15/10/2019 – Qualificazione delle spese di investimento e ricorso all’indebitamento

Qualificazione delle spese di investimento e ricorso all’indebitamento
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Serramazzoni e Vicesegretario Comunale
Il parere contabile che si presenta, reso dalla Corte dei conti-Puglia ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, e contenuto nella delibera 11 settembre 2019, n. 83, tocca il tema, molto delicato, della natura “di investimento” di una spesa e, come tale, della sua finanziabilità mediante ricorso all’indebitamento.
La L. 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria 2004), all’art. 3, comma 18 (come modificato dalla lett. b, comma 1, art. 75D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. aa, D.Lgs. 10 agosto 2014, n. 126), definisce tassativamente cosa deve intendersi per “spese d’investimento”, e il rinvio ad un apposito decreto ministeriale per eventuali variazioni da portare all’elenco delle tipologie d’indebitamento è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza del giudice delle leggi n. 425 del 29 dicembre 2004.
In buona sostanza il legislatore, attraverso un apposito elenco, ha individuato le operazioni economiche che costituiscono investimenti, con definizioni che derivano da scelte di politica economica e finanziaria, effettuate in stretta correlazione con i vincoli di carattere sovranazionale derivanti dall’Unione europea.
Per la parte che qui interessa, si ricorda cosa la normativa ha definito “spese d’investimento”, in base a una classificazione secondo natura:
– l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali;
– la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;
– l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale;
– gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale;
– l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose;
le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti;
– i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni;
– i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. In tale fattispecie rientra l’intervento finanziario a favore del concessionario di cui al comma 2 dell’articolo 19 della L. 11 febbraio 1994, n. 109;
– gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio.
Le Sezioni Riunite della Corte dei conti (delibera n. 25/CONTR/11 del 28 aprile 2011) hanno ritenuto che le disposizioni contenute nell’elenco appena citato:
– si basino su «una nozione di investimento che considera tutti i casi in cui dalla spesa assunta dall’ente deriva un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare. In una parola, un aumento della “ricchezza” dell’ente stesso, che si ripercuote non solo sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri, proprio per giustificare il perdurare, nel tempo, degli effetti dell’indebitamento»;
– debbano essere «lette ed interpretate in senso letterale e restrittivo. Ciò per l’esigenza di assicurare un comportamento gestionale degli enti improntato ad una prassi di assoluto rigore ed in linea con la necessità di garantire il rispetto della regola del pareggio economico del bilancio degli enti locali, che nel nuovo sistema ordinamentale, derivante dalla riforma del tiolo V della Costituzione, rappresenta principio cardine della sana gestione finanziaria, a garanzia del rispetto dei complessivi equilibri di finanza pubblica, quali derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
L’istanza esaminata dal magistrato contabile, ad ogni buon conto, riguarda la possibilità di finanziare con l’indebitamento la spesa derivante da un accordo transattivo per porre fine a un contenzioso scaturente da un contratto d’appalto trentennale di ampliamento, adeguamento, potenziamento, risparmio, gestione ordinaria e straordinaria, compresa la fornitura di energia elettrica, dell’impianto d’illuminazione pubblica; contenzioso in parte concluso con sentenza di condanna dello stesso Ente passata in giudicato.
Tenuto conto degli importanti risvolti finanziari e contabili della vicenda e dell’epilogo che potrebbe avere, non ultimo la dichiarazione di dissesto, un Sindaco ha sottoposto la questione al giudice dei conti, nell’esercizio della funzione consultiva attribuitagli dalla L. n. 131/2003.
Il quesito che la Sezione è chiamata a risolvere e che in questa sede si presenta, consiste, dunque, nello stabilire se la spesa in esame possa essere ricompresa tra le spese d’investimento, finanziabili tramite ricorso all’accensione di un mutuo o ad altra forma d’indebitamento.
