14/11/2019 – L’Arera e il nuovo metodo tariffario rifiuti: una corsa con non poche difficoltà

L’Arera e il nuovo metodo tariffario rifiuti: una corsa con non poche difficoltà
di Alberto Pierobon – Consulente ambientale e dei servizi pubblici locali
La deliberazione Arera del 31 ottobre 2019, n. 443/2019/R/RIF ha per oggetto la “definizione dei criteri di riconoscimento dei costi efficienti di esercizio e di investimento del servizio integrato dei rifiuti, per il periodo 2018-2020”. L’Autorità interviene per il metodo tariffario servizio integrato di gestione dei rifiuti (2018-2021) MTR, non senza aver emanato, da quest’estate, diverse deliberazioni e documenti per la consultazione, rilevanti, anche incoerentemente, sull’attuale assetto tariffario.
Ricordiamo che le competenze (di regolazione) dell’Arera riguardano, tra altro, la promozione della concorrenza e dell’efficienza dei servizi di pubblica utilità (cfr. art. 1, comma 1, L. n. 481/1995), recentemente estese anche alla materia dei rifiuti (art. 1, comma 527L. n. 205/2017), in ciò opinevolmente, trascinandosi metodiche e approcci di altri settori.
La impostazione del MTR non manca di suscitare perplessità, quantomeno operative stante la difficoltà di applicazione sin dal 2020, poiché sono da acquisire, valutare e approvare i piani economico finanziari (PEF) tali da consentire il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario e il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione anche in relazione agli investimenti programmati. Inoltre, i comuni che applicano il MTR devono determinare, a tal fine, i costi efficienti 2018-2019.
Per costi efficienti si intendono gli scostamenti tra i valori effettivi/efficienti da determinarsi per le annualità 2018-2019 e da recuperarsi nel 2020 e 2021 (a+1), i quali riferimenti sembrano derivare dai set dei dati economici e tecnici elaborati per ambiti di cui al panel dei gestori che sono stati considerati (solo in senso statistico ) rappresentativi di diverse realtà.
La prima critica è che i gestori non sono i genuini detentori dei dati e delle informazioni, invece, ove siano considerati tali, si arriva – di fatto – a diverse formalizzazioni e impostazioni.
Anche il confronto tra i costi efficienti e il benchmark di riferimento porta a diversi coefficienti di gradualità, diversificando per i comuni delle regioni a statuto ordinario (cfr. il fabbisogno standard ex art. 1, comma 653L. n. 147/2013) dai comuni in province o regioni autonome (ove si applica il costo medio di settore come da ultimo rapporto Ispra).
Sarà il gestore (art. 6 procedura di approvazione) a redigere il PEF, per poi trasmetterlo per la procedura di valutazione allo ETC (che potrà avvalersi di un soggetto terzo rispetto al gestore). Il PEF viene aggiornato (art. 19) previa verifica dell’ETC nell’ambito del procedimento di approvazione, in ogni caso sempre per garantire il raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario della gestione.
L’esperienza impone di colmare le asimmetrie informative dei soggetti concedenti, non lasciando ai gestori (concessionari o appaltatori, financo se pubblici) questo loro ruolo che pesantemente condiziona il nuovo sistema. L’Arera per l’intanto perora una regolazione di carattere asimmetrico, con modalità graduali, guardano al benchmark di costi di riferimento, differenziato per le Regioni (ordinarie e speciali) “nonché in presenza di un piano economico finanziario a livello pluricomunale o per ambito di affidamento”. Non tutte le realtà presentano situazioni di Enti Territorialmente competente (ETC) corrispondenti all’Ente di Governo dell’Ambito (EGATO) dotate di un gestore unico. Vi sono, invero, realtà frammentate e con plurimi soggetti gestori (per la raccolta, il trasporto, fasi di trattamento intermedio e di gestione definitiva del rifiuto). Anche questo è un bel tema. Proprio perché erroneamente si mima il sistema idrico con un unico affidatario del servizio. Per non dire poi delle multi-utility o gestori con attività extraprivativa rifiuti, che dovranno ripartire costi comuni e generali con driver, pur secondo pomposi criteri di significatività, attendibilità, ragionevolezza e verificabilità.
Da notare che (per mettere in ordine e consentire una comparazione congrua) il perimetro del servizio viene meglio delimitato, escludendo i costi di taluni servizi dalla determinazione tariffaria.
