14/11/2019 – Urbanistica. Lottizzazione abusiva e sanatoria

Urbanistica. Lottizzazione abusiva e sanatoria
Pubblicato: 13 Novembre 2019
Cass. Sez. III n. 42106 del 14 ottobre 2019 (UP 19 giu 2019)
 
Il necessario requisito della “doppia conformità” delle opere di cui all’art.36, comma 1, d.P.R. 3802001 è ostativo già in astratto della applicabilità della sanatoria al reato di lottizzazione, atteso che, nel caso di lottizzazione abusiva, le opere non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro costruzione. Da ciò discende dunque che, in definitiva, sia che la sanatoria non operi già in astratto, sia che la stessa non operi per impossibilità di ravvisare in concreto i requisiti dell’art. 36 cit., la confisca dei terreni abusivamente lottizzati è legittima – in quanto obbligatoria ai sensi dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001,- anche in presenza della sanatoria delle opere edilizie .
 
RITENUTO IN FATTO

1. Pilloni Andrea e Ledda Pierluigi hanno proposto due distinti ricorsi avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari del 17/05/2018 che ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi sub 1) e sub 2) e, nei confronti di Ledda, anche in ordine ai reati ascritti al capo sub 3) dell’imputazione, escluso il fatto del 18 gennaio 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lanusei emessa in data 16/12/2016 che li aveva condannati per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, comma 1 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 per avere abusivamente lottizzato a scopo edilizio un’area sita in Tertenia distinta al catasto al fg. 27 mapp. 42, 73 e 74, zona classificata “E” nel P.R.G. del Comune di Tertenia (capo sub 1) nonché per il reato di cui all’art. 110 cod. pen. e 10, comma 4, della l. n. 353 del 2000 per avere realizzato le opere di cui al capo sub 1) su un’area percorsa da fuoco in data 01/07/2003 (capo sub 2) e, da ultimo, per il reato di cui all’art. 323 cod. pen. per avere Ledda Pierluigi, in qualità di responsabile del servizio urbanistico del Comune di Tertenia, rilasciato la concessione edilizia n. 117 del 30/12/2003 e le relative proroghe, atti finalizzati alla realizzazione di un complesso immobiliare destinato ad attività turistico ricettive, così procurando a Pilloni Andrea e Pilloni Antonio un ingiusto vantaggio patrimoniale.

2. Con un primo motivo Pilloni Andrea  lamenta l’erronea applicazione degli artt. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 e 16 della Legge regionale n. 23 del 1985 nonché mancanza di valutazione dell’accertamento di conformità postumo ai fini della confisca. A fronte della intervenuta prescrizione, la Corte avrebbe richiamato le motivazioni del Tribunale in ordine alla confisca, limitandosi a rilevare il difetto di conformità dell’intervento alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione senza avere tuttavia valutato l’incidenza del provvedimento di rilascio della concessione in sanatoria sulla confisca stessa. La Corte si è limitata a rilevare due profili di illegalità dell’intervento quali il divieto assoluto di edificazione sull’area previsto dall’art. 10 della l. 305 del 2000 nelle ipotesi di passaggio del fuoco nei dieci anni precedenti, nonché la violazione dell’art. 6 delle N.T.A. del P.G.R. del Comune di Tertenia in ragione della natura dell’intervento urbanistico, non qualificabile come “punto di ristoro”. L’accertamento di conformità postuma rilasciato dal Comune di Tertenia il 31/12/2015, avrebbe invece reso compatibile l’intervento edificatorio con gli strumenti urbanistici vigenti al momento della sanatoria : quanto alla violazione dell’art. 10 della l. 305 del 2000, perché la valutazione di conformità ai parametri urbanistici svolta al momento del rilascio della concessione in sanatoria (31/12/2015) avrebbe dovuto muovere dalla disciplina vigente al momento del rilascio della stessa contemplante la legittimità degli interventi edilizi ove già previsti in data anteriore alla verificazione dell’incendio (in ogni caso l’accertamento di conformità sarebbe stato rilasciato più di dieci anni dopo l’incendio, con la conseguenza che in quel momento l’intervento non sarebbe comunque stato precluso neppure secondo la formulazione originaria dell’art. 10 l. cit) e, quanto alla violazione dell’art. 6 delle N.T.A. del P.G.R. del Comune di Tertenia, perché, essendo stata effettuata per legge una valutazione da parte degli enti competenti al rilascio in ordine alla compatibilità dell’intervento con la salvaguardia dell’ambiente e del territorio, a maggior ragione la stessa dovrebbe valere con riferimento alla riserva pubblica di programmazione territoriale e di pianificazione urbanistica.. Il riconoscimento della incapacità di compromettere l’assetto del territorio sul piano naturalistico, alla base dell’accertamento di conformità, costituirebbe in altri termini un quid pluris in termini di conservazione dello stato dei luoghi rispetto alla necessità di tutelare la prospettiva di una futura pianificazione urbanistica.

