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Scelte urbanistiche generali tra poteri e prerogative della P.A. e aspettative dei privati
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Nella sentenza in esame il Tar Lazio – Roma interviene in tema di pianificazione del territorio essendo stata impugnata (per l’annullamento) la delibera di adozione del nuovo PRG adottata dalla competente amministrazione.
Si consideri, preliminarmente, che la materia dell’urbanistica, strutturalmente connotata dalla contestuale compresenza di plurimi interessi, pubblici e privati, spesso in conflitto tra loro, si caratterizza, tra l’altro, per due tratti fondamentali: l’ampia discrezionalità riconosciuta all’Autorità titolare del potere di pianificazione (specie con riferimento alle scelte di massima) ed il vincolo procedimentale e, più in generale, formale che avvince l’operato dell’Amministrazione, per evidenti ragioni di certezza.
In particolare, lo strumento più importante della pianificazione urbanistica a livello comunale, ossia il PRG (o il diverso atto previsto dalla legislazione regionale), è l’esito di una serie rigidamente procedimentalizzata di atti, in cui intervengono, a vario titolo ed in momenti diversi, i singoli cittadini, gli uffici comunali, le Amministrazioni competenti a dare i pareri e gli assensi eventualmente necessari nonché, in sede di approvazione finale, la Regione.
Orbene, si osserva in sentenza come le scelte urbanistiche di carattere generale, in sede di adozione di un nuovo PRG, al pari delle localizzazioni, debbano essere ricondotte nell’ampia discrezionalità dell’ente comune risultando insindacabili da parte Giudice Amministrativo tranne che non siano inficiate da errori di fatto, ovvero da abnormi illogicità (v. da ultimo: T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 16 ottobre 2019, n. 2176).
Deve quindi ritenersi ammissibile – argomenta ancora l’adito G.A. capitolino – la revisione (in senso anche peggiorativo) delle precedenti previsioni, pur in assenza di specifica motivazione, salvo i casi di affidamento «qualificato».
Per giurisprudenza costante, invero, le scelte urbanistiche compiute da un’Amministrazione comunale nell’esercizio del potere di pianificazione costituiscono il frutto di valutazioni ampiamente discrezionali e non necessitano di una particolare motivazione in riferimento alle contrapposte aspirazioni dei privati non titolari di interessi qualificati (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3559).
Tali evenienze (di affidamento qualificato), sulla scia di una giurisprudenza ormai consolidata, sono state ravvisate:
– nel superamento degli standards minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore deve essere riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
– nella lesione dell’affidamento qualificato del privato, in ragione dell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune ed i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 24 del 1999).
Ai fini della legittimità di nuove scelte di pianificazione è perciò sufficiente, sotto il profilo della motivazione e dell’istruttoria, l’accertata esistenza di problematiche, anche di ordine generale, purché concrete ed attuali, non arbitrarie né illogiche, che incidano in senso negativo sulle condizioni di vita dell’intera cittadinanza o di parte di essa, problematiche che medio tempore si siano aggravate, non essendo per contro necessaria una peculiare indagine su ogni singola area al fine di giustificarne la sua specifica idoneità a soddisfare esigenze pubbliche.
In base a tale orientamento (Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2003, n. 2386), per una più penetrante motivazione non è quindi sufficiente la semplice, preesistente, possibilità edificatoria, poiché, in questo caso, il mutamento di destinazione trova esauriente giustificazione, in linea con quanto previsto dall’art. 10, comma 7L. 17 agosto 1942, n. 1150, nelle «sopravvenute ragioni che determinino la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo» (Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 259).
Altro aspetto fondamentale della materia qui in esame, che viene evidenziato dal Tar Roma, è dato dal rilievo secondo cui l’aspirazione ad una destinazione migliorativa, se disattesa, non implica necessariamente un interesse qualificato all’impugnazione.
In mancanza, invero, di quelle evenienze generatrici di affidamento qualificato (ravvisate, come detto, nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato tra Comune e proprietari…) può dirsi sussistente solo una mera aspettativa generica ad una “reformatio in melius” (al pari di qualunque altro proprietario che aspiri alla migliore utilizzazione della sua proprietà immobiliare), cosicché non può essere fondatamente invocato il difetto di motivazione, in quanto si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso.
Può dirsi, riassumendo e sintetizzando, che:
– le scelte di ordine urbanistico sono riservate alla discrezionalità dell’amministrazione, cui compete il coordinamento di quelle esigenze che nella concreta realtà si presentano in modo articolato, con la conseguenza che nell’adozione di un atto di programmazione territoriale avente rilevanza generale l’amministrazione stessa non è tenuta a dare specifica motivazione delle singole scelte operate, che trovano giustificazione nei criteri generali di impostazione del piano, a meno che sulla precedente disciplina urbanistica siano state fondate specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2545);
– le indicazioni del piano che incidono su aree determinate e le assoggettano a vincoli preordinati all’esproprio devono essere sottoposte al particolare regime partecipativo delineato dalla normativa vigente nello specifico settore della programmazione urbanistica, e non alle norme stabilite per la generalità dei procedimenti amministrativi (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854);
– le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree. Pertanto, seppure l’Amministrazione è tenuta ad esaminare le osservazioni pervenute, non può però essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 6 agosto 2018, n. 1945);
– in sede di previsioni di zona di piano regolatore, la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basato sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti.
Si è osservato, da ultimo: «è certamente vero, …, che il Comune riveste “centralità sostanziale” nel procedimento che conduce alla formulazione del PRG e delle relative varianti, posto che al Comune sono riservate l’iniziativa e la formulazione delle scelte di merito. E’, inoltre, altrettanto vero che il potere pianificatorio può essere esercitato anche incidendo negativamente sull’affidamento dei privati al mantenimento delle pregresse previsioni urbanistiche.
Ciononostante, tale “centralità sostanziale” e tale prevalenza sui contrapposti affidamenti dei privati si svolgono e si esprimono esclusivamente nell’ambito delle forme previste dalla legge: la tipicità del potere, del resto, si manifesta anche e soprattutto con la tipicità delle forme di esteriorizzazione del potere e, a monte, dei propedeutici procedimenti» (Cons. Stato, sez. IV, 17 ottobre 2019, n. 7051).

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