09/10/2019 – Urbanistica. Permesso di costruire annullato o revocato e giudizio cautelare

Urbanistica. Permesso di costruire annullato o revocato e giudizio cautelare
Pubblicato: 08 Ottobre 2019
Cass. Sez. III n. 37475 del 10 settembre 2019 (UP 13 giu 2019)

Neppure a livello di fumus richiesto in sede cautelare reale può ritenersi la sussistenza del reato di lavori sine titulo di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 380 del 2001 per opere realizzate in forza di un permesso di costruire in base al mero rilievo che lo stesso è stato successivamente revocato o annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, dovendosi invece accertare se quel titolo potesse considerarsi già in origine tamquam non esset per contrasto con la disciplina normativa e di pianificazione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 marzo 2019, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta da Francesca Meola e volta ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza con cui il g.i.p., convalidando il provvedimento assunto in via d’urgenza dal pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo di un immobile ubicato nel Parco nazionale del Cilento, interessato da lavori di ampliamento assentiti con permesso di costruire n. 2 del 17 marzo 2018. Si era in particolare ravvisato il fumus del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 sul rilievo che il predetto permesso di costruire fosse illegittimo per contrasto con diverse disposizioni del Piano Territoriale Paesistico del Cilento Costiero (d’ora in avanti, PTPCC).

 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’indagata, deducendo, con il primo motivo, violazione della legge processuale e sostanziale per mancanza del fumus del reato ipotizzato, essendo insussistente il vincolo di inedificabilità assoluta ravvisato nel caso di specie dal tribunale, non ricavabile dalle disposizioni di cui agli artt. 8, 9 e 14 PTPCC, che non precludono aumenti volumetrici e non li limitano neppure al 20% della volumetria esistente, essendo tale vincolo operante soltanto per interventi aventi ad oggetto adeguamenti igienico-sanitari e tecnologici.

L’insussistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta emergerebbe inoltre dalle norme tecniche di attuazione del piano urbanistico comunale di Montecorice – approvato con il favorevole parere di tutti gli enti preposti – il cui art. 46 consente sugli edifici esistenti gli interventi previsti dalla legge reg. n. 19/2009 (c.d. Piano Casa) ed il cui art. 53 ammette, nella zona B1 ove si trova l’edificio in questione, aumenti di superficie lorda sino ad un massimo di 30 mq.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per assoluta assenza di motivazione proprio con riguardo al suddetto vincolo di inedificabilità assoluta, affermato assertivamente senza tener conto che il permesso di costruire era stato emanato con il parere favorevole sia della Soprintendenza sia dell’Ente Parco.

4. Con il terzo motivo si deducono violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001, dell’art. 2 cod. pen., degli artt. 3, 25 e 27 Cost. e dell’art. 7 CEDU per essere stato ritenuto il fumus del reato di costruzione senza permesso sul rilievo che lo stesso era stato annullato in sede di autotutela dal Comune, omettendo di considerare che i lavori asseritamente abusivi erano stati eseguiti prima dell’adozione di tale provvedimento, in costanza di permesso valido ed efficace, non trattandosi peraltro di titolo illecito o macroscopicamente illegittimo.

5. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge per mancanza di motivazione in ordine al periculum non essendo stato considerato che l’indagata aveva interrotto i lavori subito dopo l’ordinanza di sospensione degli stessi del 15 gennaio 2019, cui aveva fatto seguito il citato provvedimento di annullamento del permesso di costruire, in tal modo interrompendo volontariamente qualsiasi attività edificatoria.

6. Con memoria contenente motivi aggiunti trasmessa via fax il 6 giugno u.s. la difesa ha addotto motivi aggiunti al primo di ricorso, allegando l’ordinanza con cui il T.A.R. Campania – in via incidentale e cautelare – aveva sospeso l’efficacia del provvedimento comunale di annullamento in sede di autotutela del permesso di costruire impugnato dall’odierna ricorrente, chiarendo che non sussiste in zona alcun divieto assoluto di edificabilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due  motivi di ricorso – connessi – sono infondati.

