento ovvero il convincimento che non sussisteva più un effettivo e concreto interesse pubblico da tutelare.

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