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Procedimento disciplinare e composizione dell’Ufficio procedimenti disciplinari (UPD)

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 17582, del 28 giugno 2019, ha respinto il ricorso di un dipendente di un ente locale nei confronti del Comune da cui dipendeva; per i giudici di legittimità è valida la sanzione disciplinare irrogata nei confronti del dipendente anche se la composizione dell’ufficio dei procedimenti disciplinari presentava delle irregolarità; ciò che conto è che non sia stato compromesso il diritto di difesa del dipendente incolpato.
Il fatto
La Corte d’Appello ha respinto il reclamo proposto da un dipendente di un ente locale avverso la sentenza del Tribunale che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere l’accertamento della nullità o illegittimità del licenziamento disciplinare intimato dal Comune nel luglio 2016.
La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che il reclamante era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta dal G.I.P. presso il Tribunale per il reato di truffa continuata, commesso, in concorso con altri dipendenti del Comune, attraverso fraudolente attestazioni della presenza in ufficio. L’ente territoriale aveva immediatamente sospeso il dipendente, nei cui confronti era stato poi avviato il procedimento disciplinare, mediante contestazione sottoscritta dal solo Presidente dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari.
Il giudice d’appello, per la parte che interessa il presente commento, ha confermato la dichiarazione di inammissibilità dei motivi di opposizione, con i quali erano stati dedotti vizi del procedimento disciplinare non prospettati nella fase sommaria, ed ha evidenziato che l’opposizione può investire nuovi profili soggettivi e oggettivi solo qualora rimangano immutati i fatti costitutivi allegati nell’originario ricorso.
Ha escluso che comportasse nullità della sanzione disciplinare la circostanza che la contestazione fosse stata sottoscritta dal solo Presidente, in quanto l’ufficio nella seduta del 1° giugno 2016 aveva deliberato collegialmente di avviare il procedimento, ed inoltre l’atto manifestava una volontà riferibile all’organo collegiale, come si desumeva anche dall’intestazione dello stesso. Ha ritenuto irrilevanti le questioni poste con riferimento all’individuazione dei dirigenti chiamati a comporre l’ufficio procedimenti disciplinari, perché il procedimento era stato instaurato e concluso nel rispetto dell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165 del 2001.
Avverso la sentenza sfavorevole il dipendente dell’ente locale è ricorso in Cassazione con una serie articolata di motivazioni.
L’analisi della Cassazione
Per la Corte di Cassazione le critiche mosse alla sentenza impugnata, da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono prive di fondamento, perché il giudice del reclamo, nell’escludere l’eccepita illegittimità della sanzione, quale conseguenza del mancato rispetto della disciplina sul procedimento, ha correttamente applicato principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità ed ai quali, la stessa Cassazione giudicante, intende dare continuità.
In particolare è stato già evidenziato, e deve essere qui ribadito, che le regole legali sulla competenza vanno mantenute distinte da quelle regolamentari che disciplinano la costituzione e il funzionamento dell’organo collegiale, secondo l’ordinamento interno di ciascuna Pubblica Amministrazione, perché il D.Lgs. n. 165 del 2001 non attribuisce natura imperativa “riflessa” al complesso delle regole procedimentali interne che regolano la costituzione e il funzionamento dell’Ufficio procedimenti disciplinari.
L’interpretazione dell’art. 55-bis, comma 4, del richiamato decreto deve, infatti, essere coerente con la sua ratio, che è quella di tutelare il diritto di difesa dei dipendenti pubblici, sicché ai fini della legittimità della sanzione rileva unicamente che sia stato garantito il principio di terzietà, sul quale riposa la necessaria previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti, il che «postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente» (Cass. civ. n. 5317 del 2017).
Si deve, pertanto, escludere che, qualora il procedimento sia stato condotto dall’ufficio individuato o istituito dall’ente come competente ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare, il mancato rispetto delle disposizioni regolamentari che ne disciplinano la composizione ed il funzionamento debba per ciò solo indurre quale conseguenza la nullità della sanzione, perché la violazione può rilevare solo se ed in quanto ne sia risultato compromessa il diritto di difesa del dipendente incolpato, evenienza, questa, neppure adombrata nella fattispecie.
Ne discende che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto non rilevante la doglianza relativa alla pretesa violazione del regolamento che, ad avviso del ricorrente, individuerebbe uno dei componenti dell’Ufficio procedimenti disciplinari nel dirigente della struttura presso la quale l’impiegato prestava servizio alla data di commissione dell’illecito, e ciò anche nei casi in cui il dipendente, prima dell’avvio del procedimento, sia stato assegnato ad altro ufficio.
Sono anche infondate le censure formulate in relazione alla regolarità formale della contestazione, che i giudici di merito hanno esaminato e ritenuto riferibile all’ufficio procedimenti disciplinari, benché sottoscritta dal solo Presidente dell’organo collegiale.
Pronunciando in fattispecie analoga a quella oggetto di causa, la Cassazione (Cass. civ. n. 3467 del 2019) ha osservato che in relazione all’attività degli organi collegiali la formazione della volontà resta distinta dalla manifestazione, sicché mentre la prima si deve formare all’interno dell’organo collegiale secondo le regole che ne presiedono il funzionamento, all’esterno l’organo agisce in persona del soggetto che lo rappresenta, sicché gli atti veri possono essere sottoscritti solo da quest’ultimo, non avendo giuridico fondamento la tesi secondo cui dalla natura perfetta del collegio deriverebbe la necessità che tutte le persone fisiche che lo compongono assumano anche all’esterno la paternità dell’atto, sottoscrivendolo.
Si è, poi, aggiunto che, secondo la giurisprudenza amministrativa, caratterizza il collegio perfetto la circostanza che lo stesso deve operare con il plenum dei suoi componenti nelle fasi in cui l’organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico – discrezionali o ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, esigenza che, invece, non ricorre rispetto agli atti istruttori.
Con specifico riferimento all’attività dell’ufficio procedimenti disciplinari, la composizione collegiale, si è sottolineato, sviluppando il principio sopra richiamato, che devono essere collegialmente compiute «solo le attività valutative e deliberative vere e proprie (rispetto alle quali sussiste l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale) e non anche quelle preparatorie, istruttorie o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso» ( Cass. civ. n. 8245 del 2016 richiamata da Cass. civ. 14200 del 2018).
Anche sotto questo profilo, pertanto, la doglianza è infondata, perché la contestazione, con la quale si dà avvio al procedimento disciplinare, non ha natura decisoria né è espressione di un potere discrezionale, in quanto nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato, a differenza dell’impiego privato, l’iniziativa disciplinare è doverosa.
Analoghe considerazioni vanno espresse quanto all’interpretazione del regolamento, esaminato dalla Corte territoriale per escludere la necessità che dell’ufficio procedimenti disciplinari dovesse fare parte il dirigente della struttura alla quale il ricorrente era assegnato al momento dell’illecito giacché in questa sede il ricorrente, che non riproduce nel ricorso il contenuto delle disposizioni regolamentari, pur richiamando nella rubrica del terzo motivo gli artt. 1362 ss. c.c. non precisa quale regola il giudice di merito avrebbe violato né chiarisce le ragioni per le quali il rispetto del canone in ipotesi disatteso avrebbe dovuto condurre ad un diverso risultato interpretativo.
Le conclusioni
Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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