10/04/2019 – Le procedure di conciliazione per le valutazioni dei dipendenti

Le procedure di conciliazione per le valutazioni dei dipendenti

Alla conciliazione a tutela del lavoratore pubblico che non concorda sulla valutazione ricevuta ai fini della produttività non si applicano le regole di revisione dei provvedimenti di stampo pubblicistico, ma quelle di disciplina del rapporto di lavoro.

L’articolo 7, comma 2-bis, del d.lgs 150/2009 come novellato (forse non del tutto opportunamente) dall’articolo 5 del d.lgs 74/2017, stabilisce che nei sistemi di valutazione sono previste, altresì, “le procedure di conciliazione, a garanzia dei valutati, relative all’applicazione del sistema di misurazione e valutazione della performance”.

Molte amministrazioni ritengono che la procedura di conciliazione possa, nella sostanza, coincidere con un procedimento volto ad ottenere un riesame di un soggetto diverso dal valutatore, dotato del potere quindi di rivedere l’esito della valutazione. Nella gran parte dei casi, il procedimento viene configurato come una sorta di ricorso gerarchico.

Si tratta di un errore di configurazione della procedura e dei diritti in gioco. La valutazione espressa nei confronti dei dipendenti non è un provvedimento amministrativo, bensì un atto di natura privatistica di gestione del rapporto di lavoro, che come tale è adottato dai dirigenti (o, nei comuni che ne sono privi, dai funzionari posti ai vertici delle struttrure), nell’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001.

Non emergono, quindi, possibilità di ricorso gerarchico di carattere amministrativo, trattandosi, invece, di tutela di diritti soggettivi. La combinazione, poi, degli articoli 7, 8 e 9, del d.lgs 150/2009 assegna in via esclusiva agli organismi indipendenti di valutazione o nuclei di valutazione la pronuncia sugli obiettivi organizzativi e sul risultato dei dirigenti; a questi ultimi (o ai funzionari apicali) la valutazione dei risultati individuali del personale non avente qualifica dirigenziale.

Se la conciliazione, allora, non può consistere in un ricorso gerarchico, essa altro non può essere se non una procedura conciliativa ed arbitrale, di natura speciale, regolabile per analogia con le disposizioni degli articoli da 410 a 412-quater del codice di procedura civile. In effetti, poiché la valutazione è un atto del datore di lavoro, adottato come presupposto per quantificare un eventuale premio di produttività, il lavoratore può sempre tutelarsi rivolgendosi al giudice del lavoro.

I sistemi di valutazione potrebbero anche non specificare procedure conciliative, limitandosi a richiamare le norme di conciliazione del codice di procedura di civile, nel caso di potenziale contrasto tra valutatore e valutato.

Qualora, invece, si intendesse regolare la “conciliazione”, di fatto si introdurrebbe una disciplina conciliativa, analoga a quella prevista dall’articolo 412-quater del codice di procedura civile. Il sistema di valutazione deve disciplinare il modo per costituire un collegio di conciliazione e arbitrato irrituale, composto da un rappresentante del lavoratore, un rappresentante del datore di lavoro (che potrebbe comunque coincidere col medesimo valutatore) e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dalle parti. Questo collegio è chiamato a promuovere la conciliazione tra le parti, in assenza della quale resta comunque la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge.

Laddove il sistema di valutazione regolasse il collegio di conciliazione nel rispetto pieno dell’articolo 412-quater del codice di procedura civile, nel caso di mancata conciliazione detto organo potrebbe spingersi fino alla decisione della controversia: in questo caso l’arbitro della parte datoriale non può coincidere col valutatore, né può essere l’Oiv o un suo componente o, nei comuni, il segretario generale; lo stesso, a maggior ragione, vale per il presidente, in quanto occorre garantire la terzietà maggiore possibile dei componenti del collegio.

Se, invece, l’organo di conciliazione richiami solo per analogia l’articolo 412-quater, non potrà spingersi fino alla decisione della “controversia”, ma eventualmente invitare il valutatore a meglio motivare la propria decisione, qualora non intenda conciliare. In ogni caso il lavoratore potrà comunque decidere di tutelarsi direttamente davanti al giudice o attivare le procedure conciliative previste dal codice di procedura civile.

Luigi Oliveri

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