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Il servizio della mensa scolastica può essere erogato gratuitamente
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Serramazzoni e Vicesegretario Comunale
La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia, con il parere del 21 novembre 2019, n. 427, rispondendo all’istanza di un Sindaco formulata ex art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, approfondisce il complesso di norme che disciplinano la spesa per servizi pubblici a domanda individuale, quale componente fondamentale degli equilibri di bilancio degli enti locali, confermando che ve ne sia assoggettato il servizio della mensa scolastica che, tenuto conto della sua inerenza con l’effettività del diritto allo studio, è possibile erogarlo ad alcuni in forma gratuita e ad altri secondo tariffe differenziate; il Sindaco istante, infatti, dopo avere illustrato dettagliatamente le modalità di gestione del servizio di refezione scolastica da parte dell’ente, nonché i costi per lo stesso sostenuti, ha chiesto un parere in merito alla possibilità per il comune di offrire gratuitamente ai propri cittadini il servizio di refezione scolastica con oneri integralmente a carico del bilancio comunale.
Va premesso, in proposito, che per servizi a domanda individuale devono intendersi tutte quelle attività gestite direttamente dall’ente locale, ovvero da organismi ad esso appartenenti, che:
a) lo stesso pone in essere non per obbligo istituzionale;
b) vengano utilizzate a richiesta dell’utente;
c) non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale.
Il D.M. 31 dicembre 1983, emanato dal Ministero dell’Interno di concerto con i Ministeri del Tesoro e delle Finanze, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 1983, n. 131, ha definito le categorie dei servizi pubblici a domanda individuale. Gli enti locali, pertanto, possono considerare “servizio a domanda individuale” le seguenti attività, fissando le relative tariffe per l’utenza richiedente ed includendole fra i servizi richiamati dall’art. 172, comma 1, lett. e), D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267:
– alberghi, esclusi i dormitori pubblici; case di riposo e di ricovero;
– alberghi diurni e bagni pubblici;
– asili nido;
– convitti, campeggi, case per vacanze, ostelli;
– colonie e soggiorni stagionali, stabilimenti termali;
– corsi extra scolastici d’insegnamento di arti e sport e altre discipline, fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge;
– giardini zoologici e botanici;
– impianti sportivi: piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili;
– mattatoi pubblici;
– mense, comprese quelle ad uso scolastico;
– mercati e fiere attrezzati;
– parcheggi custoditi e parchimetri;
– pesa pubblica;
– servizi turistici diversi: stabilimenti balneari, approdi turistici e simili;
– spurgo di pozzi neri;
– teatri, musei, pinacoteche, gallerie, mostre e spettacoli;
– trasporti di carni macellate;
– trasporti funebri, pompe funebri;
– uso di locali adibiti stabilmente ed esclusivamente a riunioni non istituzionali: auditorium, palazzi dei congressi e simili;
– collegamenti alle centrali operative della polizia locale degli impianti di allarme collocati presso abitazioni private o attività produttive o servizi (fattispecie introdotta dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51art. 1-bis, di conversione del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, ad integrazione dell’elenco dei servizi a domanda individuale contenuto nel citato D.M. 31 dicembre 1983).
Il D.M. 31 dicembre 1983, dunque, che elenca la tipologia dei servizi suddetti, esclude espressamente, dalla categoria dei servizi a domanda individuale, quelle attività che “siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale“, provvedendo alla declaratoria specifica delle singole tipologie di attività qualificabili come servizi a domanda individuale.
Per i sopradetti servizi, quindi, gli enti erogatori “sono tenuti a richiedere la contribuzione degli utenti, anche a carattere non generalizzato“, tenuto tuttavia conto che l’art. 6, comma 7, D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, come convertito dalla L. 26 aprile 1983, n. 131, ribadisce, in tema di definizione della misura percentuale dei costi complessivi di tutti i servizi pubblici a domanda individuale, le eccezioni stabilite con l’art. 3D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, nella L. 26 febbraio 1982, n. 51, secondo cui tra i servizi pubblici a domanda individuale di cui i comuni “sono tenuti a richiedere la contribuzione degli utenti, anche a carattere non generalizzato”, non rientrano i servizi gratuiti per legge, i servizi finalizzati all’inserimento sociale dei portatori di handicaps, quelli per i quali le vigenti norme prevedono la corresponsione di tasse, di diritti o di prezzi amministrati ed i servizi di trasporto pubblico: in buona sostanza, la previsione di una contribuzione a carico dei fruitori dei servizi a domanda individuale è confermata dall’art. 6D.L. n. 55/1983, che ritorna sulla disciplina del finanziamento di tali servizi, imponendo all’ente che li eroga il compito di individuarne i costi, sia diretti che indiretti, e di determinare le percentuali di tali costi che devono essere coperte mediante la previsione di tariffe o contributi a carico dei beneficiari.
Il servizio di mensa scolastica è pacificamente ritenuto un servizio a domanda individuale, cioè un servizio pubblico che viene erogato dall’ente non perché la sua erogazione è un obbligo istituzionale, ma in quanto, avendone la possibilità economico-finanziaria, l’ente decida di assumerne la gestione fornendolo non alla collettività indifferenziata, ma ai soggetti che ne facciano richiesta.