Va infatti tenuto conto, come pare essersi consapevolizzata l’Arera, “che il settore rifiuti è poliedrico nelle criticità, nelle competenze e nelle potenzialità; e non può essere regolato secondo strumenti omogenei di intervento”.
Un altro aspetto positivo consiste nel tenere conto degli effetti finali e contabili tariffari, ad es. escludendo l’IVA detraibile dal calcolo dei costi, mentre l’IVA indetraibile va evidenziata nel PEF; si dovrà poi intervenire sulla esigibilità dei crediti che tanto rilievo assumono nella determinazione tariffaria, soprattutto in molte realtà del Sud Italia.
Novità interessante e concreta che mancava nella fase transitoria del D.Lgs. n. 36/2003 (in una lacunosa strategia di intervento, anche nelle bonifiche: leggasi l’art. 17) è l’ammissibilità di taluni costi, anche relativi al post-mortem, ove manchino (anche parzialmente) le risorse a suo tempo accantonate.
Anche negli ammortamenti si introducono criteri ordinatori, con le vite utili regolatorie per categorie di cespiti comuni e specifici, pervero non del tutto condivisibili in base ai criteri di esperienza (es. negli impianti). L’ ETC(ETGA) può definire, tra altro, con procedura partecipata dal gestore, una vita utile regolatoria delle infrastrutture di smaltimento (non di recupero), con particolare riferimento alla categoria discarica, legata alla capacità residua e alle migliori stime disponibili in ordine all’esaurimento della medesima.
Altro elemento riguarda i contributi in conto capitale erogati da enti pubblici, per i quali si devono detrarre dal valore delle immobilizzazioni lorde i contributi percepiti in ciascun anno (rivalutato in base al deflatore degli investimenti fissi lordi al netto della quota già degradata), e che la valorizzazione dei finanziamenti a fondo perduto non guarderà in faccia nessuno, perché avviene indipendentemente dal soggetto che li ha percepiti (comune, consorzi, gestori secondo la modellistica dei servizi pubblici locali). Si va oltre, quindi, la sola sterilizzazione degli ammortamenti.
Sempre per meglio comparare e considerare i costi nella loro effettività e utilità, si considerano che i cespiti di proprietari diversi dal gestore possono ammettersi al riconoscimento tariffario solo ove il medesimo proprietario a fronte dell’uso del bene richieda un riconoscimento, mentre i cespiti di proprietà di comuni, consorzi, società patrimoniali o comunità montane vanno considerati secondo i valori del conto del patrimonio e delle scritture inventariali a valore.
Si prevede, nella logica industriale (come detto non pedissequamente e, in toto, applicabile al sistema integrato di gestione dei rifiuti) dei fattori sharing dei proventi, stante la incertezza nella crescita dei ricavi da gestione rifiuti per la vendita di materiali (erroneamente considerati solamente da corrispettivi CONAI) ed energia e per incentivare gli stessi.
E, le tariffe sono qui i prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte. La tesi del “prezzo” è qui usata in senso tecnico, cioè redazionale, non in senso tributario (o comunque del genus delle prestazioni patrimoniali imposte nelle quali, piaccia o non piaccia, ricade anche la tariffa puntuale). Diversi sono poi i corrispettivi unitari per la determinazione di talune componenti di costo (es. CTSa e CTRa).
Incidentalmente (per differenza implicita con altri settori, es. idrico) si sottolinea che il settore dei rifiuti è labour intensive con conseguenze in ordine al capitale investito e alle sue rettifiche positive di valore. Peraltro, il tasso di remunerazione del capitale investito del SIGR dovrà riflettere il costo efficiente di finanziamento del settore.
In conclusione siamo di fronte all’avvio di un sistema perlopiù algoritmico che porterà all’obiettivo di aggregazioni e di fusioni delle realtà imprenditoriali operanti e/o interessate ad entrare in questo settore ancora troppo trascurato. Ma sono gli EGTA che devono attrezzarsi culturalmente e budgettariamente per affrontare questo nuovo corso. Qui però l’Arera sembra ancora orecchiare alle metodiche e approcci del sistema idrico (che a sua volta risente di quello energetico) rischiando di creare una gabbia anche concettuale. E rimangono al palo (se non alzano una….. bandiera bianca) le Regioni, i Comuni, altri soggetti regolatori e pure il Ministero dell’Ambiente.

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