12/11/2019 – Tutela dell’affidamento, autotutela e responsabilità precontrattuale nell’erogazione di contributi pubblici alle imprese

Tutela dell’affidamento, autotutela e responsabilità precontrattuale nell’erogazione di contributi pubblici alle imprese
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Il caso: la revoca di contributi pubblici
Un’impresa commerciale ha partecipato ad un bando indetto da una Regione per parziale finanziamento di costi di investimento delle imprese, chiedendo un contributo per “nuova costruzione di un fabbricato artigianale e l’acquisto di nuova attrezzatura”. La società veniva inserita nella graduatoria dei progetti ammissibili al finanziamento per l’importo di € 56.604, salvo “rendicontazione e liquidazione degli importi spettanti” in relazione alle spese sostenute per i progetti ammessi.
In seguito, l’impresa ha trasmesso le fatture delle spese sostenute e la descrizione analitica degli interventi realizzati al Comune, che a sua volta, le trasmetteva alla Regione con il previsto nulla-osta alla liquidazione del contributo. Era poi la stessa Regione a comunicare al Comune che la documentazione presentata non era conforme alle prescrizioni del bando e chiedeva la trasmissione di ulteriore documentazione. Successivamente, sempre la Regione chiedeva al Comune di emettere un nuovo nulla-osta per un importo parziale, mentre ribadiva quanto già richiesto per la rimanenza.
Assume particolare rilievo la circostanza per cui ad un certo punto, la stessa Regione restituiva all’impresa buona parte delle fatture da questa presentate, facendo presente che il bando non contemplava contributi per edifici di nuova costruzione, ma solo contributi per l’acquisizione di locali che dovevano già essere costruiti. Nel caso di ristrutturazione e ampliamento dei locali il contributo sarebbe stato erogato solo in base alla spesa ammissibile per l’acquisto di attrezzature. E così, il Comune, come richiesto dalla Regione, ha emesso nulla-osta per un importo corrispondente soltanto ad una parte della spesa ritenuta ammissibile per l’acquisto di nuova attrezzatura. Con comunicazione ai sensi dell’art. 10-bisL. n. 241/1990, venivano esposti i motivi ostativi all’accoglimento della domanda.
Il giudizio davanti al T.A.R.: tutela dell’affidamento, autotutela e decorso del tempo
L’impugnativa della società, che si è vista riconoscere solo una parte delle spese ammissibili per il solo acquisto di nuova attrezzatura, si è diretta contro il decreto regionale successivamente emanato dalla direzione competente. Il primo giudice ha accolto il ricorso, ritenendo che l’atto impugnato, da intendersi quale espressione del potere di annullamento d’ufficio rispetto agli esiti dell’istruttoria iniziale, richiedesse un più intenso supporto in ordine alla motivazione. In linea generale – ha sostenuto il Collegio di primo grado – quando l’annullamento d’ufficio riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico (tanto più se l’atto è in contrasto con il diritto comunitario), non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’autorità emanante ad agire in via di autotutela.
Tuttavia, alla luce delle circostanze del caso concreto, con riferimento, in particolare, all’istruttoria svolta molto tempo addietro e finalizzata alla ammissibilità delle spese ai fini della assegnazione dei contributi, e al lungo lasso di tempo trascorso tra assegnazione del contributo e decreto impugnato, è plausibile affermare che nel corso degli anni si sia formato, in capo alla ricorrente, un ragionevole e concreto affidamento sulla liquidazione e sul pagamento del contributo in misura corrispondente all’importo assegnato.
Insomma, secondo il T.A.R., la Regione avrebbe dovuto dare conto, nell’atto impugnato, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato, avuto riguardo all’esigenza di salvaguardare la posizione soggettiva del privato che, confidando nella spettanza di un contributo commisurato ad una spesa ammissibile dieci volte superiore a quella relativa alle sole attrezzature, aveva nel frattempo realizzato e completato i lavori di costruzione del fabbricato. Il Tribunale non si è pronunciato sull’istanza di risarcimento del danno avanzata dalla ricorrente per responsabilità precontrattuale.
L’appello al Consiglio di Stato: la giurisprudenza consolidata sulla revoca dei contributi pubblici
Contro la sentenza del Tribunale, è poi insorta la Regione, che solo dopo la trasmissione degli atti da parte del Comune ha potuto verificare come in realtà alcune spese sostenute dall’impresa riguardassero la nuova costruzione di un fabbricato, fattispecie non prevista né dal bando di finanziamento né dalle disposizioni normative europee di riferimento. La Regione ha quindi criticato la sentenza del Tribunale, che afferma in linea di principio la possibilità di annullamento d’ufficio di un atto in contrasto con l’ordinamento europeo da cui deriva un esborso di denaro pubblico, ma che nel caso concreto, visto il lasso di tempo intercorso tra la concessione del contributo e la revoca parziale dello stesso, ha ritenuto che l’atto dovesse essere assistito da un apparato motivazionale in grado di dimostrare la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, a fronte dell’affidamento ingenerato nel privato. A sostegno, la Regione ha invocato la giurisprudenza consolidata, per cui la revoca-decadenza del contributo pubblico erroneamente erogato costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti al proprio bilancio per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici. Nella fattispecie non era configurabile un obbligo di specifica motivazione, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa, quando sussista un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato.
Rispetto a tale impostazione il Consiglio di Stato ha accolto l’appello con la sentenza n. 7249 del 24 ottobre 2019.
Tutela dell’affidamento e responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c.
In ordine al tema della tutela dell’affidamento ingenerato dall’ampio lasso di tempo intercorso tra l’istruttoria, il cui esito iniziale era stato la concessione del contributo, e l’emanazione del provvedimento finale, che ha comportato la revoca dello stesso, il T.A.R. aveva omesso di pronunciarsi in merito alla richiesta di risarcimento per responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c.
Il Collegio d’appello ha ritenuto che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale di approvazione della graduatoria, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera. La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo – continua il Consiglio di Stato nella sentenza n. 7246/2019 – sostanzia un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità dell’atto di concessione, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura nello stesso indicata, tala da indurre l’impresa a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale.
Sussiste dunque una colpa nell’Amministrazione, che non ha dapprincipio applicato correttamente e tempestivamente i principi escludenti scritti nel bando, e che in forza di tale disattenzione ha indotto l’impresa a ritenere sussistenti presupposti errati e sostenere i relativi investimenti.

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