17/01/2019 – Incarichi a contratto: sentenze in chiaro contrasto con l’articolo 110 del Tuel si diffondono. Un errore della Cassazione a cui porre urgente rimedio

Incarichi a contratto: sentenze in chiaro contrasto con l’articolo 110 del Tuel si diffondono. Un errore della Cassazione a cui porre urgente rimedio

 

Il Tar Puglia-Lecce con l’ordinanza 9 gennaio 2019, n. 14, torna sulla questione della durata “minima” degli incarichi a contratto.

Il tribunale amministrativo regionale fa suo il medesimo – gravissimo – errore in cui è incorsa la Corte di cassazione con la sentenza 13 gennaio 2014, n. 478-

Il ragionamento, del tutto errato, è che poichè all’articolo 110 del d.lgs 267/2000 si applica l’articolo 19 del d.lgs 165/2001, e visto che questo articolo fissa in tre anni la durata minima degli incarichi, ed in cinque quella massima, poichè la norma nazionale prevale sulla regolamentazione locale, allora anche gli incarichi a contratto negli enti locali debbono avere una durata minima di tre anni. Quindi, qualora il sindaco del comune scada, per qualsiasi ragione, prima del triennio minimo, il dirigente a contratto a diritto a restare in servizio per tre anni.

Si tratta di una lettura in plateale ed evidentissimo conflitto con quanto chiaramente scritto nelle leggi, per le seguenti ragioni:

1) l’articolo 110 del d.lgs 267/2000 non si combina con l’intero articolo 19 del d.lgs 165/2001, ma solo col comma 6 di quest’ultimo. Lo dispone espressamente il comma 6-ter del medesimo articolo 19, ai sensi del quale “Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2“;

2) di conseguenza, non si applicano agli enti locali i commi da 1 a 5 dell’articolo 19;

3) è il comma 2 dell’articolo 19 a fissare una durata minima degli incarichi dirigenziali in 3 anni;

4) ma, il comma 2 dell’articolo 19 si riferisce alla durata degli incarichi conferiti ai dirigenti di ruolo;

5) invece, il comma 6 dell’articolo 19, da combinare all’articolo 110 del d.lgs 267/2000, non fissa alcuna durata minima, perchè si limita a determinare quella massima: “La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni“;

6) il d.lgs 267/2000 è una norma speciale rivolta in modo specifico agli enti locali, che precisa in modo diverso e prevalente sulla normativa generale del lavoro pubblico la durata degli incarichi a contratto conferiti a personale non di ruolo:

    a) non definendo nessuna durata minima;

    b) imponendo, al comma 3, chiaramente la conclusione dell’incarico a contratto in funzione della cessazione del mandato del sindaco: “I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica“.

Quindi, la sentenza della Cassazione è assolutamente impostata su presupposti sbagliati: i contratti ai sensi dell’articolo 110 “non possono avere durata superiore al mandato del sindaco” non solo per gli enti locali, ma anche per i giudici, ai quali non è consentito di fornire interpretazioni delle norme in aperto contrasto con esse.

La sentenza del Tar Puglia-Lecce perpetua, quindi, una chiave interpretativa assolutamente erronea e da scartare (come si era già messo in rilievo a suo tempo).

Purtroppo, la giurisprudenza si appiattisce sulla funzione nomofilattica della Cassazione e, quindi, sarà portata a ripetere il medesimo errore all’infinito.

Si rivela necessario, dunque, un pronto e leale ripensamento della Cassazione, che corregga il clamoroso scivolone. O, in mancanza, un intervento legislativo che interpreti autenticamente la norma dando ad essa l’unico significato possibile (non c’è alcuna durata minima degli incarichi a contratto), oppure che regoli la disciplina in altro modo. Ma, mantenere in piedi un così marchiano errore interpretativo non può essere ulteriormente ammesso in un ordinamento di diritto positivo.

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