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di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20132, del 26 luglio 2019, ha accolto il ricorso di un Comune; per i giudici di legittimità l’ente locale non è tenuto a risarcire i danni che sono stati provati dalla pessima manutenzione delle strade a immobili che sono stati costruiti abusivamente.
Il contenzioso
Il Comune delle Regione Campania è ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che confermava la condanna ex art. 2051 c.c. per lo stesso Comune a risarcire a dei contribuenti una quota parte dei danni patrimoniali subiti nel 1996 dai rispettivi beni, quale conduttore di un immobile ove il primo esercitava l’attività di medico dentista e quale proprietario delle due unità immobiliari, danneggiati a causa di un’esondazione di acqua e fango proveniente dalla strada comunale, provocata da una falla presente nelle tubazioni comunali di raccolta dell’acqua piovana.
La Corte d’appello, sulla base dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 1227 c.c., ha affermato la responsabilità del Comune nella misura del 66% per il locale sito al primo piano e nella misura del 34% per il locale sito al piano terra, in ragione di un accertato concorso causale di colpa del proprietario dei locali che aveva costruito detti immobili in ampliamento della propria proprietà preesistente, abusivamente e senza attenersi alle regole dell’arte, posizionandoli in adiacenza della strada comunale risultata in cattive condizioni di manutenzione.
La Corte territoriale riteneva, inoltre, che non fosse attribuibile alcuna responsabilità di un terzo soggetto (una società), chiamata in causa dal Comune per i lavori di scavo che aveva effettuato sulla sede stradale.
Le motivazioni del ricorso del Comune
Nel ricorso in Cassazione il Comune ritiene che la Corte ha errato non solo nel riconoscere la responsabilità del Comune stesso per l’occorso, ma nel ravvisare un danno risarcibile in ragione della natura totalmente abusiva, sotto il profilo edilizio, dei beni immobili danneggiati, riconducibile al proprietario.
Il Comune ricorrente con il 1° motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., laddove è stata accordata tutela al frutto di un’attività illecita, essendosi il danno prodotto su immobili edificati senza titolo e in spregio delle regole di costruzione.
Con il 2° motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., laddove la sentenza non ha tenuto in debito conto la circostanza che la strada comunale da cui sono provenute le denunciate perdite non ha rappresentato la causa del lamentato danno, ma più semplicemente l’occasione dell’evento, prodottosi per fatto del terzo, e in particolare per gli scavi eseguiti da una società chiamata in giudizio, per eventi di calamità naturale correlati alle abbondanti piogge e soprattutto a causa del comportamento del proprietario danneggiato, il quale ha costruito abusivamente al di sotto della strada comunale, senza né rispettare le regole dell’arte, né ottenere i necessari titoli abilitativi.
Con il 3° motivo di ricorso il Comune denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 193R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, in quanto i danni relativi ad attrezzature mediche presenti nelle parti dell’immobile edificate senza titolo sarebbero andati a risarcire un medico che al tempo esercitava la professione del dentista senza il possesso della speciale autorizzazione sanitaria.
La sentenza della Cassazione
Per la Corte di Cassazione il ricorso è fondato. La Corte di merito, riportandosi all’ampia motivazione del giudice di prime cure e del CTU acquisita nel giudizio di primo grado, ha affermato che la responsabilità del Comune per omessa custodia ex art. 2051 c.c. è rinvenibile in una condotta negligente nella manutenzione dei condotti fognari della strada, specificando che l’abuso edilizio del privato non ha inciso su tutto l’immobile del proprietario ma solo sull’ampliamento privo del permesso a costruire, dando rilievo non solo agli obblighi di custodia ex art. 2051 c.c. che comportano una responsabilità oggettiva, ma anche al principio del neminem laedere che impone alla P.A. l’obbligo di adottare, nella costruzione e nella manutenzione delle pubbliche vie, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare un deflusso anomalo nei fondi privati confinanti, così da impedire di arrecare un danno ingiusto. Conseguentemente la Corte d’appello, alla luce delle risultanze della CTU che ha accertato la presenza di falle nei condotti fognari e dei tombini della pubblica via per il deflusso delle acque, nonché di vizi costruttivi degli immobili danneggiati, in base all’art. 1227 c.c. che impone al giudice di merito di accertare l’eventuale incidenza causale della condotta colposa e negligente del danneggiato nella produzione del fatto dannoso, ha considerato, quanto a un’unità immobiliare, prevalente la responsabilità del privato che aveva costruito senza licenza e non a regola d’arte un vano sotto l’arco strutturale della strada e, quanto all’ altra unità immobiliare, prevalente la responsabilità ex art. 2051 c.c. del Comune per la parte costruita dal privato in adiacenza alla sede viaria, investita dall’onda di fango e acqua, ripartendo la responsabilità tra danneggiante e danneggiato in diversa misura, sì da imputare al Comune il 34% della quota di responsabilità nella prima ipotesi e il 66% nella seconda ipotesi.
