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Diritti di rogito: la Corte dei conti pone (forse) fine al caos autoprodotto sulla base di interpretazioni normative discutibili

 

Diritti di rogito a tutti i segretari comunali di qualsiasi qualifica, se insediati in sedi di comuni privi di dirigenti. Si va verso un’interpretazione estensiva delle previsioni contenute nell’articolo 10, comma 2-bis, del d.l. 90/2014, che ha inteso abolire la compartecipazione ai diritti di rogito per i segretari comunali con qualifica dirigenziale operanti negli enti con qualifica dirigenziale.
La Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, modificando di 180 gradi il proprio avviso sul tema, espresso con la delibera 15/2015, da un lato risolve un problema concreto che si trascina da anni, dall’altro torna a porre in maniera molto forte il grave problema della funzione di controlli cosiddetti collaborativi della Corte dei conti, regolati dall’articolo 7 della legge 131/2003.
Tale disposizione consente a regioni e comuni di richiedere alle sezioni regionali di controllo pareri in materia di contabilità pubblica, che la magistratura contabile esprime in assolvimento ai propri compiti di collaborazione ai fini del coordinamento della finanza pubblica. Tuttavia, con l’andare degli anni e, soprattutto, con il moltiplicarsi di una serie di norme e regole dettate più da logiche di efficienza operativa e gestionale, da una visione quasi esclusivamente finanziaria, si è tracciato un confine molto forte tra le esigenze della cosiddetta amministrazione “attiva”, consistente nel concreto agire, e l’amministrazione “consultiva”, cui latamente poter ricondurre la funzione collaborativa della Corte dei conti, che resta, comunque, giurisdizionale.
L’occhio attento in via esclusiva al coordinamento della finanza pubblica, nel caso dei diritti di rogito ha creato un cortocircuito incredibile tra funzione giurisdizionale della magistratura contabile, funzione amministrativa e giurisdizione civile. I comuni, infatti, sono stati investiti dalle richieste, legittime, dei segretari di ottenere il pagamento della compartecipazione ai diritti di rogito, ma hanno negato queste richieste, col problema, però, di accantonare le somme in vista di possibili vertenze davanti al giudice civile. Le cause non sono certo mancate e a partire dal 2016 le sentenze dei giudici del lavoro favorevoli ai segretari e fortemente critiche nei confronti della Corte dei conti si sono moltiplicate.
Un caos che ha prodotto tensioni, ma soprattutto costi amministrativi e giudiziari che oggettivamente sono andati ben al di là degli effetti sulla finanza pubblica che si volevano preservare: senza dimenticare che i segretari comunali compartecipano ad un’entrata, dunque i diritti di rogito sono integralmente ed abbondantemente finanziati.
Si tratta di un cortocircuito già visto ormai troppe volte. Lo stesso è accaduto per gli incentivi per le funzioni tecniche: anche qui la Sezione Autonomie ha prima ritenuto che fossero al di fuori del tetto della spesa per il salario accessorio, per poi cambiare opinione, dopo aver indotto il legislatore ad una sorta di interpretazione autentica con la legge di bilancio 2018. Ancora aperti sono i problemi sulla qualificazione della spesa per gli incarichi dirigenziali a contratto: mentre la legge esclude la spesa conseguente ai contratti a termine regolati dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000 dal tetto alla spesa per lavoro flessibile, la Sezione Autonomia è rimasta ancora all’inclusione di tale spesa nel vincolo, ma molte sezioni regionali contraddicono questa visione.
Di recente, la Sezione Puglia ha aperto un nuovo fronte di confusione: ha ritenuto priva di efficacia la dichiarazione congiunta n. 5 al Ccnl 21.5.2018, il cui scopo consiste nell’escludere che l’articolo 67, comma 7, del contratto possa essere letto nel senso di scaricare sul fondo della contrattazione decentrata i maggiori oneri per le posizioni di sviluppo derivanti dalle progressioni orizzontali e per l’indennità annua di euro 83,20 che scatta dal 2019.
La funzione “collaborativa” della Corte dei conti finisce troppe volte per scontrarsi con esigenze di carattere sostanziale o con la visione di altre giurisdizioni. La legge 131/2003 sconta il vizio, per altro, dell’assenza di contraddittorio: i pareri vengono resi dalla magistratura contabile senza sentire alcuna controparte. Nè sui pareri, essendo espressi nell’esercizio di una funzione giurisdizionale, sono ammessi gravami o ricorsi. Insomma, se non ci ripensa la stessa magistratura contabile, quanto espresso con le delibere resta invariabile: le amministrazioni non ritengono di avere la forza per superare con ragionate motivazioni i contenuti di quelli che, comunque, restano pareri. E così, magari per anni, come avvenuto con i diritti di rogito, si esacerba lo scontro tra giurisdizioni e si innescano contenziosi e costi. