13/07/2018 – I tempi per esercitare l’autotutela

I tempi per esercitare l’autotutela

di Marilisa Bombi – Giornalista, consulente autonomie locali

L’art. 21-noniesL. n. 241 del 1990 va interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi concesso alla PA per esercitare l’autotutela per i provvedimenti ampliativi, a qualunque natura riconducibili: autorizzazione, comunicazione, SCIA che dir si voglia, è consentito nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale. Ma anche nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte. Non sarebbe, infatti, ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva. Con la conseguenza che si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco. Il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 3940 depositata il 27 giugno 2019 ha svolto l’esegesi della disposizione contenuta nell’art. 21-noniesL. n. 241 del 1990 che stabilisce, appunto, la tempistica per l’esercizio dell’autotutela da parte della PA.

E’ necessario partire dal rilievo che, – osserva la Sezione – nel modificare la previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, l’art. 14, comma 1, L. n. 15 del 2005 ha – innovando, sul punto, la tradizionale regola che rimetteva alla discrezionalità amministrativa, nel rispetto del (sindacabile) canone di “ragionevolezza”, la concreta gestione del limite temporale nella attivazione dei procedimenti di secondo grado in funzione di riesame, facendone con ciò elemento del complessivo e motivato apprezzamento comparativo degli interessi in gioco, variamente ancorati al conflitto tra la ripristinanda legalità dell’azione amministrativa e la concretezza dei maturati affidamenti dei destinatari del provvedimento assunto contra legem – scolpito (peraltro, limitatamente alle determinazioni di matrice autorizzatoria e a quelle attributive di “vantaggi economici”, per le quali è, con ogni evidenza, maggiormente sentita la necessità di salvaguardare l’affidamento dei privati beneficiari e più consistente il consolidamento dei riconosciuti e/o conseguiti diritti) l’astratto e generale termine di diciotto mesi.

L’opzione normativa appare, con ogni chiarezza, ispirata alla logica di una astratta e generale prevalutazione ex lege degli interessi in conflitto: onde – le quante volte il privato abbia visto rimuovere, anche per silentium, un limite all’esercizio di facoltà giuridiche già incluse, nonostante la verifica di compatibilità con l’interesse pubblico, nel proprio patrimonio di libertà od abbia, alternativamente, conseguito vantaggi o ausili finanziari in grado di impegnare pro futuro la programmazione della propria attività economica – alla Amministrazione è concessa la facoltà di rivedere il proprio operato, ogni qualvolta risultasse assunto in violazione del relativo paradigma normativo di riferimento, ma con lo scolpito e ridetto limite temporale preclusivo, superato il quale il ripristino della legalità violata è, con insuperabile presunzione, ritenuto suvvalente a fronte delle legittime aspettative private.

Così individuati fondamento e ratio della previsione, appare evidente, precisa la sentenza, che le aspettative in grado di paralizzare l’azione rimotiva dell’Amministrazione devono palesarsi legittime. Ma ciò non accade nel caso in cui la mancata sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ampliativo della sfera privata prefiguri (non semplicemente un errore, di per sé solo in grado di autorizzare, violata la legge, l’attivazione dell’autotutela, sebbene) un errore imputabile alla parte (e non alla Amministrazione decidente). Appare del tutto logico, in siffatta situazione – in cui l’Amministrazione sia stata propriamente indotta della presentazione dei presupposti necessari al conseguimento del riconosciuto vantaggio – che la parte non possa beneficiare della rigidità del termine imposto all’esercizio dell’autotutela: e ciò in quanto, per l’appunto: per un verso, l’affidamento vantato non avrebbe i connotati della meritevolezza di tutela; per altro verso, l’immutazione dei dati di realtà sottesi all’azione amministrativa non potrebbe plausibilmente comprimere – di là dal generale e generico limite di complessiva ragionevolezza – i tempi per l’accertamento della verità.

Il Collegio, in sostanza, ha confermato la decisione del giudice di primo grado il quale aveva ritenuto che per l’applicabilità del comma 2-bis dell’art. 21-nonies cit., che consente l’intervento in autotutela anche oltre il termine di cui al comma 1 – non fosse necessaria, quanto al presupposto della “falsa rappresentazione dei fatti”, il definitivo accertamento, in sede penale, della commissione di reati (riferibile esclusivamente alla distinta sottoipotesi del mendacio in “dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà”.

Cons. di Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940

Art. 21-nonies L. 7 agosto 1990, n. 241 (G.U. 18 agosto 1990, n. 192)

Art. 14, comma 1L. 11 febbraio 2005, n. 15 (G.U. 21 febbraio 2005, n. 42)

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto