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Buoni pasto: una triste storia di inefficacia estrema del sistema degli appalti

Da anni si insiste con il teorema, proveniente dall’assioma indimostrato dell’ex commissario alla spending review Cottarelli, della riduzione delle stazioni appaltanti “da 30.000 a 30”. E purtroppo, a questo slogan si è data così tanta importanza, da aver previsto una pletora di norme, delle quali gli articoli 37 e 38 del codice degli appalti sono solo una goccia nel mare, volte a concentrare nella Consip e nelle centrali di committenza molte, moltissime acquisizioni di beni e servizi.

Il flop catastrofico dell’appalto dei buoni pasto, affidato ad una società praticamente sull’orlo del fallimento è la comprova che i mega appalti costituiscono un grave problema. Cosa, del resto, già dimostrata in precedenza con il facility management, sempre gestito da Consip.

Quando l’appalto è concentrato su una sola amministrazione appaltante, il gigantismo alletta fin troppo non solo cartelli contrari alla concorrenza, non solo pratiche corruttive molto redditizie (più facile per un grande gruppo corrompere pochi addetti di un solo centro appaltante, che provare ad estendere i tentacoli tra molti soggetti), ma anche l’azzardo di chi fiuta un mega affare e cerca di buttarsi a capofitto, con ribassi eccessivi o magari con un’organizzazione aziendale insufficiente ed inefficiente, in vista della posizione di oligopolio acquisibile e dei tanti soldi che ne possono derivare.

Nel caso dei buoni pasto, la vicenda ha dell’incredibile. Le pubbliche amministrazioni sono sostanzialmente costrette a fare riferimento alla convenzione della Consip, che, nonostante i peana e gli inni alla sua grandissima abilità e professionalità, come si nota non ha avuto maggiori capacità rispetto all’ultima delle stazioni appaltanti di mettersi al riparo da offerte insostenibili.

Non solo. Sfugge davvero perchè un simile appalto, da centinaia e centinaia di milioni e che può interessare centinaia di migliaia di dipendenti pubblici e quantità enormi di esercenti, sia stato organizzato prevedendo il convenzionamento degli esercenti con un solo circuito di ticket.

Questa scelta è alla base del caos estremo al quale si sta tentando di mettere una toppa. Ma, non sarebbe stato molto più logico realizzare un accordo-quadro, coinvolgendo più circuiti di buoni pasto, prevedendo la possibilità di assegnare ai dipendenti o un buono pasto elettronico con chip leggibile da lettori universali collegati con gli aderenti (così, per altro, estendendo la libera scelta dell’esercente cui rivolgersi)?

In questo modo, si potrebbero evitare situazioni di monopolio/oligopolio, esaltare la concorrenza e la libera scelta dei dipendenti e prevenire eventuali crack delle aziende erogatrici, lasciando centinaia di migliaia di esercenti senza i pagamenti e i dipendenti senza il servizio.

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