2.1. Con un secondo motivo lamenta manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza del reato di lottizzazione abusiva. La Corte avrebbe ritenuto che il reato di lottizzazione abusiva si fonderebbe sulla violazione dell’art. 6 delle N.T.A. del P.G.R. del Comune di Tertenia sull’erroneo presupposto che l’intervento edificatorio non sarebbe qualificabile quale punto di ristoro, attesa la dimensione del fabbricato, composto da diversi corpi di fabbrica. Tuttavia, l’art. 6 della Circolare dell’Assessore degli Enti Locali, Finanze ed Urbanistica N. 1 del 1984 non prescriverebbe le dimensioni dell’intervento, unicamente contemplate per le strutture sportive e ricreative annesse al punto di ristoro, posto che l’unico limite dimensionale imposto riguarderebbe l’indice fondiario che indicherebbe un limite di edificabilità di 0,06 mc/mq per i punti di ristoro, precisandosi tuttavia che l’indice potrebbe essere incrementato fino al limite massimo di 0,50 mc/mq con deliberazione del Consiglio Comunale. Il punto di ristoro in oggetto avrebbe avuto una struttura centrale destinata a bar, ristorante e pizzeria, tre corpi di fabbrica con 20 posti letto per gli ospiti, un corpo destinato al personale dipendente con 8 posti letto, serbatoio idrico, piscina e parcheggio con utilizzo di un indice fondiario di 0,08 mc/mq; non si comprenderebbe, pertanto, quale risultanza istruttoria avrebbe indotto la Corte a ritenere che la struttura fosse in realtà un piccolo albergo, che i 20 posti letto fossero il principale tra i servizi offerti dalla struttura e che il numero di 8 dipendenti fosse sproporzionato rispetto a quello degli ospiti. Né l’attività di ristorazione sarebbe stata il servizio principale offerto dalla struttura posto che, considerando l’attività di bar, ristorazione e pizzeria, sarebbe congruo il numero di un centinaio di coperti al quale corrisponderebbe l’impiego di 8 dipendenti, così come risultano conformi alla natura collaterale imposta a tale attività i 20 posti letto per i clienti.

3. Ha proposto ricorso anche Ledda Pierluigi.

Con un primo motivo lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 323 cod. pen. in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo del dolo intenzionale proprio del reato (ovvero la rappresentazione e volizione dell’evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale come conseguenza diretta e immediata della condotta), posto che l’imputato non avrebbe agito allo scopo di avvantaggiare il Pilloni in quanto la sua posizione sarebbe stata invece diretta, in buona fede, al perseguimento dell’interesse pubblico. Nessuna prova la Corte territoriale avrebbe dato della volontà di Ledda di agevolare o favorire gli interessi del privato. La insussistenza del dolo intenzionale sarebbe anzi provata dal fatto che la concessione edilizia sarebbe stata rilasciata due giorni prima dell’entrata in vigore della nuova normativa con misure più favorevoli e dunque, proprio il mancato decorrere del tempo per avere una normativa più favorevole, evidenzierebbe il mancato favoreggiamento del Pilloni da parte del Ledda il quale avrebbe potuto posticipare la concessione edilizia e farla rientrare in un dettato normativo più favorevole.