Il precedente richiamato dalla Corte territoriale nell’affermare la responsabilità del Comune, reso dalla giurisprudenza (Cass. civ., Sez. III, sentenza n. 2566 del 6 febbraio 2007), sancisce la responsabilità della pubblica amministrazione per omessa manutenzione delle strade e riguarda il rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti, verso i quali l’Amministrazione è comunque, tenuta all’osservanza del divieto del “neminem laedere”, che di per sé implica l’obbligo di adottare, nella costruzione delle strade pubbliche, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare che, dalla strada, le acque che nella medesima si raccolgono o che sulla stessa sono convogliate, legalmente o illegalmente, senza opposizione del Comune proprietario, possano defluire in modo anomalo nei fondi confinanti, così impedendo di arrecare loro un danno ingiusto.
Sicché in tema di danno cagionato ex art. 2051 c.c. da beni demaniali, grava sulla P.A. custode l’onere di provare la sussistenza di una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode (Cass. civ. sentenza n. 6326 del 5 marzo 2019Cass. civ. ordinanza n. 6703 del 19 marzo 2018).
Per la Corte di Cassazione il ragionamento effettuato dalla Corte di merito non è tuttavia sufficiente a regolare il caso in esame. La pretesa risarcitoria riguarda invero il danneggiamento di un bene immobile, il cui risarcimento va commisurato in riferimento all’impatto che ha avuto, nella causazione del danno, la condotta colposa del danneggiato, ex art. 1227 c.c.: in proposito, la Corte di merito ha ritenuto di considerarlo solamente in proporzione ai vizi costruttivi rilevati negli immobili danneggiati. Un’ ulteriore questione, non adeguatamente considerata dalla Corte di merito, si pone però ove il bene di cui si chiede il risarcimento presenti non solo vizi costruttivi, ma anche una situazione di insanabile irregolarità edificatoria che venga a interferire sul diritto a ottenere il ripristino dello stato dei luoghi o il risarcimento per equivalente.
In generale, quando l’evento dannoso si ricollega a più azioni od omissioni, il problema della concorrenza di una pluralità di cause trova la sua soluzione nella disciplina di cui all’art. 41, c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendente dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a ciascuna di esse, a meno che non sia raggiunta la prova dell’esclusiva efficienza causale di una sola, pur se imputabile alla stessa vittima dell’illecito, da ritenersi idonea ad impedire l’evento od a ridurne le conseguenze (cfr. Cass. civ., ordinanza n. 3779 del 8 febbraio 2019). L’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227 c.c. in rapporto all’art. 2051 c.c., implicante un’analisi del nesso di causalità tra fatto ed evento, richiede quindi un’indagine sul piano della valutazione delle singole condotte colpose e della loro concreta incidenza sul piano causale.
Una siffatta valutazione attiene al piano della discrezionalità assegnata al giudice del merito e, pertanto, al giudice di legittimità spetta il compito di verificare se essa sia stata fatta, con argomenti logici e congruenti, in adesione alla fattispecie da esaminare.
Per la Cassazione la sussistenza di una irregolarità costruttiva, sotto il profilo di un’insanabile mancanza di ius aedificandi, è certamente in grado di determinare l’effetto di esclusiva efficienza causale sul piano degli eventi causativi del danno da risarcire, stante la natura “conformativa” dei vincoli di edificabilità apposti sul diritto di proprietà, ex art. 42, comma 1, Cost. – i quali, pur comprimendo il diritto di proprietà, non possono essere definitivi propriamente come vincoli aventi natura espropriativa, e dunque non sono di per sé indennizzabili in quanto tali (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, sentenza 7 aprile 2010, n. 1982). Pertanto, la presenza di tale elemento di interferenza sul piano causale deve essere adeguatamente considerata dal giudice di merito.
Per i giudici di legittimità la ratio sottesa è inoppugnabile.
Il diritto soggettivo ad essere risarcito del danno provocato da fatto illecito altrui non può infatti comportare un arricchimento ingiustificato per chi, costruendo un immobile in assenza di ius aedificandi o di autorizzazione amministrativa, è onerato piuttosto – e in via permanente – di non aggravare le responsabilità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei terzi che entrino in contatto con la cosa in sua custodia. Il difetto di concessione edilizia del bene danneggiato, difatti, viene ad affievolire, se non ad azzerare, il diritto del proprietario del bene ad essere risarcito per equivalente del danno sofferto, poiché la costruzione abusiva in tal caso non esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’amministrazione ed il privato che ha realizzato la costruzione, ma viene inevitabilmente a incidere sulla risarcibilità del relativo danno, qualora l’abuso risulti avere aggravato la posizione di garanzia assegnata alla Pubblica Amministrazione nella custodia dei propri beni.
La Corte di Cassazione accoglie i motivi di ricorso e cassa l’ordinanza con rinvio del procedimento alla Corte d’appello, affinché, in diversa composizione, decida anche per le spese del giudizio in commento.

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