Il Tribunale – pur genericamente  parlando di vincolo di inedificabilità assoluta – ha motivatamente chiarito quali sono i plurimi profili di illegittimità del permesso di costruire in questione e le violazioni della disciplina urbanistica, nella specie rilevante ai fini dell’applicazione della legge penale, lamentate dalla ricorrente non sono sussistenti. Ed invero, contrariamente a quanto osserva l’impugnante, omettendo di considerare la chiarissima dizione delle previsioni del piano pure allegato al ricorso:

    • l’art. 8, lett. a), PTPCC consente, per tutte le zone comprese nel Piano, quanto agli interventi su edifici preesistenti, le sole opere di manutenzione (ordinaria e straordinaria), di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, parziale ed integrale «senza comportare alcun incremento delle volumetrie esistenti»; in base alle definizioni contenute nel precedente art. 6 PUTCC – richiamate nell’incipit della disposizione in esame – la ristrutturazione edilizia parziale (qual è quella nella specie avvenuta, posto che non vi è stata demolizione del fabbricato preesistente) prevede che si possa «configurare una struttura edilizia in parte difforme dalla precedente, ma nel rispetto dei vincoli planovolumetrici», con ciò ulteriormente attestando il divieto di aumenti di cubatura;

    • l’art. 9 PTPCC  detta più specifiche previsioni per la tutela, tra l’altro, dei litorali marini, prevedendo ulteriori limitazioni per le aree che (come nella specie) ricadano nei 300 metri dalla linea di costa e consentendo che possano ivi effettuarsi interventi «di riqualificazione delle aree e degli edifici esistenti da realizzare secondo progetti esecutivi, finalizzati all’eliminazione degli elementi e delle zone di degrado»; la ricorrente ha richiamato tale previsione, ma, al di là del fatto che il ricorso non argomenta (ed è dunque sul punto generico) che l’intervento oggetto di processo rispondesse a tali caratteristiche e che gli elementi in fatto riferiti nell’ordinanza consentono di escluderlo (non si trattava, invero, di “eliminare elementi di degrado”, bensì di sopraelevare un edificio ad un piano, realizzando un altro piano), l’incipit del citato art 9 richiama il precedente art. 8, con conseguente esclusione dell’aumento di volumetria;

    • l’art. 14 PTPCC  contiene una precisazione di tali norme generali con riguardo alle zone di recupero urbanistico, edilizio e di restauro paesistico ambientale (c.d. R.U.A., nella quale ricade il fabbricato in questione), prevedendo tra l’altro, con particolare riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 6, punti 6 e 7, l’ammissibilità di «eventuali ampliamenti per adeguamento igienico-sanitario e tecnologico delle unità abitative con superficie compresa entro i mq. 100», con il limite del 20% per superfici utili sino a 50 mq. e del 10% per superfici utili comprese tra 50 e 100 mq.;

    • nel caso di specie l’ordinanza impugnata attesta, da un lato, che il notevole ampliamento volumetrico oggetto del permesso di costruire – pari a 249 mc. per una superficie di 99,60 mq.  e concretizzatosi nella realizzazione di un intero nuovo piano sull’unico preesistente – non costituiva un mero adeguamento igienico-sanitario e che, in ogni caso, superava i limiti percentuali indicati (in base al non contestato capo d’imputazione provvisoria l’aumento volumetrico è pari a circa il 50% rispetto alla preesistente volumetria di 496,23 mc.).

1.1. Ciò detto quanto alla disciplina del PTPCC, va ulteriormente rilevato come il richiamo agli artt. 46 e 53 delle n.t.a. sia generico e manifestamente infondato.

 Posto che la disciplina del PTPCC (v. art. 5) sancisce espressamente la prevalenza delle relative disposizioni, tra l’altro,  su quelle urbanistiche comunali e che la previsione è assolutamente in linea con il regime delle fonti di pianificazione quale previsto dalla legge (cfr. art. 143, comma 9, d.lgs. 42 del 2004), l’art. 46 n.t.a. (nella parte in cui consente sugli edifici esistenti l’esecuzione degli interventi di cui alla l.reg. n. 19/2009) va interpretato nel senso che le relative norme sono applicabili ove non in contrasto con il suddetto piano e così pure l’art. 53 n.t.a. (il cui testo non è peraltro neppure stato allegato al ricorso).

2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

In effetti, la motivazione dell’ordinanza impugnata è sul punto poco perspicua e non del tutto intellegibile.

Il fatto che il permesso di costruire in base al quale la ricorrente ha cominciato i lavori sia stato revocato (rectius, annullato) dal Comune in sede di autotutela, se da un lato conferma come anche l’ente locale si sia avveduto dell’illegittimità del titolo, d’altro lato non vale, di per sé solo, a far ritenere integrato il fumus del reato contestato.

Suona contraddittorio con l’esito del giudizio di riesame, poi, il rilievo – contenuto a pag. 4 del provvedimento impugnato – secondo cui l’illegittimità del titolo non sarebbe idonea ad integrare il reato ipotizzato, non essendo ravvisabile un’ipotesi di inesistenza dell’atto, con la contraria notazione (contenuta a pag. 5, e che ha fondato il rigetto dell’istanza di riesame), secondo cui, «in ragione delle dedotte molteplici violazioni di legge, dubbi sussistono sulla eventuale buona fede della ricorrente e, conseguentemente, sulla prospettata carenza dell’elemento psicologico».

