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Il tempo scansa l’abbattimento 

di DARIO FERRARA – Italia Oggi Sette – 09 Settembre 2019
 
Il principio – TAR CALABRIA Reggio Calabria sentenza 513 del 24-08-2019 (L. 28.02.1985, n. 47, art. 26) Deve essere annullato l’ordine di demolizione del manufatto abusivo laddove all’epoca dei lavori di ristrutturazione interna all’immobile, risalenti a quasi trent’anni prima, il comune nulla ha obiettato sulla regolarità dei lavori da eseguire e sul carattere abusivo o meno del vano ripostiglio all’interno del quale furono realizzati, dovendosi ritenere che l’incolpevole affi damento del privato possa dirsi positivamente, benché eccezionalmente, caratterizzato dalla piena conoscenza dello stato dei luoghi da parte dell’amministrazione e dall’implicita attività di controllo effettuata in precedenza
 
Si salva dalla demolizione il vano cucina rivelatosi abusivo se all’ epoca della ristrutturazione il comune nulla aveva obiettato sulla regolarità dei lavori per modificare la distribuzione degli spazi interni all’ immobile. A quasi trent’ anni dai fatti e di fronte a un manufatto di modeste dimensioni, quindi, l’ amministrazione locale è tenuta a motivare l’ interesse pubblico a ripristinare la legalità, visto che potrebbe essersi ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato. E ciò perché la Corte europea dei diritti dell’ uomo raccomanda sempre di verificare caso per caso se l’ ordine di abbattere il manufatto sia proporzionato o no.
È quanto emerge dalla sentenza 513/19, pubblicata dal Tar di Reggio Calabria. La vicenda. Viene accolto il ricorso della nuova proprietaria dell’ immobile, che non è responsabile dell’ abuso. Il tutto grazie alla comunicazione di inizio lavori che risaliva al 1991: all’ epoca, la vecchia cucina era stata trasformata in soggiorno e l’ angolo cottura era stato ricavato in un locale che ricadeva nel cortile di proprietà esclusiva e non affacciava sulla strada. L’ incremento di volume, però, risultava illegittimo: lo aveva stabilito il sopralluogo della polizia municipale. In occasione della precedente ristrutturazione, però, l’ amministrazione non aveva rilevato la natura abusiva del vano ripostiglio che chiedeva di far abbattere.
Insomma: l’ ente locale conosceva lo stato dei luoghi fin dai lavori e nel privato si era ingenerato un legittimo affidamento sulla regolarità delle opere. La stessa Corte di Strasburgo richiede che il giudice nazionale motivi in modo particolare sull’ esercizio dei poteri dell’ amministrazione che dà il via alle ruspe. In merito, la quinta sezione si è pronunciata il 21 aprile 2016 (nella causa 46577/15) sul caso di una coppia bulgara destinataria di un ordine di demolizione dell’ immobile abusivo in cui vivevano. A parere della Corte è violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare e dell’ abitazione della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo se l’ ordine di demolizione dell’ immobile viene eseguito senza un’ adeguata valutazione della sua proporzionalità alla luce della situazione personale degli interessati. Che invece dovrebbero avere a disposizione una procedura per ottenere una rivalutazione complessiva della proporzionalità della prevista demolizione dell’ immobile, che è la loro unica casa.
Nel caso di specie, insomma, il comune deve considerare l’ entità e la destinazione dell’ opera oltre che il tempo trascorso prima di ordinare una nuova demolizione. I precedenti. Non può essere il solo tempo decorso dall’ abuso a evitare la demolizione. Deve essere abbattuta la veranda edificata senza permesso di costruire, anche se realizzata molti anni prima e con materiali ritenuti meno «invasivi» come i pannelli in alluminio: ciò che conta è l’ aumento di superfici e volumi non autorizzato dall’ amministrazione, mentre il fattore tempo non può giocare a favore del responsabile dell’ abuso perché il comune non risulta tenuto a motivare l’ interesse pubblico a un atto dovuto come la demolizione dell’ abuso edilizio. È quanto sancito nella sentenza n. 1921/17, pubblicata dalla quarta sezione del Tar Campania.
