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Tassa rifiuti, obblighi in chiaro  

di SERGIO TROVATO – Italia Oggi Sette – 19 Agosto 2019
Per la tassa rifiuti non si allungano i tempi per denunciare gli immobili occupati. La dichiarazione Tari va presentata entro il 30 giugno dell’ anno successivo all’ inizio dell’ occupazione e non entro il 31 dicembre dell’ anno successivo all’ acquisto del possesso, come per l’ Imu e la Tasi. Il differimento del termine previsto dal dl «crescita» per le dichiarazioni ha un ambito di applicazione limitato e non si estende alla Tari. Lo ha chiarito il dipartimento delle finanze del ministero dell’ economia, con la risoluzione 2/2019, in risposta a un quesito (si veda ItaliaOggi del 7 agosto). L’ articolo 3-ter, introdotto in sede di conversione in legge (58/2019) del dl «Crescita» (34/2019), ha previsto un ampliamento del termine per la presentazione delle dichiarazioni Imu e Tasi. Questa norma ha modificato l’ articolo 1, comma 684, della legge 147/2013 istitutiva della Iuc. Secondo alcuni il differimento del termine al 31 dicembre per le dichiarazioni si applicherebbe anche alla Tari, considerato che della cosiddetta imposta unica comunale (Iuc) fanno parte i tre tributi.
Secondo il dipartimento delle Finanze, invece, «da una lettura sistematica delle norme appena richiamate emerge che la modifica dei termini di presentazione della dichiarazione riguarda esclusivamente l’ Imu e la Tasi e non anche la Tari». Secondo il ministero, la volontà del legislatore è inequivoca, poiché l’ articolo 3-ter «si riferisce espressamente ai “Termini per la presentazione delle dichiarazioni relative all’ imposta municipale propria e al tributo per i servizi indivisibili”». Pertanto, lo slittamento del termine di presentazione della dichiarazione dal 30 giugno al 31 dicembre non può che valere che per questi tributi. Per la Tari, dunque, rimane fermo il 30 giugno. Mentre solo le dichiarazioni Imu e Tasi devono essere presentate entro il nuovo termine del 31 dicembre dell’ anno successivo a quello in cui è sorto il presupposto impositivo.
Il presupposto per la tassazione. L’ obbligo di presentare la dichiarazione è legato al presupposto per la tassazione dell’ immobile occupato. Naturalmente, non può essere soggetto al pagamento un immobile che per le sue caratteristiche è fuori dal campo di applicazione del tributo. L’ articolo 1, comma 641, della legge 147/2013 prevede che il presupposto della Tari sia il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Per esempio, sono esonerate dal pagamento della tassa le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’ articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
Allo stesso modo non sono soggetti a imposizione i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’ anno, sempre che queste circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o a idonea documentazione. Tra i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per la natura delle loro superfici rientrano quelli situati in luoghi impraticabili, interclusi o in stato di abbandono. Rientrano tra gli immobili oggettivamente inutilizzabili o insuscettibili di produrre rifiuti anche quelli inagibili o inabitabili.
Un immobile destinato a attività commerciale su una parte del quale vengono eseguiti lavori di ristrutturazione è soggetto integralmente al pagamento della tassa rifiuti, se il titolare non dimostri con apposita documentazione l’ inagibilità dell’ immobile che lo rende inutilizzabile, nonché la durata e le modalità di esecuzione dei lavori. In questo senso si è espressa la Cassazione con la sentenza 8910/2018. Per i giudici di legittimità è importante dimostrare «se la ristrutturazione ha interessato l’ intera unità immobiliare, impedendone quindi l’ utilizzazione, o solo una parte». L’ obiettiva inutilizzabilità «ricorre non già quando i locali sono stati lasciati, per una qualsiasi ragione, inutilizzati, ma quando sono in condizioni che ne impediscono l’ utilizzabilità, solo in tal caso le superfici possono essere sottratte alla tassazione».
Secondo la Cassazione, poi, l’ inutilizzabilità «deve essere univocamente accertabile». La contribuente, invece, «non ha prodotto documentazione comprovante l’ avvenuta ristrutturazione e attestante durata e modalità di esecuzione dei lavori». In effetti, la legge prevede una presunzione relativa di produzione dei rifiuti che ammette la prova contraria. La sussistenza delle condizioni che fanno venir meno la presunzione di legge della potenziale produzione di rifiuti devono essere provate dal contribuente e riscontrabili da parte dell’ amministrazione. Sono sottratti all’ imposizione solo i locali e le aree che sono oggettivamente inutilizzabili o insuscettibili di produrre rifiuti, e non quelli lasciati in concreto inutilizzati. Anche la scelta soggettiva del titolare di non usare l’ immobile non assume alcuna rilevanza.
La Cassazione ha ripetutamente ribadito che anche gli immobili vuoti, vale a dire privi di allacci alle reti idriche, elettriche, o di mobili, sono soggetti al prelievo. Del resto, il principio che tutti gli immobili devono essere tassati non subisce alcuna deroga neanche nei casi in cui il servizio di raccolta dei rifiuti non venga svolto dall’ amministrazione comunale o venga svolto in modo inefficiente. Anche quando vengono meno le condizioni che consentono di poter fruire del servizio, i contribuenti sono tenuti al pagamento del tributo, seppure in misura ridotta. In questi casi la tassa è dovuta in misura non superiore al 40%.
Per affermare questo diritto alla riduzione non è richiesto che gli interessati debbano dimostrare una precisa responsabilità dell’ amministrazione. L’ agevolazione spetta per il semplice fatto che il servizio non venga svolto secondo i criteri previsti dalla legge e dal regolamento comunale. Al riguardo la Cassazione, con l’ ordinanza 22531/2017, ha giudicato infondata una decisione del giudice tributario, laddove non aveva riconosciuto il diritto del contribuente alla riduzione tariffaria poiché aveva escluso la responsabilità del comune di Napoli per il disservizio. E ha precisato che non ha alcuna rilevanza la responsabilità dell’ amministrazione.
In base alla disciplina Tarsu, ma la stessa regola vale oggi per la Tari, il diritto alla riduzione sorge «per il solo fatto che il servizio di raccolta, debitamente istituito ed attivato, non venga poi concretamente svolto, ovvero venga svolto in grave difformità rispetto alle modalità regolamentari relative alle distanze e capacità dei contenitori, ed alla frequenza della raccolta; così da far venir meno le condizioni di ordinaria e agevole fruizione del servizio da parte dell’ utente». Il trattamento agevolato non è un risarcimento del danno per la mancata raccolta dei rifiuti, né costituisce una sanzione per l’ amministrazione inadempiente.

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