19/03/2019 – Scia e verifiche dell’amministrazione: la Corte costituzionale chiarisce tempi e modalità per la tutela dei terzi

Scia e verifiche dell’amministrazione: la Corte costituzionale chiarisce tempi e modalità per la tutela dei terzi

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Con la Sentenza n. 45 del 13 marzo 2019, la Corte costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale che il T.A.R. Toscana ha sollevato in via incidentale nei confronti dell’art. 19, comma 6-ter, della L. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (Scia) spettanti alla pubblica amministrazione. E’ dunque ancora una volta la Scia a tenere banco nel dibattito costituzionale, con riguardo al tema particolarmente spinoso del suo rapporto con la tutela del terzo. La norma sottoposta al vaglio della Consulta è stata introdotta nel corpus della legge generale sul procedimento amministrativo in tempi relativamente recenti, ad opera dell’art. 6, comma 1, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella L. 14 settembre 2011, n. 148.

In sostanza, secondo la previsione sospettata di incostituzionalità, “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Questa previsione, come si vedrà, è stata introdotta dopo che la nota sentenza Ad. Plen. n. 15 del 2011, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sul punto, chiarì una volta per tutte la natura di atto privato della Dia (oggi Scia), ma per non lasciare il terzo privo di tutela, ne permetteva l’impugnazione davanti al T.A.R.. La modifica normativa ha dunque precisato i rimedi esperibili dal terzo, che nella perdurante incertezza sulla natura dell’istituto, comprendevano anche la possibilità di impugnare la Dia davanti al giudice amministrativo, in quanto considerata provvedimento tacito.

La vicenda

In concreto, gli interventi di manutenzione straordinaria proposti mediante Scia edilizia consistevano nell’apertura di una finestra a servizio di una camera da letto posta al primo piano dell’edificio, nella demolizione di un tramezzo interno del sottoscala, nella diversa conformazione dei gradini di accesso all’abitazione e nella copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste dimensioni. Nel giudizio di merito, uno dei condomini ha presentato al Comune istanza per inibire tali opere. A seguito del silenzio dell’Amministrazione, l’interessato ha presentato ricorso al T.A.R. ai sensi dell’art. 31 CPA, lamentando nel merito l’illegittimità della SCIA per violazione di diverse disposizioni del regolamento edilizio comunale e chiedendo al Tribunale di accertare l’illegittimità e inefficacia della SCIA, e di dichiarare l’obbligo del Comune resistente di pronunciarsi sulle istanze di verifica presentate.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva, aveva già esaminato e dichiarato inammissibili le prime due azioni di accertamento, in quanto l’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241 del 1990 assegna al terzo come unico rimedio l’azione di accertamento contro il silenzio. A tal ultimo proposito, ha poi esaminato l’eccezione di tardività della sollecitazione del potere inibitorio della P.A., in quanto il suo intervento presso gli uffici sarebbe avvenuto tardivamente. Con separata ordinanza ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui non indica un termine entro il quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a sollecitare le verifiche amministrative sulla Scia.

Le ragioni del rimettente

Secondo il rimettente la disposizione censurata contrasta con la Costituzione perché non tutela l’affidamento del segnalante, che sarebbe esposto sine die al rischio di inibizione dell’attività oggetto di Scia. La mancanza di un termine per l’esercizio dei poteri del terzo non sarebbe colmabile in via interpretativa. La norma così com’è stata concepita, contrasterebbe con gli artt. 311 e 117, comma 1, della Costituzione. Quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950. Altre norme violate sono l’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), e l’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.

L’art. 19, comma 6-ter violerebbe sotto altro profilo l’art. 3 Cost., perché, con specifico riferimento all’attività edilizia, darebbe luogo ad una irragionevole disparità di trattamento tra il segnalante e coloro che realizzino interventi assoggettati a permesso di costruire, esposti alla reazione del terzo per il solo termine di sessanta giorni previsto, a pena di decadenza, per l’impugnazione del titolo edilizio espresso.

A risultare violati sarebbero inoltre i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97Cost., poiché l’amministrazione sarebbe costretta a verificare i presupposti dell’attività segnalata anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dal deposito della SCIA e nonostante abbia già esercitato il controllo d’ufficio, così aggravandosi l’attività amministrativa.

La posizione della Corte costituzionale

Con la sentenza n. 45 del 13 marzo 2019, la Corte costituzionale ha ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale.

Pur riconoscendo che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell’affidamento del segnalante, la Corte non ha condiviso la ricostruzione del rimettente, secondo cui tali poteri sarebbero diversi da quelli previsti dai commi precedenti dell’art. 19, cosicché non sarebbe possibile mutuarne la disciplina. E’ invece proprio a tali poteri che occorre fare riferimento nell’applicazione della disciplina a tutela del terzo contenuta nel comma 6-ter. A sostegno della propria posizione, la Corte ha richiamato innanzitutto il dato testuale. Quando si parla di “verifiche spettanti all’Amministrazione”, è a questi poteri già previsti che si fa rinvio. In secondo luogo, ha ricostruito il contesto che ha dato vita all’introduzione della modifica normativa, ricordando che l’intento del Legislatore, maturato dopo Ad. Plen. n. 15 del 2011, è stato proprio quello di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento. Il riferimento alle “verifiche spettanti all’amministrazione” non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale a sollecitare da parte del terzo l’esercizio di quelli già nella disponibilità dell’Amministrazione.

Esplorando il versante incontrato dall’evoluzione dell’istituto della Scia, emerge la scelta di liberalizzazione sottesa all’introduzione di questo strumento, e la conseguente delimitazione nei modi e nei tempi della fase amministrativa di verifica. All’opposto – continua la Corte – una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere. Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Ancora: decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.

Le possibili forme di tutela del terzo

Oltre che nei modi e nei tempi citati, come può allora tutelarsi il terzo? La Corte fa rinvio ad una sollecitazione verso i poteri di verifica dell’amministrazione anche in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, L. n. 241 del 1990; o verso i poteri di vigilanza e repressivi di settore spettanti all’amministrazione anche ai sensi degli artt. 27 ss., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il terzo avrà inoltre la possibilità di agire in via risarcitoria nei confronti della P.A. in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica, secondo i dettami dell’art. 21, comma 2-ter, L. n. 241 del 1990, che fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti. Ma non esiste solo la tutela dell’interesse legittimo: rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.

Possibili sviluppi normativi

In conclusione, tuttavia, la Corte ammette che sia opportuno un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

Corte cost., 13 marzo 2019, n. 45

Art. 19, comma 6-terL. 7 agosto 1990, n. 241 (G.U. 18 agosto 1990, n. 192)

Art. 6, comma 1D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (G.U. 13 agosto 2011, n. 188)

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