20/09/2019 – La funzione datoriale impone di resistere alle pressioni sindacali

La funzione datoriale impone di resistere alle pressioni sindacali
L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 18/9/2019)
Uno dei maggiori problemi della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico consiste nella pessima attitudine dei datori di lavoro pubblici a svolgere la funzione datoriale e, specificamente, ad assumere seriamente il ruolo di controparte nella contrattazione.

La sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Molise 11 luglio 2019, n. 22 riassume in modo emblematico l’attualità e gravità della situazione.

La vicenda concerne la, purtroppo, classica attribuzione di compensi per il risultato, in assenza di una preventiva assegnazione di obiettivi specifici da raggiungere ed in mancanza di e una valutazione sufficiente per una sicura e piena giustificazione o sinallagmaticità del compenso alla prestazione resa in relazione al livello degli obiettivi effettivamente raggiunti.

Si è trattato, dunque, di una liquidazione liquidazione “a pioggia” dei compensi in misura uguale per tutti.

Nonostante l’impianto della riforma Brunetta del 2009, ma ancora prima dei contratti degli anni ‘90 del secolo scorso, le amministrazioni pubbliche erano e sono ancora parecchio refrattarie all’applicazione dei sistemi di programmazione del lavoro ed alla valutazione.

Sia detto per inciso: la riforma Brunetta è stata accompagnata dal fallimento clamoroso del tentativo di introdurre un indispensabile sistema di standardizzazione dei programmi, degli obiettivi e dei sistemi di valutazione, che ha portato al naufragio della Civit ed all’assenza totale di un presidio di questo aspetto.

Non solo: l’introduzione, nei contratti di comparto, delle regole per la progressione orizzontale, ha trasformato quel che nel privato è la semplicissima anzianità di servizio in un apparato valutativo, regolatorio e gestionale, di gestione complicatissima e fonte di un contenzioso infinito, perché i sindacati spingono sempre per passaggi ecumenici rivolti a tutti, trovando spesso ben poca resistenza della controparte.

Ancora, la media della retribuzione di risultato si attesta poco sopra i 1000 euro lordi. L’insieme di questi dati ed osservazioni dovrebbe portare il legislatore e le parti contrattuali ad una profonda rimeditazione. Attivare complicatissimi sistemi di programmazione e valutazione per attribuire un incremento stipendiale che nel resto del Mondo si collega all’anzianità, oppure per erogare a stento 1000 euro lordi è una spesa maggiore dell’impresa. Andrebbe totalmente superata l’idea che la produttività si compensi con fondi contrattuali precostituiti. Molto più serio appare destinare i fondi esclusivamente a indennità a compenso di lavoro connesso a mansioni e responsabilità e legare il finanziamento della produttività sì a programmazione di obiettivi, ma a risorse non predeterminate o predeterminabili, sì da sventare l’idea – radicatissima – che esse siano comunque un diritto acquisito. Gli enti dovrebbero premiare la produttività solo in presenza di eventi definiti in modo standard: assenza di indici di dissesto o pre-dissesto, tempi di pagamento sotto i termini previsti dalla legge, indice di contenzioso inferiore a determinati parametri, tasso di rispetto dei programmi principali (lavori pubblici, servizi, personale) e pochi altri.

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