Insomma, al proprietario conviene rassegnarsi: non gli giova dedurre che l’ intervento non assentito dall’ ente locale integrerebbe un’ opera minore. In realtà la veranda costituisce una vera e propria ristrutturazione non autorizzata in quanto modifica sia la sagoma sia il prospetto del fabbricato: in materia di edilizia e urbanistica, infatti, affinché si abbia un nuovo volume è sufficiente la costruzione di un piano base con due superfici verticali contigui che determina uno spazio chiuso su un minimo di tre lati. Inutile poi sostenere che la struttura «incriminata» sarebbe stata costruita addirittura negli anni Cinquanta del secolo scorso: bisognerebbe invece dimostrare che l’ intervento sia precedente al regolamento edilizio del comune, ancora più risalente. Il privato, inoltre, può invocare la formazione di un legittimo affidamento soltanto quando ha reso nota la sua posizione all’ amministrazione e sia stato indotto a ritenere di essere in regola da un provvedimento dall’ ente stesso, il che nella specie non è.
Ancora. L’ opera abusiva va demolita anche se è stata realizzata oltre quindici anni or sono perché il comune non ha discrezionalità in materia né si configura alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto contro legge. È quanto si rileva dalla sentenza n. 1448/16, pubblicata dalla prima sezione del Tar Piemonte. Anche in questo caso, niente da fare per il responsabile degli abusi. Il responsabile del servizio tecnico dell’ ente rileva che la copertura del deposito è più alta del dovuto, mentre il muro esterno è avanzato di qualche metro. Inconferente la censura del proprietario dell’ immobile secondo cui le opere sono state sì realizzate senza titolo, ma risulterebbero comunque conformi alla disciplina edilizia e urbanistica: il fatto è che il provvedimento sanzionatorio della pubblica amministrazione ha natura vincolata e scatta unicamente dopo l’ accertamento di fatto secondo cui l’ intervento edilizio non risulta conforme al titolo abilitativo rilasciato.
Il mero decorso del tempo dall’ abuso non può mai essere utilizzato in favore dell’ abuso né è richiesta una valutazione sull’ interesse pubblico ad abbattere il manufatto. Sul muro esterno, invece, il ricorso risulta improcedibile perché è stata chiesta la sanatoria: l’ ordinanza di demolizione sarà sostituita da una concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio. Ma attenzione: le opere non si abbattono se il nuovo proprietario non sapeva degli abusi commessi dal precedente. Box e terrazza non si toccano, almeno per ora. Perché il vecchio proprietario al rogito aveva dichiarato la conformità delle opere alla concessione edilizia. Per dare il via alle ruspe il comune deve motivare l’ interesse pubblico alla demolizione, anche nella zona soggetta a vincolo. Così secondo la sentenza n. 1349/15, pubblicata dalla prima sezione del Tar Campania, sezione di Salerno, con la quale è accolto il ricorso della persona che risiede nell’ immobile da vent’ anni. Il suo dante causa ha dato un tetto ai posti auto scoperti ricavandone un box con tanto di terrazza sopra.
Ma, a quanto risulta, l’ attuale titolare ha sempre ritenuto leciti i lavori: la buona fede deve essere confermata da quanto risulta agli atti della compravendita. Le opere sono piuttosto risalenti e l’ attuale proprietario ha riposto un legittimo affidamento nella struttura dell’ immobile per com’ è ora. Trova ingresso la censura contro il provvedimento dell’ amministrazione secondo cui l’ ordinanza viola le regole sulle misure sanzionatorie in campo edilizio: non dà conto dell’ entità delle opere né della loro esatta qualificazione giuridica. Ciò non toglie che il comune possa di nuovo esercitare il potere repressivo, specie se si considera che l’ immobile si trova in area vincolata. Ma dovrà comunque motivare sull’ effettiva incidenza delle opere abusive sui valori paesaggistici tutelati e meritevoli di conservazione.

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