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La p.a. risponde civilmente per il comportamento illecito del dipendente

Pubblicato il 12 luglio 2019

Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza,purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.
Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 13246 depositata il 16 maggio 2019.
Nel caso di specie, un cancelliere era stato condannato per peculato in quanto si era appropriato delle somme ricavate nel corso di un giudizio civile di divisione, depositate per il perseguimento dello scopo istituzionale della consegna agli aventi diritto, accedendo alla cassaforte ove i libretti vincolati erano custoditi.
La natura della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per il fatto illecito del dipendente e del connesso obbligo della prima di risarcire il danno causato dal secondo è oggetto di un accesso dibattito in dottrina e in giurisprudenza.
Secondo una prima impostazione ermeneutica, propria della prevalente odierna giurisprudenza civilistica e di quella penalistica più risalente (ma pure di quella amministrativa), la responsabilità dello Stato (o degli enti pubblici) per il fatto illecito dei propri dipendenti (o funzionari) è diretta e sussiste, in applicazione di criteri pubblicistici, esclusivamente in caso di attività corrispondente ai fini istituzionali, quando cioè, in virtù del rapporto organico, quella vada imputata direttamente all’ente (con orientamento definito consolidato da Cass. n. 15930/02, seguita poi, tra le altre, da Cass. nn. 2089 e 27246 del 2008, 8306 e 29727 del 2011, 21408/14 e 8991/15).
Una seconda interpretazione, propria soprattutto della giurisprudenza penalistica (Cass. pen. nn. 21195/11, 40613/13, 13799 e 44760 del 2015) e di una giurisprudenza civilistica ora più remota e poi superata (Cass. nn. 20928/15 e 17836/07; Cass. nn. 2226/90, 20924/15, 22058/17, 4298/19), riconosce la responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico pure per le condotte dei pubblici dipendenti dirette a perseguire finalità esclusivamente personali e mercé la realizzazione di un reato doloso, ove poste in essere sfruttando l’occasione necessaria offerta dall’adempimento delle funzioni pubbliche cui essi sono preposti, nonché integranti il non imprevedibile od eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni, in applicazione del criterio previsto dall’art. 2049 c.c.
Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, nell’odierno contesto socio-economico, nessuna ragione giustifica più un trattamento differenziato dell’attività dello Stato o dell’ente pubblico rispetto a quello di ogni altro privato.
Pertanto, in applicazione dei principi della responsabilità indiretta elaborati per l’articolo 2049 c.c., deve affermarsi la concorrente e solidale responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico per i danni causati da condotte del preposto pubblico definibili come corrispondenti ad uno sviluppo oggettivamente non improbabile delle normali condotte di regola inerenti all’espletamento delle incombenze o funzioni conferite, anche quale violazione o come sviamento o degenerazione od eccesso, purché anche essi prevenibili perché oggettivamente non improbabili.
Sono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purché:
  • si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell’estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa – e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta;
  • si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell’esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti.
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