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L’autonomia impoverisce il Sud – Lombardia, Veneto ed Emilia più ricche con la riforma

di FRANCESCO CERISANO – Italia Oggi – 18 Luglio 2019
L’ autonomia differenziata, chiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, su cui il governo sta faticosamente cercando di trovare la quadra, rischia di impoverire le altre regioni, soprattutto quelle meno ricche. La conferma del vizio di fondo contenuto nelle bozze d’ intesa raggiunte tra la presidenza del consiglio e le tre regioni lo scorso 25 febbraio, arriva dalla sezione autonomie della Corte dei conti che è stata ascoltata in audizione dalla commissione parlamentare per l’ attuazione del federalismo fiscale. Il finanziamento delle funzioni, così come disegnato nelle tre intese, rischia infatti di «accentuare le differenze nel riparto territoriale delle disponibilità finanziarie per la fornitura di servizi pubblici, contraddicendo la funzione perequativa delle risorse trasferite dallo Stato verso i territori meno performanti».
E non è un caso che proprio su questo punto si siano al momento arenate le trattative tra le due anime del governo gialloverde (si veda ItaliaOggi del 12 luglio), con il MoVimento 5 Stelle che in più di un’ occasione ha espresso dubbi sugli effetti negativi che il meccanismo di finanziamento delle funzioni trasferite potrebbe produrre sui conti delle altre regioni. Le perplessità dei Pentastellati sono state confermate dalla Corte dei conti, a cominciare dalle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali (Iva e Irpef).
Le intese prevedono che un eventuale extragettito delle compartecipazioni (rispetto alla spesa storica statale in sede di prima applicazione della regionalismo differenziato e, successivamente, rispetto alla determinazione dei fabbisogni standard che dovranno determinare a regime l’ ammontare delle risorse da trasferire) rimanga nella disponibilità delle tre regioni. Qualora il gettito sia inferiore alle risorse predeterminate, le minori entrate saranno compensate grazie alla revisione periodica delle aliquote. La Lega, come si sa, non intende rinunciare alle aliquote variabili, ma la Corte conti mette in guardia dai possibili effetti distorsivi di un tale meccanismo perché, data la clausola di invarianza della spesa pubblica, le differenze territoriali potrebbero accentuarsi. Non solo.
Nel caso di mancata determinazione dei fabbisogni standard nell’ arco di tre anni, le intese prevedono che il finanziamento delle funzioni venga fissato a un livello non inferiore alla media pro capite nazionale della spesa statale corrispondente alle funzioni attribuite. Ebbene, in questa ipotesi, osservano i magistrati della sezione autonomie, «le risorse finanziarie che lo stato dovrebbe trasferire alle regioni ad autonomia differenziata, ad esempio le funzioni relative alla tutela della salute o alla pubblica istruzione, sarebbero superiori a quelle attualmente spese in quei territori». E tutto questo, in considerazione della clausola, prevista nelle bozze di intesa, che prevede che il trasferimento delle funzioni avvenga «a saldi invariati e senza ulteriori oneri per la finanza pubblica» potrebbe comportare «una riduzione delle risorse fiscali disponibili per le altre regioni». I numeri della Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap) lo confermano.
La spesa per l’ istruzione scolastica nel 2016 è stata pari a 31,4 miliardi di euro in valore assoluto, e a 518 euro pro capite a livello nazionale. Tale spesa risulta essere superiore a quella erogata nelle tre regioni che reclamano l’ autonomia differenziata, che si attesta a quota 459 euro pro capite in Lombardia, 477 euro in Veneto e 457 euro in Emilia-Romagna. In pratica le tre regioni ci guadagnerebbero portando a casa più risorse di quanto speso attualmente dallo Stato sul territorio. Stesso discorso per il finanziamento della sanità (pari in valore assoluto a un miliardo di euro) che, a livello nazionale, è pari a 17,65 euro pro capite, ossia più di quanto erogato in Lombardia (9,16 euro), Veneto (8,53 euro) ed Emilia-Romagna (10,11 euro). Queste considerazioni inducono la Corte dei conti a chiedere una maggiore ponderazione e un necessario raccordo del regionalismo differenziato con la legge delega sul federalismo fiscale (legge n.42/2009) e con il relativo decreto attuativo sul fisco regionale (dlgs n.68/2011) rimasto fino ad ora lettera morta.
La Corte ha espresso perplessità sul fatto che la riforma possa essere realmente a costo zero per l’ erario perché «richiede un notevole impegno anche sul versante della spesa, pur se non di immediata percezione sotto il profilo finanziario, che dovrebbe essere oggetto di una preventiva analisi costi-benefici». Di qui la richiesta che venga previsto «un adeguato sistema di monitoraggio/rendicontazione che garantisca in modo oggettivo la trasparenza delle attività svolte e dei risultati conseguiti». «Apprendo con grande interesse il contenuto della relazione della Corte dei conti sul tema dell’ autonomia differenziata», ha osservato il viceministro all’ economia Laura Castelli (M5S). «I meccanismi di finanziamento dell’ autonomia, come da noi più volte sostenuto, devono raccordarsi con la legge attuativa del federalismo fiscale e non possono sottrarsi alla perequazione interregionale. La Corte ci dice che dobbiamo ripartire dal dlgs 68/2011, ed io aggiungo, che è il momento di ripartire soprattutto dalla perequazione infrastrutturale».

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