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Incarico di patrocinio legale – mancata stipula del contratto – prestazione resa – liquidazione compensi

Per l’affidamento di un incarico di patrocinio legale dinanzi al tribunale Amministrativo regionale, è stata svolta una procedura negoziata senza bando di gara, provvedendo ad attingere dall’elenco dei legali iscritti già esistente e all’acquisizione delle offerte da parte di n. 5 professionisti , con comparazione dei curricula, già agli atti dell’ente. Il professionista aggiudicatario non provvede alla stipula del contratto, ma rende la prestazione oggetto dell’affidamento. Al termine del giudizio, però, trasmette una nota pro forma decisamente superiore rispetto a quanto offerto per l’aggiudicazione della procedura negoziata. Come procedere per la liquidazione dei compensi? Si deve fare riferimento all’importo offerto in sede di procedura negoziata, oppure, non essendo stato firmato il contratto, deve liquidarsi l’importo da ultimo richiesto dal legale?
a cura di Gare e Appalti Consulting SF
La risposta al quesito posto impone un preliminare inciso in ordine alla forma che deve rivestire il contratto tra una Pubblica Amministrazione ed il privato.
Ogni contratto stipulato tra la Pubblica Amministrazione ed il privato deve necessariamente rivestire la forma scritta “ad substantiam“. In mancanza di tale requisito formale, il contratto non è validamente concluso e, nessun rapporto di natura negoziale potrà dirsi instaurato tra la P.A. ed il privato.
Trattasi invero di una nullità di tipo assoluto e di conseguenza “insanabile”: “Tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione richiedono la forma scritta “ad substantiam“, non rilevando a tal fine la deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, dell’appalto o della fornitura ove tale deliberazione (costituente mero atto interno e preparatorio del negozio) non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi; il contratto privo della forma richiesta “ad substantiam” è nullo e pertanto insuscettibile di qualsivoglia forma di sanatoria, dovendosi quindi escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive” (Cass. civ. Sez. Unite, 7 marzo 2001, n. 95, orientamento da ultimo confermato dal Consiglio di Stato, con la Sent. n. 5138 del 3 settembre 2018).
Ciò detto, nel caso di specie, come risulta dal testo del quesito, Codesta Amministrazione si è comunque avvalsa dell’operato del professionista riconoscendone di fatto l’utilità della prestazione.
Pertanto, pur in assenza d un contratto validamente stipulato dalle parti, il professionista ha maturato una pretesa indennitaria verso il committente pubblico che, ragionando come se fossimo in una situazione patologica del rapporto (ossia di controversia sul riconoscimento del quantum della prestazione) dovrebbe essere fatta valere con l’azione di ingiustificato arricchimento (Cass. Civ., Sez. III, 25 settembre 1998, n. 9584).
Prescindendo da tutti i risvolti che ciò può comportare, occorre tenere presente che nel caso di specie, pur in assenza di un contratto validamente sottoscritto tra le parti, vi è stata comunque a monte una procedura selettiva (secondo le regole del codice appalti) che ha portato all’individuazione del professionista de quo anche a fronte di un determinato importo previamente quantificato.
Pertanto, si deve ritenere che l’importo da liquidare in favore del professionista deve essere quello deliberato post procedura selettiva (e non quello calcolato e quantificato dal professionista medesimo), anche se non tradotto in un contratto, in quanto in caso di contenzioso tra le Parti, con ogni probabilità, sarebbe anche l’importo liquidato dal Giudice proprio per le ragioni sopra esposte.

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