18/09/2018 – Il Codice degli appalti batte quello del terzo settore: gara (quasi) sempre necessaria per l’appalto di servizi sociali

Il Codice degli appalti batte quello del terzo settore: gara (quasi) sempre necessaria per l’appalto di servizi sociali

di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale

La Commissione speciale parte dalla constatazione della novità introdotta dal D.Lgs. n. 50 del 2016 rispetto al vecchio Codice circa le procedure di affidamento degli appalti di servizi sociali: l’attuale Codice non reca alcuna esplicita esclusione di tali servizi dal proprio ambito di applicazione e detta in proposito disposizioni “che rendono evidente la sottoposizione anche di tali servizi alla normativa codicistica”.

Ed enumera: l’art. 35 individua per gli appalti di servizi sociali la soglia di rilevanza comunitaria; gli artt. 70 e 72 per i settori ordinari e gli artt. 127 e 130 per quelli speciali individuano il termine di validità e il conseguente periodo di pubblicazione dell’avviso di preinformazione; l’art. 95 individua il criterio di aggiudicazione anche per i contratti relativi ai servizi sociali; gli artt. 140142143 e 144 recano una disciplina speciale e derogatoria finalizzata ad alleggerire gli oneri; l’art. 169 menziona espressamente le concessioni di servizi sociali.

Nel frattempo è stato approvato il Codice del terzo settore (D.Lgs. n. 117 del 2017), che contiene a sua volta alcune disposizioni che regolano i rapporti con gli enti pubblici e le modalità di affidamento di servizi sociali (artt. 5556 e 57), le quali hanno ampliato le modalità con cui gli enti del terzo settore possono instaurare rapporti giuridici con la PA.

Al fine di fornire coordinate interpretative, la Commissione speciale ricorda che l’esegesi delle disposizioni non può limitarsi al mero riscontro letterale, ma deve tener conto del più ampio contesto sistematico in cui la normativa si colloca e, in particolare, del principio della primazia del diritto euro-unitario, utilizzando dunque categorie giuridiche proprie dell’ordinamento europeo.

E in tale ordinamento la nozione di “impresa” ha una latitudine assai vasta, che prescinde dalla veste giuridica e dai caratteri strutturali del soggetto gerente e si concentra sulla ricorrenza in concreto di oggettivi caratteri economici nell’attività posta in essere. Quello di impresa è dunque un concetto che attiene ad ogni fenomeno oggettivamente economico, con le sole esclusioni esplicitamente previste dallo stesso diritto euro-unitario, che concretano disposizioni eccezionali e che per questo sono da interpretarsi in forma tassativa.

La novità è che, a differenza del passato, anche negli appalti di servizi sociali gli operatori sono considerati imprese, per cui il relativo affidamento deve ormai – nei termini in cui si esprime la Commissione speciale – “rispettare la normativa pro-concorrenziale di origine europea, in quanto rappresenta una modalità di affidamento di un servizio (in termini euro-unitari, un “appalto”) che rientra nel perimetro applicativo dell’attuale diritto euro-unitario”.

Il principio di concorrenza

Assodata la disciplina di riferimento, i giudici amministrativi vagliano le combinazioni con le nuove regole introdotte dal Codice del terzo settore, che rinnovano istituti già conosciuti ma che si calano in un contesto giuridico affatto diverso.

L’accreditamento, innanzi tutto, che è al di fuori della normativa euro-unitaria solo nel caso in cui si limita alla mera individuazione dei soggetti del terzo settore da inserire nella rete dei servizi sociali, non nel caso in cui sia stabilito un contingente massimo di operatori accreditabili ovvero qualora l’accreditamento sia lo strumento per addivenire all’attivazione di un partenariato: in questi casi la procedura è qualificabile come appalto ed è sottoposta alla disciplina codicistica, ad eccezione della sola ipotesi di integrale gratuità del servizio.

Stesso ragionamento vale per la “co-progettazione” e per il “partenariato”, che si sostanziano in rapporti fra amministrazione e specifici enti del terzo settore, che presentano a monte un momento selettivo fra gli operatori interessati e tendono a valle a disporre all’ente co-progettante l’affidamento del servizio sociale. Anche in questi casi, solo la gratuità esclude l’applicazione della disciplina euro-unitaria.

La regola fondamentale è che la primazia del diritto euro-unitario determina la prevalenza del Codice dei contratti sulle difformi previsioni del Codice del terzo settore, ove queste non possano in alcun modo essere interpretate in conformità a tale diritto. E l’applicazione del D.Lgs. n. 50 del 2016 comporta l’osservanza in particolare dell’art. 142, che contiene un regime “alleggerito” solo per alcuni dei servizi sociali elencati nell’allegato IX.