Alla luce di tale ricostruzione, per la Corte, secondo il costante e consolidato orientamento ermeneutico, il servizio di gestione della mensa scolastica, costituendo un servizio a domanda individuale, dev’essere finanziato, almeno in parte, dalle contribuzioni dei fruitori, non potendo essere posto integralmente a carico del bilancio pubblico; in tal senso, tra le tante:
– Corte dei conti-Campania, deliberazione 25 febbraio 2010, n. 7/2010/PAR, secondo cui contro la tesi dell’indiscriminata elargizione gratuita dei servizi pubblici a domanda individuale, militano anche considerazioni riferibili alla necessità del rispetto di un principio di elementare prudenza e di razionalità nell’erogazione delle spese pubbliche, ai fini della salvaguardia degli equilibri di bilancio;
– Corte dei conti-Molise, deliberazione 14 settembre 2011, n. 80/2011/PAR, che, confermando quanto affermato dal giudice della Campania, ricorda che “componente fondamentale della decisione di attivare o meno un servizio a domanda individuale è che sussistano nell’ente le condizioni economiche per farlo“;
– Corte dei conti-Sicilia, deliberazione 25 febbraio 2015, n. 115/2015/PAR, secondo cui “per tali categorie di servizi, infatti, è prevista una percentuale minima di copertura dei costi con obbligo per gli enti locali di richiedere agli utenti una contribuzione (sebbene non necessariamente generalizzata), stante la volontà del legislatore di limitare la gratuità delle prestazioni dei servizi a quelle sole tipologie tassativamente previste dalla legge. Ed invero, al di fuori delle prestazioni dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale, i servizi pubblici a domanda individuale sono soggetti a contribuzione da parte dei soggetti fruitori. Ulteriore conferma della volontà legislativa di escludere la gratuita elargizione per le prestazioni afferenti ai servizi pubblici a domanda individuale è rinvenibile nell’obbligo per gli Enti che si trovano in condizione di deficitarietà strutturale (art. 242 TUEL) di elevare la soglia minima di copertura dei servizi a domanda individuale (art. 243 TUEL)“;
– Corte dei conti-Piemonte, delibera 23 marzo 2018, n. 30/2018/PAR, ove nell’affermare che il servizio della mensa scolastica rientra fra i “servizi pubblici a domanda individuale, in presenza dei quali l’ente erogatore è tenuto a richiedere la contribuzione dell’utenza (v., art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 1983, n. 131, nonché decreto del Ministero dell’Interno 31 dicembre 1983)“, ha, tuttavia, evidenziato che la determinazione concreta di tale contributo è “frutto di una scelta di ampia discrezionalità, riservata per legge all’amministrazione comunale, la quale deve esercitarla nel rispetto dei principi di equilibrio economico-finanziario di gestione del servizio e di pareggio di bilancio“.
L’adita Corte lombarda non ritiene che sussistano ragioni per discostarsi dall’interpretazione maggioritaria appena illustrata e, peraltro, precisa che non contrasta con tale consolidato orientamento il recente D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 63, recante disposizioni per la “Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera f), della L. 13 luglio 2015, n. 107“, il quale, nel dettare disposizioni volte a garantire, attraverso l’offerta di servizi e prestazioni, l’effettività del diritto allo studio, individua all’art. 2 la mensa scolastica fra i servizi che “lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente” devono sostenere per assicurare il diritto allo studio; l’art. 3, infatti, dispone che i servizi previsti dall’art. 2 siano erogati o in forma gratuita ovvero con contribuzione delle famiglie a copertura dei costi e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Quanto premesso, il giudice dei conti afferma che le norme richiamate, pertanto, consentono agli enti locali, come del resto pacificamente ritenuto anche in passato, di distribuire la quota di copertura dei costi del servizio mensa posta a carico dei fruitori, secondo scelte rimesse alla discrezionalità del comune, il quale, pertanto, oltre a godere di ampia discrezionalità nella scelta della quota da porre a carico dei fruitori, da determinarsi con deliberazione da allegarsi al bilancio di previsione ex art. 172D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, gode di altrettanta discrezionalità nella determinazione del contributo di ciascun fruitore, potendo escludere l’onere del contributo a carico di alcuni e potendo graduare l’onere della contribuzione a carico degli altri; in quest’ultimo caso, il secondo comma dell’art. 3D.Lgs. n. 63/2017, rimette agli enti locali il compito di individuare “i criteri di accesso ai servizi e le eventuali fasce tariffarie in considerazione del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente, di seguito denominato ISEE, ferma restando la gratuità totale qualora già prevista a legislazione vigente“.
Tale interpretazione è stata recentemente confermata dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti, giusta deliberazione 18 ottobre 2019, n. 25/2019/QMIG, la quale, pur pronunciandosi in relazione alle modalità di copertura finanziaria dei costi del servizio di trasporto scolastico, che presenta caratteristiche in parte differenti, ha, tuttavia, affermato in via generale che “in ragione del combinato disposto degli artt. 2, co. 1, lett. a), e dell’art. 3 successivo, detti servizi dovrebbero, quindi, essere erogati in forma gratuita oppure con contribuzione delle famiglie, previa individuazione dei criteri di differenziazione per le tariffe. Ciò in quanto servizi essenziali a garanzia del diritto allo studio, contemplato e garantito dalla Carta Costituzionale“.
In conclusione, pertanto, spetta all’ente, nell’ambito delle sue scelte discrezionali e nel rispetto dei vincoli economico-finanziari vigenti, determinare l’entità dei costi del servizio da coprire mediante il contributo dei fruitori e, in considerazione del fatto che tale contributo può essere “anche a carattere non generalizzato” (art. 3D.L. n. 786/1981) e dell’inerenza del servizio mensa con l’effettività del diritto allo studio (artt. 2 e 3D.Lgs. n. 63/2017), statuire come distribuire tale contributo fra i fruitori, potendo erogarlo ad alcuni in forma gratuita e ad altri secondo tariffe differenziate.

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