La valutazione del giudice, ovviamente, deve tener conto, in primo luogo, del diritto positivo in materia, ovvero:
– di quanto disposto dall’art. 119, comma 6, Cost., nel testo sostituto dalla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e poi modificato dalla L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1, il quale enuncia la cosiddetta «regola aurea» del divieto d’indebitamento per spese diverse dagli investimenti, stabilendo che comuni, province, città metropolitane e regioni «Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti»;
– che a seguito della costituzionalizzazione, nel 2001, del principio del ricorso all’indebitamento esclusivamente per il finanziamento di spesa per investimento, il legislatore ha dettato disposizioni finalizzate a dare compiuta attuazione al predetto principio che, pur previsto dalla normativa previgente, ammetteva diverse deroghe; in particolare:
– l’art. 202, comma 1, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con formulazione rimasta fin qui immutata, così recita: «Il ricorso all’indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti. Può essere fatto ricorso a mutui passivi per il finanziamento dei debiti fuori bilancio di cui all’art. 194 e per altre destinazioni di legge»;
– l’art. 41, comma 4, L. 28 dicembre 2001, n. 448, ha poi precisato il regime di applicazione dell’art. 194, comma 3, TUEL, in forza del quale è autorizzata l’assunzione di mutui per il finanziamento dei debiti fuori bilancio; in dettaglio, è stato previsto che «Per il finanziamento di spese di parte corrente, il comma 3 dell’art. 194 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si applica limitatamente alla copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»;
– l’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289, ha sancito la nullità degli atti e dei contratti posti in essere in violazione dell’art. 119 Cost., attribuendo alle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti del potere di irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa delibera, la condanna a una sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione;
– l’art. 10, comma 1, L. 24 dicembre 2012, n. 243, secondo cui “Il ricorso all’indebitamento da parte delle regioni, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle province autonome di Trento e di Bolzano è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalità e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato“.
In linea, poi, con la giurisprudenza consultiva in materia, il Collegio reputa che la qualificazione in termini di investimento debba essere riservata alle sole spese inerenti in modo diretto e fisiologico (e non indiretto e patologico) alle fattispecie contemplate dall’art. 3, comma 18, L. n. 350/2003, ovvero che dalle stesse derivi «un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare» piuttosto che «un aumento della “ricchezza” dell’ente»; il che non sembra predicabile con riferimento a un accordo transattivo finalizzato a porre fine a un contenzioso processuale, derivante da una condotta dell’Ente locale contraria ai suoi obblighi negoziali e in parte concluso con sentenza di condanna dello stesso Ente passata in giudicato; ciò in quanto:
– fatta salva la verifica del caso concreto, un siffatto accordo è deputato non a produrre «un aumento della ricchezza” dell’ente» interessato, ma a contenerne il depauperamento; non genera un «aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare» ma, più verosimilmente, mira a limitare il detrimento di quel valore;
– quell’accordo, quand’anche relativo a una delle fattispecie d’investimento sopra citate, non vi inerisce in modo diretto e fisiologico;
– posto che la lite che lo stesso mira a prevenire/risolvere scaturisce da una condotta della P.A. contraria agli obblighi sulla stessa gravanti, ipotizzare di finanziare mediante indebitamento la relativa spesa e, dunque, qualificare implicitamente la stessa come investimento, non soddisfa «l’esigenza di assicurare un comportamento gestionale degli enti improntato ad una prassi di assoluto rigore ed in linea con la necessità di garantire il rispetto della regola del pareggio economico del bilancio degli enti locali»;
– non possono rilevare, al riguardo, la convenienza dell’accordo transattivo o la sua necessità per scongiurare il dissesto dell’ente interessato: si tratta, infatti, di valutazioni destinate ad operare su un piano di opportunità, diverso e ulteriore rispetto a quello della legittimità, integrata nel caso in esame dal rispetto del divieto d’indebitamento per spese diverse dagli investimenti, come più sopra identificati;
– non è di per sé dirimente la presenza di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive; la giurisprudenza contabile ha infatti chiarito che essi «non hanno natura propria, ai fini dell’eventuale copertura con “indebitamento”, ex art. 119, comma 6, Cost. Ai suddetti fini, in astratto, esse hanno natura “neutra”: non possono, cioè, essere considerate né “spese di investimento”, né “spese di parte corrente”. E’ in concreto, invece, che i riconoscimenti di debito da “sentenze esecutive” acquistano una loro precisa connotazione, assumendo la natura propria della spesa per la quale è sorta la controversia definita con la sentenza. Ciò, ovviamente, non vale per le spese processuali, ossia per le spese sostenute per instare vittoriosamente in giudizio (v. le c.d. “spese “legali”, o le c.d. “spese di giustizia”, ecc.), che hanno intrinsecamente natura di “spese ordinarie”, o di “parte corrente” che dir si voglia». (Corte dei conti, Sez. giurisdiz., Umbria, sentenza n. 24/2015).
In definitiva, il Collegio, premesso che il ricorso all’indebitamento può essere consentito per la copertura di debiti fuori bilancio riconosciuti per spese di investimento, evidenzia che la copertura dell’eventuale relativo accordo transattivo non potrebbe che riguardare tali spese, con esclusione di quelle estranee al corrispondente incremento patrimoniale, situazione che non sembrerebbe, invero, alla luce delle precedenti considerazioni, ricorrere nella rappresentata vicenda.

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