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Se i documenti sono coperti da segretezza istruttoria il consigliere comunale non può accedere agli atti richiesti

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 12, del 2 gennaio 2019, nel respingere il ricorso di un consigliere comunale nei confronti di un Comune in cui svolgeva l’incarico politico, ha affermato che l’accesso agli atti ha dei limiti che sono contenuti nella segretezza dell’istruttoria del procedimento e come tali devono essere osservati anche dai consiglieri comunali.

Il contenzioso amministrativo

Un consigliere comunale è ricorso al Tribunale amministrativo, impugnando il provvedimento del maggio 2017, con il quale il Comune nel quale ricopriva tale incarico, nel riscontrare un’istanza di accesso documentale, gli ha negato l’accesso.

Il ricorrente aveva inviato all’ente locale, nella sua qualità di consigliere comunale, un’istanza di accesso alla richiesta inoltrata al Comune dalla Procura della Corte dei Conti regionale competente, nonché alla successiva risposta dell’amministrazione, alla Procura.

L’istanza di accesso era giustificata in quanto utile all’espletamento del proprio mandato, poiché attinente a questioni che in ipotesi avrebbero potuto incidere, sotto il profilo finanziario, sulla corretta tenuta del bilancio dell’Ente.

Precisava il consigliere ricorrente che, essendo stata avanzata da un altro consigliere un’analoga richiesta di accesso, poi rigettata per ragioni di segretezza, aveva altresì chiarito, nella propria richiesta di accesso, che il fascicolo in questione era stato archiviato, nelle more, dalla Corte dei Conti.

L’Amministrazione negava però l’accesso, eccependo tra l’altro l’assoggettamento degli atti richiesti a segreto istruttorio.

Avverso il provvedimento di diniego il consigliere ricorrente sosteneva, in estrema sintesi, che il diniego impugnato sarebbe stato illegittimo per essere stata la domanda presentata in qualità di consigliere comunale, al quale per legge e per costante e consolidata giurisprudenza non potrebbe essere negato l’accesso, essendo utile all’esercizio del mandato, durante il cui espletamento l’interessato sarebbe comunque vincolato al segreto d’ufficio.

Inoltre il consigliere ricorrente sosteneva che il diniego impugnato sarebbe stato illegittimo poiché fondato su motivazioni destituite di fondamento (assoggettamento degli atti richiesti a segreto istruttorio) e reso in applicazione di norme inesistenti.

Il vincolo del segreto istruttorio, in particolare, non sarebbe stato contestualizzato al caso di specie, bensì eccepito in termini generali ed astratti e comunque non configurabile nel caso di specie, laddove il presupposto fascicolo della Corte dei Conti era già stato archiviato.

Il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, sul presupposto, da una parte, che non fosse stato dimostrato l’effettivo interesse all’accesso, ossia un’esigenza collegata all’esame di questioni di bilancio o altre questioni poste all’ordine del giorno di una seduta del Consiglio e che comunque, dall’altra parte, la sussistenza dell’eccepito segreto istruttorio, atteso che la documentazione della quale era stata chiesta l’ostensione non riguardava un atto prodotto nell’esercizio delle competenze proprie dell’amministrazione comunale, bensì una documentazione proveniente dalla Procura della Corte dei Conti afferente ad un’indagine promossa dalla stessa Procura.

Avverso la sentenza sfavorevole il Consigliere comunale è ricorso al Consiglio di Stato.

L’analisi del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ad un complessivo esame degli atti di causa, ritiene che il ricorso non sia fondato.

Osservano i giudici amministrativi che, con il primo motivo viene eccepita la contraddizione, da parte della sentenza impugnata, della ratio sottesa al diritto di accesso agli atti di cui sono titolari i consiglieri comunali, ai sensi dell’art. 43 del TUEL, ai quali non potrebbe essere negato l’accesso utile all’esercizio del mandato, durante il cui espletamento sarebbero peraltro vincolati al segreto d’ufficio.

Per l’effetto, il consigliere comunale ricorrente non sarebbe stato gravato da alcun onere motivazionale in occasione della proposizione di istanza di accesso, anche alla luce degli artt. 52 e 54 del Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso ai documenti del Comune, vigente all’epoca dei fatti, in applicazione dei quali era legittimamente consentito allo stesso richiedere la documentazione ritenuta “utile” all’espletamento delle proprie funzioni.

