12/11/2019 – Spetta all’Anac accertare e sanzionare le violazioni del pantouflage

Spetta all’Anac accertare e sanzionare le violazioni del pantouflage
di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale
Con delibera n. 207 del 21 febbraio 2018 il Consiglio dell’Anac ha accertato in capo al Presidente dell’Autorità Portuale di Genova una situazione di incompatibilità, in violazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. n. 165/2001. Il Tar Lazio ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento. Avverso tale decisione ha interposto appello l’Anac.
Il comma 16-ter regola il c.d. “pantouflage”, in virtù del quale è vietato ai dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della P.A. svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
L’Autorità anticorruzione rivendica la titolarità del potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità e incompatibilità disciplinate dal D.Lgs. n. 39/2013 e per diretto portato anche di quelle relative all’art. 53, comma 16-ter, che disciplina una fattispecie qualificabile nei termini di “incompatibilità successiva”, espressamente richiamata dal decreto del 2013 che, anche se non individua espressamente l’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie previste della norma, non può che individuare proprio l’Anac, in ragione del richiamo dell’art. 21 da parte del citato comma 16-ter.
I poteri dell’Anac
La quinta sezione del Consiglio di Stato condivide la tesi prospettata dall’Anac e con la sentenza n. 7411 del 29 ottobre respinge i ricorsi proposti in primo grado. Ricorda che il comma 16-ter, introdotto dalla L. n. 190/2012, mira ad evitare che determinate posizioni lavorative possano essere anche solo astrattamente fonti di possibili fenomeni corruttivi, limitando per un tempo ragionevole l’autonomia negoziale del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Una finalità che i giudici ritengono “non illogica, né irragionevole, posta a tutela dell’interesse pubblico generale, che strutturalmente distingue il divieto in questione rispetto al patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c..c.”.
Dopo aver chiarito che le disposizioni sul pantouflage si applicano anche alle Autorità portuali, la sezione si concentra sulla questione se l’Anac abbia o meno il potere di irrogare le sanzioni previste dalla legge, posto che il comma 16-ter non individua espressamente l’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie una volta accertata la violazione.
Questione sulla quale essi non nutrono alcun dubbio. Questo il filo logico: l’art. 13D.Lgs. n. 39/2013 attribuisce all’Autorità anticorruzione il generale compito di vigilare sul rispetto delle relative disposizioni anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi; l’art. 21 richiama esplicitamente la disciplina di cui all’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. n. 165/2001 al fine specifico di estenderne in tale contesto il campo di applicazione.
Ma anche a non voler considerare l’equazione normativa, supplisce la regola secondo cui, in assenza di disposizioni univoche, l’enucleazione della competenza deve affondare le sue radici sulla valorizzazione della ratio della potestà sanzionatoria e del soggetto pubblico nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione.
E non c’è alcun dubbio che il divieto di pantouflage, che mira a scongiurare il prodursi degli affetti antigiuridici che potrebbero derivare da una potenziale situazione di conflitto di interessi, con particolare riferimento a quelli di natura corruttiva, non può non essere affidata alle cure del soggetto chiamato dall’ordinamento a svolgere attività di controllo, prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, ossia l’Autorità Nazionale Anticorruzione.
L’attribuzione di tali competenze è da riconoscersi, secondo il Consiglio di Stato, per le peculiari ragioni logico-sistematiche sopra esposte, ma questo non conduce a mettere in discussione il generale principio alla stregua del quale le norme di legge attributive di competenze sono affidate, di massima, a criteri di elencazione analitica piuttosto che a clausole generali fondanti un potere implicito.
“In questo contesto – si legge nella sentenza – l’ANAC pone in essere una attività di vigilanza che consiste in un potere particolare, assegnato alle autorità amministrative indipendenti per verificare nell’interesse generale il rispetto delle regole in rapporto al loro settore (regole talora da esse stesse poste) da parte degli operatori pubblici e privati ivi operanti”.

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