3.1. Con un secondo motivo lamenta violazione dell’art. 10 della l. n. 353 del 2000 in quanto non sarebbe risultata provata la realizzazione dell’intervento edilizio in zona percorsa dal fuoco senza considerare che l’intervento edilizio sarebbe già stato previsto in data precedente l’incendio. Deduce gli esiti della cartografia redatta nell’immediatezza dei forestali e messa a disposizione dell’ufficio tecnico, così come di quella allegata alla nota dell’1/08/2006 a firma della dirigente dott.ssa Congiu e dell’esito dell’unico rilievo effettuato con GPS dal CFVA e trasmesso al Comune nel 2006; anche il perito incaricato dal Tribunale di accertare la circostanza dell’incendio del 2003 in quella specifica zona aveva ritenuto di escludere che l’area fosse stata percorsa dal fuoco, rilevando piuttosto un ingiallimento della macchia derivante dall’induzione termica e non già da una fiamma diretta; deduce inoltre  che l’area in oggetto non poteva dirsi ricoperta da bosco, posto che dalla documentazione acquisita sarebbe emerso soltanto la presenza di vegetazione spontanea riconducibile alla gariga; né potrebbero considerarsi le risultanze effettuate ben 10 anni dopo la data dell’incendio dalla forestale; deduce altresì che la richiesta di concessione edilizia in relazione all’opera assentita con provvedimento n. 117 del 30 dicembre 2003 sarebbe stata avanzata sin dal marzo 2003 e nel successivo mese di giugno sarebbe stata autorizzata dal Servizio Tutela del paesaggio, sicché  l’intervento era stato previsto ed individuato nella sua concreta ubicazione; ad ogni modo, l’intervenuto rilascio della concessione in sanatoria comporterebbe l’estinzione del reato

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3.2. Con un terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché eccesso di potere nel rilascio delle proroghe all’efficacia temporale del provvedimento di concessione edilizia, avendo la Corte errato nel considerare le proroghe non motivate e caretterizzate da eccesso di potere. Al contrario, la proroga sarebbe stata accordata con provvedimento motivato, essendo stata indicata la mole dell’opera da realizzare, i mezzi di cui si disponeva ai fini della costruzione ed il mancato finanziamento. Le due richieste di proroga del 29 gennaio 2009 e del 18 gennaio 2011 si sarebbero infine collocate nel pieno della crisi economica sofferta dalle banche, mentre il Pilloni avrebbe presentato la sua richiesta di finanziamento nel 2003 e nel 2004.

3.3. Con un quarto ed ultimo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 62 bis cod. pen. avendo la Corte escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche senza tener conto degli elementi di cui  all’art. 133 cod. pen.   

  CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso di Pilloni Andrea, volto sostanzialmente a lamentare la omessa valutazione dei presupposti che avrebbero dovuto condurre la Corte territoriale a ritenere applicabile nella specie il provvedimento di accertamento di conformità delle opere con conseguente impossibilità di confermare la confisca già disposta in primo grado, è manifestamente infondato.

Va anzitutto chiarito che, se è pur vero che la Corte territoriale, sollecitata con l’atto di appello,  non ha espresso valutazioni sulla idoneità dell’accertamento in sanatoria rilasciato dal Comune di Tertenia il 31/12/2015 ai sensi dell’art.36 del d.P.R. n. 380 del 2001 ad estinguere il reato di lottizzazione di cui al capo 1), ciò non può di per sé integrare alcun difetto di motivazione, configurabile unicamente con riguardo ai dati fattuali ma non con riferimento agli aspetti di diritto (conf., da ultimo, Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, Girardi, Rv.275636).

