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Accoglienza profughi in agriturismo: a rischio i requisiti per la ricettività turistica?

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Un’azienda agricola esercente l’attività agrituristica si è vista revocare dalla competente Provincia il riconoscimento dei requisiti per l’esercizio dell’attività di agriturismo per aver ospitato nei propri alloggi anche profughi richiedenti asilo. Di conseguenza, il Comune ha emesso ordinanza di chiusura con effetto immediato dell’attività agrituristica, e la Provincia ha disposto l’inefficacia per improcedibilità della comunicazione di variazione del piano agrituristico, nel frattempo presentata, a fronte dell’intervenuta revoca del riconoscimento dei requisiti di esercizio.

La revoca è stata disposta a seguito di un sopralluogo presso l’azienda che ha evidenziato la presenza di quattordici persone di nazionalità extracomunitaria, tra cui anche una minorenne, ospitate con evidenti finalità sociali di prima accoglienza. La Provincia ha perciò ritenuto che questa forma di ospitalità non fosse riconducibile alle attività agrituristiche autorizzate dal Comune, consistenti nell’alloggio in camere e appartamenti, nonché nelle relative attività ricreative e culturali, quali percorsi didattici ed escursioni in barca.

Il ricorso al T.A.R.: due diverse finalità di accoglienza

A fronte della revoca, l’azienda agricola ha presentato ricorso al T.A.R., lamentando la violazione della normativa nazionale e regionale in materia di emergenza profughi e in tema di agriturismo, oltre a denunciare di aver subìto una disparità di trattamento rispetto ad altre strutture ricettive che avevano ospitato profughi e non sono state destinatarie di provvedimenti sanzionatori.

Il Tribunale ha respinto il ricorso, argomentando che i due tipi di accoglienza, quella agrituristica e quella finalizzata all’assistenza dei profughi, sarebbero ispirate a finalità del tutto incompatibili, per cui in presenza di quest’ultima, decadono i requisiti per esercitare la prima. E’ interessante notare come il Tribunale definisca l’agriturismo quale attività turistica che, ancorché caratterizzata dalla necessaria posizione di connessione e complementarietà rispetto all’attività agricola tradizionale, si colloca a pieno titolo tra quelle dirette a salvaguardare le risorse ambientali, le usanze locali anche ai fini di uno sviluppo turistico sostenibile. Inoltre, sarebbe connotata dalla peculiarità di permettere al visitatore un contatto personalizzato, un inserimento nell’ambiente rurale fisico ed umano nonché una partecipazione alle attività, agli usi e ai modi di vita della popolazione locale.

L’appello al Consiglio di Stato: il sistema dell’accoglienza delineato dal Ministero dell’Interno

Incassato il rigetto del ricorso, l’azienda ha presentato appello al Consiglio di Stato, che lo ha accolto con la sentenza n. 5745 del 6 ottobre 2018, non prima di aver concesso la sospensiva in merito all’esecuzione della sentenza impugnata. L’appellante ha evidenziato come l’ospitalità offerta ai migranti si configuri come attività da inquadrare nella speciale disciplina dell’accoglienza dei profughi, sottolineando il suo carattere temporaneo ed emergenziale. Più che una deroga alle norme in materia di agriturismo, si tratterebbe di una forma di attuazione implicita delle potenzialità insite nell’accoglienza rurale. In più, i provvedimenti impugnati, che hanno precluso alla ricorrente la possibilità di ripresentare una nuova domanda per il periodo di un anno, sarebbero sproporzionati.

A sostegno della decisione, il Collegio ha svolto una ricostruzione storica del rapporto dell’azienda interessata con l’accoglienza dei migranti, inserendo la vicenda nell’ambito del contesto normativo di riferimento. In un primo momento, l’azienda agrituristica ha acconsentito a mettere a disposizione del Comune i propri spazi per ospitare migranti. In seguito, ha stipulato una convenzione con una cooperativa sociale e con la Prefettura competente, al fine di alloggiare nei propri locali, immigrati richiedenti asilo. Queste misure sono intervenute in concomitanza con i provvedimenti emanati dal Ministero dell’Interno nel periodo 2014-2016, allo scopo di assicurare la continuazione dell’accoglienza a coloro che sono già ospitati presso le strutture temporanee già individuate e di provvedere al reperimento di nuove strutture che possano rispondere alle ulteriori esigenze di accoglienza in relazione all’incessante fenomeno degli sbarchi, come si legge nelle note ministeriali. Si aggiunge inoltre che la Prefettura ha organizzato una serie di gare per reperire operatori disponibili ad accogliere migranti in strutture alberghiere e/o ricettivo turistiche in convenzione con enti e/o organizzazioni, senza che ciò comporti la perdita dei requisiti e delle autorizzazioni per l’attività imprenditoriale svolta. Quest’ultimo passaggio riveste importanza fondamentale nella motivazione della sentenza del Collegio d’appello, che ha potuto così smentire le conclusioni del Tribunale circa la conversione dell’obiettivo imprenditoriale agrituristico in attività di accoglienza e assistenza ai profughi, oltre che sulla non assimilabilità di questa attività a quella agrituristica. Inoltre, l’attività agrituristica è apparsa caratterizzata da elementi tali per cui non sono stati rinvenuti profili contrastanti tra essa e l’accoglienza emergenziale e temporanea di migranti. A questo proposito, il Collegio ha rilevato che la ricettività offerta dalle aziende agrituristiche si differenzia da quella alberghiera e di ristorazione per il suo carattere integrativo rispetto all’attività agricola vera e propria. Questo tipo di ospitalità è svolta dall’imprenditore agricolo attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in rapporto di connessione e complementarietà rispetto alle attività agricole, che rimangono principali e prevalenti.

Così ricostruita la fattispecie della ricettività agrituristica, emerge il presupposto errato su cui si fondano i provvedimenti impugnati, in quanto

D’altra parte, è stato sottolineato che questa particolare forma di accoglienza non comporta alcuna perdita di qualificazione o di autorizzazione nemmeno nei confronti delle strutture alberghiere vere e proprie, pure coinvolte nel sistema dell’accoglienza.

Attività agricola e assistenza: l’agricoltura sociale

Il fenomeno dell’accoglienza di migranti non è l’unico aspetto a caratterizzare il risvolto sociale e assistenziale che può assumere l’attività agricola nelle sue infinite sfaccettature. Con la L. n. 141 del 2015, sono state approvate disposizioni in materia di agricoltura sociale, quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate. Per agricoltura sociale si intendono le attività esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., in forma singola o associata, e dalle cooperative sociali […], dirette a realizzare: a) inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e di lavoratori svantaggiati […], di persone svantaggiate di cui all’art. 4L. 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, e di minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale; b) prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana; c) prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante; d) progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

Ma la definizione dei requisiti minimi e delle modalità per esercitare tali attività sono rinviati ad un decreto ministeriale che ancora non ha visto la luce.

Cons. di Stato, Sez. V, 6 ottobre 2018, n. 5745

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