L’art. 52, in particolare, prevedeva che “I consiglieri comunali hanno diritto di ottenere dagli uffici e dagli enti e aziende dipendenti dal Comune tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, nello stato in cui sono disponibili, utili all’espletamento del mandato”, laddove il primo comma dell’art. 54 (“Accesso agli atti riservati”) stabiliva che “Non può essere inibito ai consiglieri l’esercizio del diritto di accesso agli atti interni di cui all’art. 41, ai documenti dichiarati riservati e agli atti preparatori di cui all’art. 45”.

Per contro, nessuna rilevanza poteva attribuirsi, nel caso di specie, alle norme del nuovo Codice di giustizia contabile richiamate in sentenza (artt. 7157 e 69D.Lgs. n. 174 del 2016), così come all’art. 24L. n. 241 del 1990, giacché con riferimento all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale esigenza sarebbe salvaguardata dall’art. 43, comma 2, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi.

Né sussistevano, nel caso di specie, esigenze di riservatezza istruttoria, dal momento che il fascicolo della Corte dei Conti indicato dall’appellante nella richiesta di accesso era già stato archiviato.

Per i giudici di Palazzo Spada tale motivo non è fondato.

Va in primo luogo considerato, come del resto fatto dal primo giudice, che il richiamato art. 52 del Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso non attribuisce al singolo consigliere comunale un generale diritto di accesso in ragione del sol fatto di rivestire detta carica istituzionale, bensì, strumentalmente, lo riconnette all’esercizio delle sue funzioni all’interno dell’assemblea di cui fa parte.

Detto in altri termini, non appare sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare.

Del resto, la finalizzazione dell’accesso ai documenti in relazione all’espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere (cfr. Cons. di Stato, 26 settembre 2000, n. 5109).

Il diritto di accesso di cui trattasi, comunque, riguarda esclusivamente gli “atti, anche interni, formati dall’amministrazione o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 31, comma 2 del Regolamento cit.), non essendo previste specifiche deroghe per i consiglieri comunali (comma 4).

Ciò premesso, osserva il Consiglio di Stato, la richiesta a suo tempo inoltrata dal consigliere comunale ricorrente non aveva ad oggetto degli atti interni dell’amministrazione comunale (ovvero da questi utilizzati ai fini dello svolgimento della propria attività istituzionale), bensì, innanzitutto, una nota della Procura regionale della Corte dei Conti con la quale venivano chiesti all’amministrazione alcuni riscontri nell’ambito di uno specifico procedimento istruttorio. In sostanza, la documentazione richiesta, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, riguardava un procedimento aperto dalla magistratura contabile, ancorché tale indagine fosse collegata ad una determinata attività dell’Ente territoriale.

La vicenda per cui è causa, dunque, fuoriusciva dal perimetro di applicazione dell’art. 52 del citato Regolamento comunale (e, più in generale, dall’art. 43 del TUEL), con l’effetto che le eccezionali prerogative riconosciute da tale norma ai consiglieri comunali dovevano considerarsi inapplicabili, tanto più a fronte di previsioni di legge che prevedessero invece un regime speciale di segretezza o riservatezza, nell’interesse generale o di terzi.

Le conclusioni

Il Consiglio di Stato, come correttamente osserva il TAR, conclude che la possibilità dell’accesso alla documentazione istruttoria è riservata ai soli soggetti interessati dall’attività inquirente (in particolare, quelli invitati a dedurre), nel rispetto dei principi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) : alla luce di tale rilievo appare dunque corretta la conclusione del primo giudice, secondo cui alla vicenda per cui è causa doveva applicarsi la disciplina generale sull’accesso agli atti di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241; in particolare, occorre tenere in considerazione l’art. 24, comma 1, di tale legge, per cui gli atti in esame dovevano rimanere riservati, non avendo l’istante addotto alcuna esigenza di difendere i propri interessi giuridici, in forza del comma 7 dello stesso art. 24.

Il Consiglio di Stato, in sostanza, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciandosi sull’appello, lo respinge.

Cons. di Stato, Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12

Art. 43, comma 2D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (G.U. 28 settembre 2000, n. 227, S.O.)

Art. 24L. 7 agosto 1990, n. 241 (G.U. 18 agosto 1990, n. 192)

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