Ciò posto, anche a volere dare per non controvertibile che la sanatoria rilasciata con riguardo alla concessione edilizia, illegittima, sulla cui base sia stata realizzata la condotta lottizzatoria, abbia la capacità di estinguere anche il reato di lottizzazione, va tuttavia osservato come, in radice, osti alla applicabilità nella specie della sanatoria stessa la circostanza che  l’accertamento della conformità di quanto realizzato agli strumenti urbanistici va operata, ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, non solo con riguardo alla disciplina vigente al momento della sanatoria ma anche a quella vigente al momento della realizzazione del manufatto, sì che comunque, nella specie, anche ove si convenisse con il ricorrente circa l’inapplicabilità del divieto di edificazione ex art. 10 della l. n. 305 del 2000, seguiterebbe a sussistere quanto meno il secondo profilo di illegittimità contestato al ricorrente, ovvero il contrasto con l’art.6 delle n.t.a. del P.R.G. del Comune di Tertenia.  

Ed anzi, proprio il necessario requisito della “doppia conformità” delle opere di cui al citato art.36, comma 1, è stato assunto da questa Corte come ostativo già in astratto della applicabilità della sanatoria al reato di lottizzazione, atteso che, nel caso di lottizzazione abusiva, le opere non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro costruzione (Sez.3, n. 28784 del 16/05/2018, P.G. in proc. Amente ed altri, Rv. 273307; Sez. 3, n. 38064 del 18/06/2004, Semeraro, Rv. 230039).

Da ciò discende dunque che, in definitiva, sia che la sanatoria non operi già in astratto, sia che la stessa non operi per impossibilità di ravvisare in concreto i requisiti dell’art. 36 cit., la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, nella specie mantenuta dalla sentenza impugnata (che ha invece disposto la revoca della demolizione delle opere abusive), è legittima – in quanto obbligatoria ai sensi dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001,- anche in presenza della sanatoria delle opere edilizie (in questo senso, pur se con riferimento alla normativa di cui alla l. n. 47 del 1985, già Sez. 3, n. 38064 del 2004, cit.; inoltre, anche con riguardo ai diversi effetti della autorizzazione in sanatoria a lottizzare, Sez. 3, n. 43591 del 18/02/2015, Di Stefano e altri, Rv. 265153).

1.2. Il secondo motivo del ricorso di Pilloni Andrea è inammissibile perché articolato in termini di sollecitazione, non consentita, della rivalutazione del compendio probatorio e della conseguente pretesa di qualificazione come “punto di ristoro” della natura dell’intervento posto in essere sulla base di una diversa interpretazione degli elementi identificativi dello stesso, in definitiva rivelandosi inammissibilmente caratterizzato in senso fattuale- alternativo.

La sentenza impugnata, in linea con quanto già argomentato dal Tribunale, e fornendo una esegesi corretta delle previsioni comunali riguardanti i punti di ristoro definiti, in particolare, dal decreto assessoriale 23 dicembre 1981, n. 2266/U, come “i bar, ristoranti e le tavole calde cui possono essere annesse, purché di dimensioni limitate, altre strutture di servizio relative a posti letto nel numero massimo di venti e ad attività sportive e ricreative”,  ha spiegato in realtà, in maniera logica,  perché l’opera realizzata  non possa essere considerata un punto di ristoro, già solo considerando incompatibile il dato esuberante del numero di ventotto posti letto (di cui otto per il personale) alla luce della irragionevolezza del riferimento (così inteso, invece, dal ricorrente) del numero massimo contenuto nelle disposizioni predette alle sole stanze per gli ospiti.   

Di qui, dunque, la non illogicità della considerazione, da parte del Tribunale, confermata dalla Corte territoriale, della tipologia di intervento come di un “albergo” dotato di caratteristiche proprie quali un numero consistente di posti letto, la presenza di una piscina, il numero importante di posti auto e la presenza di un ristorante e di un bar.

