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Piani di rientro a due vie  

di FRANCESCO CERISANO – Italia Oggi – 11 Maggio 2019

Piani di rientro a due vie per i comuni in pre-dissesto finiti nel mirino della Consulta che con la sentenza n.18/2019 ha dichiarato incostituzionale la possibilità offerta agli enti in rosso di approvare piani di riequilibrio finanziario a 30 anni. I municipi che prima della decisione della Corte (14 febbraio 2019) avevano ottenuto dalla Corte conti l’ approvazione del piano riformulato ai sensi della norma dichiarata illegittima (art.1, comma 714, della legge 208/2015) sono parzialmente in una botte di ferro.

Gli effetti dei piani di riequilibrio approvati sono intangibili ma «relativamente alle sole quote di disavanzo riferite alle annualità il cui ciclo di bilancio si sia chiuso con l’ approvazione del rendiconto». Il disavanzo residuo dovrà invece essere ripianato considerando il piano originario dell’ ente, approvato prima della rimodulazione conseguente all’ entrata in vigore della norma cancellata dalla Consulta.

Quindi entro un orizzonte temporale di 10 anni (il tempo massimo indicato dalla Corte costituzionale). Gli enti che hanno proposto la rimodulazione o la riformulazione del piano di rientro ma non hanno ottenuto l’ ok della Corte conti entro la data di deposito della sentenza della Consulta, dovranno «adeguare il piano di riequilibrio alla legislazione vigente» (art.243 bis, comma 5 del Tuel). È quanto spiega la sezione autonomie della Corte dei conti che con la delibera n.8/Sezaut/2019/Qmig ha reso note ieri le motivazioni della decisione volta ad attuare la sentenza della Consulta uniformando gli orientamenti delle sezioni regionali di controllo.

Dopo l’ anticipazione diffusa lo scorso 12 aprile, la delibera depositata ieri conferma la doppia sorte dei piani di rientro, prevedendo, come detto sopra, un meccanismo di «retroattività parziale» per i piani già approvati, mentre per quelli che invece non hanno avuto l’ ok della Corte conti prima dell’ intervento della Consulta, una rideterminazione del disavanzo da ripianare che sarà costituito dalla somma di due valori: il disavanzo da revisione straordinaria dei residui e il maggior disavanzo determinato dal riaccertamento straordinario ex dlgs 118/2011 e dal primo accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità. «Le passività che integrano il disavanzo così rideterminato», conclude la sezione autonomie, «devono essere ripianate secondo la disciplina di cui all’ art. 1, comma 888, della legge n. 205/2017».

Si tratta della norma della legge di bilancio 2018 (non scalfita dalla sentenza della Consulta e quindi pienamente in vigore) che prevede quattro diversi orizzonti temporali per i piani di riequilibrio a seconda del diverso rapporto tra le passività da ripianare e l’ ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa. Fino al 20 per cento, la durata massima dei piani di rientro è 4 anni, sopra il 20% e fino al 60% la durata diventa di 10 anni, per poi salire a 15 anni quando il rapporto tra passività e impegni supera il 60% senza superare la soglia del 100%. Sopra il 100% l’ orizzonte temporale massimo si ferma a 20 anni.

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