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Tia: la modalità di tassazione degli alberghi e la competenza accertativa Enti Locali

09 Set, 2019
Nell’Ordinanza n. 12980 del 15 maggio 2019 della Corte di Cassazione, i Giudici di legittimità statuiscono che per le annualità 2010, 2011 e 2012, la Tarsu e la Tia dovevano essere calcolate dai Comuni sulla base di due distinti costi: uno elaborato dalle Province, per gli oneri derivanti dal trattamento e dal recupero dei rifiuti e l’altro dai Comuni, per la raccolta e smaltimento dei rifiuti. I Comuni determinavano quindi, sulla base degli oneri sopra distinti, gli importi dovuti dai contribuenti a copertura integrale dei costi derivanti dal complessivo ciclo di gestione dei rifiuti.
Si trattava della cosiddetta fase del doppio binario, conservando comunque i Comuni il potere di gestione della riscossione.
Il caso
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza di che trattasi, ha chiarito rilevanti profili in tema di Tia e ripartizione della competenza tra Enti Locali.
Nel caso di specie, la Società contribuente impugnava l’avviso di accertamento, relativo a Tarsu dell’anno 2010, deducendo che detta imposta era stata soppressa e sostituita dalla Tia, con conseguente trasferimento delle competenze alle Province, eccependo altresì l’illegittimo inserimento degli alberghi in una categoria diversa dalle abitazioni civili e l’erroneo calcolo delle aree aventi diversa potenzialità di produzione dei rifiuti, nonché, infine, l’incompetenza del Comune alla riscossione della tassa, in quanto, alla stregua dell’art. 11, commi 5-bis e 5-ter, del Dl. n. 195/2009, la potestà impositiva era stata appunto trasferita dai Comuni alle Province.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello del Comune, affermando la legittimità della diversificazione delle categorie comprensive di alberghi e di quelle inclusive delle civili abitazioni, nonché la congruità della tassazione sulla superficie, in mancanza di denuncia di variazione finalizzata a delimitare le superfici che comportassero un minor ammontare della tassa.
La Ctr fondava inoltre la propria decisione sul presupposto che l’art. 11, del Dl. n. 195/2009, aveva conservato in via transitoria le competenze in materia di raccolta e riscossione al Comune, sino al 31 dicembre 2012, termine prorogato ulteriormente dall’art. 1 del Dl. n. 1/2013; e che il successivo Dl. n. 95/2010 aveva poi disposto il rientro delle funzioni fondamentali in materia di gestione e raccolta dei rifiuti ai medesimi Comuni.
Avverso la Sentenza, la contribuente proponeva infine ricorso per Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 5-bis, 5-ter e 5-quater, del Dl. n. 195/2009, per avere il Giudice di II grado erroneamente interpretato la citata disposizione, che aveva disposto la soppressione della competenza del Comune in materia di raccolta, organizzazione e riscossione della tassa sui rifiuti, trasferita alle Province, e ricordando che, in ordine al passaggio delle consegne agli Enti provinciali, anche la Corte Costituzionale aveva deciso per la legittimità della norma relativa al trasferimento di competenze.
In particolare, la Società evidenziava poi che la disciplina transitoria aveva preservato in capo alle Amministrazioni comunali i poteri di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti e smaltimento, non incidendo però sulle disposizioni dei commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, del citato art. 11 nella parte in cui le funzioni di accertamento e riscossione (della Tarsu e della Tia) erano state attribuite alle società provinciali, che, a loro volta, potevano avvalersi di altri soggetti, ai sensi dell’art. 52, del Dlgs. n. 446/1997.
La decisione
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’art. 11, commi 2 e 2-ter, del Dl. n. 195/2009, ha disposto che, per evitare soluzioni di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, le Amministrazioni provinciali, anche per il tramite delle relative società, subentravano nei contratti in corso con i soggetti privati che svolgevano in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento o di recupero dei rifiuti, o, in alternativa, potevano affidare il servizio in via di somma urgenza, ovvero potevano eccezionalmente prorogare i contratti in cui erano subentrate con un limite temporale.
I commi 5-bis, 5-ter e 5-quater della norma in esame disponevano poi che, per le annualità in esame, in fase di prima attuazione ed in via provvisoria e sperimentale, la Tarsu e la Tia fossero calcolate dai Comuni sulla base di 2 distinti costi: uno elaborato dalle Province, anche per il tramite delle società provinciali, che forniscono ai singoli Comuni ricadenti nel proprio ambito territoriale le indicazioni degli oneri relativi alle attività di propria competenza afferenti al trattamento, allo smaltimento ovvero al recupero dei rifiuti, ed uno elaborato dai Comuni, indicante gli oneri relativi alle attività di propria competenza.
I Comuni determinavano quindi, sulla base degli oneri sopra distinti, gli importi dovuti dai contribuenti a copertura integrale dei costi derivanti dal complessivo ciclo di gestione dei rifiuti.
Per il 2010 ed il 2011 era stata pertanto introdotta una fase sperimentale, cd. “doppio binario”, che coinvolgeva i due Enti e consentiva ai Comuni di calcolare la tassa in base a due distinte quote: una determinata dalle Province (per gli oneri derivanti dal trattamento e dal recupero dei rifiuti) e l’altra dai medesimi Comuni (per la raccolta e smaltimento dei rifiuti).
In sostanza, nel regime transitorio, si conservava in capo ai Comuni il potere di gestione della riscossione della Tarsu- Tia.
Al riguardo, infine, la Corte di Cassazione ricorda che anche il Mef ha precisato che ove non sia stata costituita la Società provinciale, in caso di riscossione diretta, il Comune, in quanto soggetto incaricato della riscossione, continua a svolgere la sua attività.
E nel caso in esamelaSocietà provinciale non risultava essere stata costituita.
Pertanto, nel periodo in contestazione, i Comuni potevano continuare ad esercitare le funzioni di riscossione della tassa dei rifiuti.
Osservazioni sul merito
Al di là della questione processuale, quanto al merito della vicenda ed in particolare alla differenziazione in base all’attività alberghiera svolta giova evidenziare quanto segue.
L’orientamento secondo cui la previsione regolamentare di una tariffa alberghiera, anche di molto superiore a quella applicata alle case di civile abitazione, deve ritenersi ormai acquisito, posto che la maggior capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero, rispetto ad uno di civile abitazione, costituisce dato di comune esperienza[1].
In base alla giurisprudenza di legittimità[2] “è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime. Infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal Dlgs. n 22/1997. Senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’Ente impositore[3].

di Giovambattista Palumbo


[1] Sentenza Corte di Cassazione n. 302/2010.
[2] Vedi per tutte Ordinanza Corte di Cassazione n. 913/2016.
[3] Ordinanza Corte di Cassazione n. 4797/2014 e Sentenza Corte di Cassazione n. 8336/2015.

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