2. Anche il ricorso di Ledda Pierluigi è inammissibile.

Il primo motivo appare inammissibile caratterizzandosi per valutazioni e considerazioni alternative rispetto a quelle logiche fornite dalla Corte territoriale con riguardo alla sussistenza del dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 cod. pen.. Infatti, a fronte della ragionata esposizione dei molteplici elementi comprovanti, secondo i giudici di merito, la sussistenza dell’elemento psicologico (si veda in particolare sub § 3.4.3.) costituiti essenzialmente dalla reiterazione, proseguita nell’arco degli anni, nel rilascio del provvedimento abilitativo e delle susseguenti proroghe pur nella consapevolezza, derivante dalla conoscenza dei luoghi e dalla indubbia esperienza professionale, delle macroscopiche violazioni di legge derivanti dal contrasto con le n.t.a. e con il vincolo di in edificabilità e dalle caratteristiche dell’opera assentita, il ricorrente si è limitato a prospettare dati che, quand’anche indicativi di una plausibile diversa “lettura” dell’atteggiamento psicologico di Ledda e del suo comportamento, restano al di fuori dei limiti di cognizione ed apprezzamento di questa Corte; invero, anche successivamente alla modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., introdotta dalla L. n. 46 del 2006, il sindacato della Cassazione continua a restare quello di sola legittimità sì che esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893).

2.1. Di analoghe, non corrette, impostazioni soffrono anche gli ulteriori motivi di ricorso, sia con riferimento all’interessamento dell’area oggetto dell’intervento dall’incendio boschivo verificatosi nel 2003 e alla stessa presenza del bosco (secondo motivo), sia con riferimento alla ritenuta illegittimità delle proroghe del provvedimento di concessione edilizia (terzo motivo), sia infine con riguardo alla censurata esclusione delle circostanze attenuanti generiche (quarto motivo).   

Per ognuna di dette censure, infatti, la sentenza ha fornito una motivazione logica e congrua e, pertanto insindacabile, mentre il ricorrente ha riproposto le doglianze mosse con l’atto di appello e già correttamente disattese dai giudici di appello.

Quanto al secondo motivo, infatti, la sentenza ha richiamato, in ordine alla natura boschiva, gli esiti degli accertamenti compiuti dal Corpo forestale dello Stato con allegata cartografia e la foto aerea del 2013 evidenzianti l’ampia area boscata interessata dall’incendio e, quanto alla inclusione dell’area nella zona dell’incendio l’accertamento peritale, esattamente riguardante proprio il fondo oggetto dell’intervento edilizi, e si è poi confrontata con dati di invocato segno contrario, disattendendone motivatamente il contenuto (vedi pagg. 43-45).

Quanto al terzo motivo, sempre la sentenza ha richiamato, da un lato, le puntuali argomentazioni del Tribunale in ordine alla legittima applicabilità delle proroghe della concessione alle sole opere pubbliche e non invece a quelle di natura privata sulla base della norma dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, di stretta interpretazione e, dall’altro, la impossibilità di disporre legittimamente proroghe riguardanti un provvedimento già ab origine illegittimo (v. pagg. 47-48).

Quanto infine al quarto motivo, è lo stesso ricorrente, nel riepilogare gli orientamenti di questa Corte in ordine ai presupposti della concessione delle circostanze attenuanti generiche, a precisare come sia richiesta la sussistenza di positivi elementi di giudizio” (posto che dette attenuanti non rappresentano un diritto semplicemente conseguente alla mancanza di elementi negativi), positivi elementi che, tuttavia, neppure il ricorrente indica; sì che, a fronte della motivazione comunque fornita dalla sentenza sul punto, e non contestata,  della idoneità della condotta del 18/01/2011 a far conseguire a Pilloni un significativo vantaggio patrimoniale, il ricorso resta, sul punto, del tutto generico.

3. In definitiva, dunque, entrambi i ricorsi sono inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.   

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.   

Così deciso il 19 giugno 2019

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