Questo comporta che le amministrazioni devono sempre motivare la scelta di ricorrere alle regole del Codice del terzo settore in luogo dell’indizione di una ordinaria gara d’appalto e dovranno puntualmente indicare e documentare la ricorrenza, in concreto, degli specifici profili che sostengono, motivano e giustificano il ricorso a procedure che escludono dalla procedura gli operatori economici tesi a perseguire un profitto.

E questo anche nel caso in cui sia prevista la gratuità della prestazione, che consente di bypassare le regole del Codice dei contratti ma che, in quanto costituisce un vulnus al meccanismo del libero mercato ove operano imprenditori che forniscono i medesimi servizi a scopo di lucro, ha necessità di una motivazione che deve considerarsi condicio sine qua non per l’esercizio del potere.

Ma in cosa consiste la gratuità? Secondo la Commissione speciale è necessario che sia “acclarata l’assenza di qualunque remunerazione a carico del soggetto pubblico affidante, quale che ne sia la formale denominazione e qualunque sia il meccanismo economico o contabile anche indiretto, al personale volontario o dipendente e direttivo dell’ente e, altresì, che non ricorrano forme di forfetizzazione dei rimborsi né di finanziamento a fondo perduto, né di finanziamento, acquisto o contributo in conto capitale”.

Queste dunque le regole:

– le procedure di affidamento dei servizi sociali contemplate nel Codice del terzo settore (accreditamento, co-progettazione, partenariato) sono estranee al Codice dei contratti ove prive di carattere selettivo, ovvero non tese all’affidamento del servizio, ovvero ancora ove il servizio sia prospetticamente svolto dall’affidatario in forma integralmente gratuita;

– le suddette procedure sono soggette al Codice dei contratti qualora il servizio sia prospetticamente svolto in forma onerosa, ricorrente in presenza anche di meri rimborsi spese forfettari e/o estesi a coprire in tutto od in parte il costo dei fattori di produzione.

Le convenzioni

L’ultima parte del parere è riservata alle convenzioni di cui all’art. 56 del Codice del terzo settore, destinate a regolare i rapporti tra amministrazioni pubbliche ed enti del terzo settore e che possono essere promosse “se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”. L’aspetto di interesse è al comma 3, secondo cui “l’individuazione delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale con cui stipulare la convenzione è fatta nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative riservate alle medesime”.

Secondo la Commissione speciale, lo strumento della convenzione è riservato ai servizi sociali non economici di interesse generale non aperti alla concorrenza, in relazione ai quali non si pone un problema di mercato contendibile né di rispetto del diritto euro-unitario. Il problema è che però la convenzione ex art. 56 presenta un carattere oneroso e dunque economico, seppure mediante la forma del rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate.

Un bell’inghippo sul quale però la Commissione speciale non prende posizione e rimette la palla all’Anac, invitata a valutare se il ricorso alla convenzione concreti un comportamento vietato in quanto distorsivo del confronto competitivo tra operatori economici in un mercato aperto alla concorrenza.

In tal caso, bacchettano i giudici, piuttosto che ricorrere ad “improprie forzature logico-interpretative”, l’Autorità dovrebbe valutare la eventuale disapplicazione dell’art. 56 o, ancora meglio, l’aggiornamento delle Linee guida per l’affidamento di servizi ed enti del terzo settore ed alle cooperative sociali, approvate con la delibera n. 32 del 2016, “allo scopo di bene perimetrare l’ambito del ricorso consentito alle convenzioni (pacificamente, ad esempio, per il servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza con le organizzazioni di volontariato, disciplinato dall’art. 57D.Lgs. n. 117 del 2017), al contempo delimitando il concetto di rimborso spese, e di evidenziare, specularmente, l’ipotesi in cui lo strumento convenzionale, in quanto previsto da una norma interna in contrasto con il diritto euro-unitario, dotato di primauté rispetto al diritto nazionale, non possa essere applicato”.

La Commissione non lo dice espressamente e rimette la patata bollente all’Anac, ma sembra chiaro l’intento di voler mettere in discussione tutto l’impianto messo in piedi dall’art. 56D.Lgs. n. 117 del 2017, che ha inteso circoscrivere agli enti del terzo settore la stipula delle convenzioni, seppure mediante procedure comparative e nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento.

Secondo i giudici amministrativi, i casi in cui questo è possibile sono limitati a quelli in cui vi è una “vera” gratuità, che a quanto pare non può riscontrarsi qualora sia previsto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, come invece prevede il comma 2.

Cons. di Stato, Commissione speciale, parere 20 agosto 2018, n. 2052

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