Print Friendly, PDF & Email

Al fine del rimborso delle spese legali il conflitto di interessi si radica sin dal momento dell’apertura del procedimento

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

A seguito dell’assoluzione del dipendente della PA la Corte di Appello condannava l’amministrazione a procedere con il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente per difendersi nel processo penale definito con assoluzione piena. Secondo i giudici di Appello, l’assoluzione del dipendente faceva venire meno il conflitto di interessi presente all’inizio del procedimento penale, dove l’amministrazione si era costituita quale parte civile. Avverso la citata sentenza ricorre la PA innanzi la Corte di Cassazione, evidenziando come ai fini della normativa applicabile occorreva avere riguardo al momento dell’apertura del procedimento penale, nella specie risalente all’anno 1992, epoca in cui il diritto al rimborso delle spese legali era disciplinato dall’art. 41D.P.R. 20 maggio 1987 n. 270 che lo escludeva in caso di conflitto di interesse sin dall’inizio. Il rimborso, inoltre, andava escluso in quanto l’amministrazione si era costituita parte civile al fine di tutelare la propria immagine che sarebbe stata compromessa ove fossero stati accertati i fatti di reato addebitati al citato dipendente.

Le motivazioni della Suprema Corte

Secondo i giudici di Palazzo Cavour le motivazioni sollevate dalla PA sono meritevoli di accoglimento per le seguenti ragioni:

– I giudici di Appello si sono basati su due differenti discipline sul conflitto di interessi, la prima in sede di apertura del procedimento penale, la seconda riguardante le successive disposizioni contrattuali, dando prevalenza a quest’ultime in quanto di maggior favore per il dipendente. Infatti, all’epoca dei fatti la disciplina applicabile era rintracciabile nelle disposizioni di cui all’art. 41D.P.R. n. 270 del 1987, le quali escludevano sempre e comunque il diritto al rimborso, rendendo irrilevanti gli esiti del processo penale instaurato a carico del dipendente, esiti che invece rilevano in relazione alle azioni intentate dopo l’entrata in vigore del CCNL del 2000;

– I giudici di legittimità hanno stabilito come la disciplina applicabile non può che essere quella vigente al momento dell’instaurazione del processo penale (ex multis Cass. Civ. nn. 18944 e 18946 del 2016) quanto alle condizioni che devono ricorrere affinché sorga a carico dell’amministrazione l’obbligo di assumere la difesa del dipendente, obbligo al quale il rimborso è inscindibilmente correlato. Tale principio è stato stabilito dalla stesse Sezioni Unite per i dipendenti degli enti locali evidenziando come “… l’obbligo del datore di lavoro, in questi casi, ha ad oggetto non già il rimborso al dipendente dell’onorario corrisposto ad un difensore di sua fiducia, ma l’assunzione diretta degli oneri di difesa fin dall’inizio del procedimento, con la nomina di un difensore di comune gradimento. E’ per questo motivo che l’obbligo del datore scatta e non può che scattare quando il procedimento viene aperto.” (Cass. Civ., S.U., 28 luglio 2009 n. 17473). Sempre le Sezioni Unite hanno avuto modo di evidenziare come “la mancanza di una situazione di conflitto di interesse costituisce presupposto stesso perché sorga la garanzia in esame e quindi rileva, nel merito, al fine della sussistenza, o meno, del diritto al rimborso. Se – secondo questa disciplina applicabile all’epoca del rapporto di impiego – c’era conflitto di interesse con l’ente locale datore di lavoro, non sorgeva proprio il diritto del dipendente a che l’Amministrazione si facesse carico delle spese della difesa nel procedimento penale. Pertanto se l’accusa era quella di aver commesso un reato che vedeva l’ente locale come parte offesa (e quindi in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorgeva affatto e non già sorgeva solo nel momento in cui il dipendente fosse stato, in ipotesi, assolto dall’accusa” ( Cass. Civ,. S.U., 4 giugno 2007, n. 13048);

– Nel caso di specie è incontestata la sussistenza di un conflitto di interessi, non solo presunto, avendo l’Azienda agito nei confronti del dipendente costituendosi parte civile nel processo penale e coltivando la costituzione nei diversi gradi di giudizio, da cui ne discende che la domanda avanzata dal dipendente per il rimborso delle spese legali è priva dei presupposti richiesti ed in particolare: a) in quanto risultando applicabile la normativa vigente al momento dell’apertura del procedimento penale, il conflitto di interessi permaneva sino alla fine non rilevando l’assoluzione del dipendente; b) è irrilevante la disposizione di maggior favore prevista dalla normativa contrattuale, anche in quanto disciplinante un “conflitto presunto” mentre nel caso di specie si è in presenza di una concreta contrapposizione in sede giudiziale fra il dipendente e l’ente pubblico datore di lavoro, per essersi il datore di lavoro costituito parte civile.

Sulla base delle sopra indicate motivazioni, la Suprema Corte decide nel merito la questione e, in riforma della Sentenza della Corte di Appello, respinge la domanda del dipendente al rimborso delle spese legali da lui sopportate nel processo penale che lo ha visto coinvolto. In considerazione della complessità giuridica della questione, solo recentemente risolta da questa Corte quanto ai profili legati alla successione nel tempo di normative di diverso tenore, e l’esito alterno dei gradi del giudizio di merito giustificano la pronuncia di integrale compensazione delle spese di lite.

Conclusioni

La rilevanza della citata sentenza è applicabile anche ai giudizi penali che hanno visto coinvolti gli amministratori locali, dove il rimborso delle spese legali è stato per la prima volta disciplinato dal legislatore a partire dalla L. 6 agosto 2015, n. 125, con la conseguenza che i procedimenti penali aperti nei loro confronti prima della citata data non potranno essere rimborsati.

Cass. Civ., Sez. Lavoro, 30 novembre 2017, n. 28785

Torna in alto