2.1. Ciò posto, è da rilevare che, in forza dell’art. 325 cod. proc. pen., nei procedimenti relativi a misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616), sicché, con riferimento alla violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., è deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), né la sua contraddittorietà. Trattandosi, peraltro, di motivazione che ha riguardo all’applicazione di norme di diritto, non si tratta di valutare la correttezza delle argomentazioni spese dal giudice di merito, quanto, piuttosto, la conformità a diritto della decisione (Sez.  1, n. 16372 del 20/03/2015, De Gennaro, Rv. 263326; Sez.  3, n. 6174 del 23/10/2014, dep. 2015, Monai, Rv. 264273).

2.2. Da questo punto di visto, reputa dunque il Collegio che la decisione non sia censurabile.

Non sussiste, invero, la violazione delle disposizioni penali codicistiche, costituzionali e convenzionali dedotte in ricorso, dovendosi affermare il principio  secondo cui neppure a livello di fumus richiesto in sede cautelare reale può ritenersi la sussistenza del reato di lavori sine titulo di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 380 del 2001 per opere realizzate in forza di un permesso di costruire in base al mero rilievo che lo stesso è stato successivamente revocato o annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, dovendosi invece accertare se quel titolo potesse considerarsi già in origine tamquam non esset per contrasto con la disciplina normativa e di pianificazione.

Ed invero, va qui richiamato il consolidato orientamento – pure di recente ribadito in giudizi cautelari reali analoghi a quello di specie – che la contravvenzione di esecuzione di lavori “sine titulo” sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico – edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez.  3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565;  Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., non massimata; v. anche Sez.  3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170). Nella motivazione della citata sentenza Iodice si è precisato che la macroscopica illegittimità del permesso di costruire – pur non costituendo una condizione essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato, con ciò dovendosi rilevare l’infondatezza del contrario assunto contenuto in ricorso – rappresenta un significativo indice sintomatico della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito e si è richiamato il consolidato principio secondo cui, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, con la conseguenza che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga “ictu oculi” (Sez.  2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez.  4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521). Posto che l’ordinanza impugnata (pag. 5) attesta come le plurime violazioni degli strumenti urbanistici riscontrate non rendano evidente la buona fede, tenendo conto dei limiti della presente fase cautelare, non può dunque escludersi la sussistenza del fumus del reato ipotizzato.

3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Premesso che i lavori di edificazione non sono stati completati, l’ordinanza impugnata osserva che il provvedimento di annullamento del permesso di costruire adottato dal Comune, stante anche l’impugnabilità del medesimo, non esclude che i lavori possano proseguire e non può dunque assolvere alla funzione impeditiva propria del sequestro preventivo. Il rilievo è d’indubbia esattezza come conferma lo sviluppo della vicenda giudiziaria nel caso di specie registratosi: dalla memoria difensiva prodotta dalla ricorrente si apprende, infatti, che, in accoglimento dell’istanza cautelare avanzata con l’impugnazione in sede giurisdizionale del provvedimento di annullamento del permesso di costruire adottato in autotutela, il T.a.r. Campania ha sospeso l’efficacia del predetto atto, sicché la ricorrente, forte dell’esito favorevole della valutazione cautelare compiuta in sede di giustizia amministrativa, ben potrebbe decidere di riprendere i lavori.

Certamente sussistente, dunque, è il periculum che il sequestro mira ad evitare, dovendo peraltro qui incidentalmente osservarsi – in risposta alle considerazioni svolte dalla ricorrente nella richiamata memoria difensiva – che la ratio decidendi del richiamato provvedimento del giudice amministrativo non riposa su un fumus di fondatezza nel merito del ricorso per essere legittimo il permesso di costruire annullato in sede di autotutela (fumus boni iuris che, con riguardo alla possibilità di invocare la l.r. n. 19/2009 e l’art. 53 n.t.a., il T.a.r. ha invece escluso, pur senza affrontare il problema, qui ritenuto dirimente, del contrasto con il PTPCC), bensì sulla sommaria valutazione d’insussistenza delle condizioni di legittimità che, in forza dell’art. 21 nonies l. 241/1990, consentono l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi. Una questione, dunque, irrilevante ai fini penali qui esaminati.

4. Il ricorso, complessivamente infondato, dev’essere pertanto rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 13 giugno 2019.

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