17/06/2019 – Dissesti, questione meridionale – Al Sud l’82% dei casi. Calabria, in rosso 4 enti su 10

Dissesti, questione meridionale – Al Sud l’82% dei casi. Calabria, in rosso 4 enti su 10

di FRANCESCO CERISANO – Italia Oggi – 15 Giugno 2019
In dieci anni (dal 1989 a fine 2018) i comuni che hanno fatto ricorso all’ istituto del dissesto o alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale sono stati circa 900, l’ 11% del totale degli enti su scala nazionale. Una percentuale che sale vertiginosamente al Sud dove si registra l’ 82% di tutti i dissesti finanziari, con situazioni molto gravi come quelle della Calabria in cui 4 enti su 10 (178) hanno fatto ricorso almeno una volta alle procedure di dissesto (di cui 19 più di una volta). In Campania un ente su 4 ha i conti in rosso (157 in totale), ma anche la situazione della Sicilia (61 enti), del Lazio (52) e della Puglia (44) non è rosea.
Di contro vi sono regioni nel Nord dove in trent’ anni non si sono mai registrati casi di dissesto (Valle d’ Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), mentre in Veneto, Sardegna. Umbria, Liguria, Toscana, Marche ed Emilia-Romagna si sono registrati meno di una decina di casi ciascuno, molti dei quali risalenti nel tempo. La conferma di una «questione meridionale» nella distribuzione geografica delle situazioni di disequilibrio finanziario lungo lo Stivale arriva dal Rapporto sui comuni dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia. L’ indagine conferma che negli ultimi anni il divario tra Nord e Sud in termini di maggiore presenza di comuni in dissesto si sta incrementando.
Dal 2000 in poi, infatti, la percentuale di procedure di dissesto che riguarda i comuni del Nord è scesa al 3,8% (8 municipi), mentre quella dei comuni del Sud sale all’ 85%, con la Calabria e la Campania che da sole ricomprendono l’ 80% dei casi di recidiva. Il Rapporto (curato da Marcello Degni, magistrato della Corte conti e docente a Ca’ Foscari, sulla base dei risultati di un progetto di ricerca del professor Stefano Campostrini) conferma il trend negativo innescato dalla crisi economica deflagrata a livello globale dal 2008 in poi. Se è vero infatti che dalle 133 procedure di dissesto fatte registrare nel 1989 si è via via scesi a quota 1 nel 2007, in dieci anni l’«inversione a U» dei conti locali si è compiuta per metà. E nel 2018, tra dissesti (30) e procedure di riequilibrio (45), sono stati 75 i comuni italiani in difficoltà.
Lo stesso numero del 2017. Nell’ ultimo quinquennio (2014-2018) sono stati 273 i comuni che hanno dichiarato difficoltà finanziarie tanto da avviare in 126 casi la procedura di dissesto (una media di 25 nuovi casi all’ anno rispetto ai 12 casi all’ anno del quinquennio precedente) e in 225 quella di pre-dissesto. Di questi ultimi ben 78 (35%) sono poi transitati al dissesto. I comuni che hanno attualmente in corso una procedura, comprese quelle aperte prima del 2014, sono 379, al lordo dei (pochi) riequilibri chiusi e dei dissesti antecedenti il 2013 ancora aperti. «Il numero dei comuni che hanno attivato le procedure di dissesto e riequilibrio nel periodo 1989-2018 mostra con evidenza un andamento ad U», spiegano i ricercatori. «L’ impatto della grande crisi ha prodotto, dal 2008 in poi, la ripresa del fenomeno della criticità finanziaria che non accenna a scendere».
L’ indagine sfata però un mito piuttosto diffuso e cioè quello che siano i piccoli comuni le amministrazioni maggiormente in difficoltà con i conti. Un legame tra incidenza dei dissesti e numero degli abitanti c’ è ma sembra essere del tutto opposto. Se da un lato è vero che 390 procedure di dissesto hanno riguardato comuni sotto i 5 mila abitanti (6% del totale), «è altrettanto evidente», si legge nella ricerca, «che la percentuale di comuni finiti in dissesto cresce all’ aumentare della popolazione residente ed è quasi doppia nei comuni con oltre 60 mila abitanti (13% del totale)». Sopra i 250 mila abitanti la percentuale sale addirittura al 16,7%. Come invertire la tendenza? Il Rapporto avanza alcune ipotesi su possibili soluzioni. «Se i comuni non possono fallire», osservano i ricercatori di Ca’ Foscari, «oltre che regolare gli squilibri finanziari è necessaria la creazione di presupposti per una governance equilibrata e virtuosa, che comprenda garanzia di autonomia impositiva, capacità di riscossione delle entrate e crescita delle competenze».

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