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Personale, il tetto di spesa non è abolito  

di LUIGI OLIVERI – Italia Oggi – 17 Maggio 2019
Il tetto della spesa di personale pari alla media del triennio 2011-2013 non è abolito dall’ articolo 33 del decreto Crescita (dl 34/2019). La norma modifica in modo rilevante il sistema di computo della capacità di spesa delle regioni e dei comuni (non sono citate province, città metropolitane e unioni di comuni), passando dal calcolo di una certa percentuale (nel 2019 sarebbe stato il 100%) del costo della cessazione dell’ anno precedente, più resti assunzionali del quinquennio prima, ad una verifica della sostenibilità finanziaria. Gli enti possono assumere, infatti, liberamente se la spesa complessiva per tutto il personale dipendente risulti non superiore a valori soglia distinti per fasce demografiche riferiti al rapporto tra la spesa del personale e i primi tre titoli delle entrate del rendiconto dell’ anno precedente a quello in cui viene prevista l’ assunzione, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione.
Alcuni stanno ponendo il dubbio se queste possibilità di assunzione connesse ad indici di efficienza finanziaria possano avere l’ effetto di scardinare la disposizione contenuta nell’ articolo 1, comma 557-quater, della legge 296/2006, che impone alle amministrazioni locali di contenere le spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione, cioè il 2011-2013. Sebbene in teoria una maggiore libertà di assunzioni, che per gli enti virtuosi con rapporto spesa di personale-entrate inferiori ai valori soglia potrà anche risultare potenzialmente superiore al 100% del turnover, possa lasciar pensare ad un superamento del tetto di spesa di personale, a ben vedere, in assenza di un’ abolizione espressa di tale tetto, non pare possano evidenziarsi elementi sufficienti per rilevare la sua abolizione tacita.
In primo luogo, si deve osservare che il tetto di spesa, anche fosse abolito, lo sarebbe solo per regioni e comuni, non per gli altri enti locali: quindi non è possibile parlare di abolizione in toto dell’ articolo 1, comma 557-quater della legge finanziaria 2017. In secondo luogo, tale ultima disposizione è chiaramente una previsione di sana e corretta gestione mirata alla salvaguardia della finanza pubblica: non si deve dimenticare che la spesa del personale nel suo complesso costituisce circa il 20% del totale della spesa pubblica. Quindi, anche sul piano del rispetto dei valori costituzionali, l’ esistenza di una norma che ponga alle amministrazioni locali un valore massimo di spesa del personale, pur in una logica espansiva delle assunzioni, appare del tutto possibile e coerente. Viene, quindi, a mancare l’ elemento giuridico fondamentale per rilevare l’ abolizione tacita di una norma: la sua totale ed irrimediabile incompatibilità con una previsione successiva. Inoltre, si deve anche rilevare che l’ articolo 33 del decreto crescita parla espressamente del totale complessivo della spesa del «personale dipendente».
Ma, il tetto di spesa di personale da considerare ai fini dell’ articolo 1, comma 557-quater, è leggermente più ampio: infatti, deve comprendere anche spese non connesse al rapporto di lavoro di dipendenti dell’ ente. Ricordiamo le spese per collaborazione coordinata e continuativa, contratti di somministrazione, eventuali compensi corrisposti ai lavoratori socialmente utili, per il personale di altri enti che operi in convenzione, per personale utilizzato, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ ente (compresi i consorzi, le comunità montane e le unioni di comuni), le somme rimborsate ad altre amministrazioni per il personale in posizione di comando, gli oneri per i segretari anche a scavalco.
Quindi, la spesa di personale considerata dall’ articolo 1, comma 557-quater, della legge 296/2006 è maggiore della spesa di personale calcolata ai sensi dell’ articolo 33 del decreto crescita, il quale non incide, dunque sul sotto insieme della spesa non connessa ai rapporti di lavoro dei dipendenti. Al limite, le maggiori capacità assunzionali degli enti virtuosi potranno risultare utili per ridefinire la spesa, aumentando quella del personale dipendente e riducendo la rimanente spesa, ben potendo il tutto restare all’ interno del parametro della media 2011-2013. Non si vede per quale ragione, quindi, il decreto crescita possa essere considerato capace di portare allo sforamento di un limite di spesa posto a garanzia degli equilibri dei conti pubblici.
È vero che gli enti incrementando le entrate potrebbero tenere fermo o migliorare il rapporto tra spesa di personale ed entrate stesse, il che potrebbe in teoria consentire lo sforamento della spesa. Ma anche in questo caso, ragioni tutela della finanza pubblica sconsigliano comunque un incremento complessivo della spesa di personale nel comparto pubblico nel suo complesso, per quanto finanziabile con un incremento delle tasse, che per altro potrebbe avere influenze negative sui consumi e quindi sulle politiche economiche del governo.

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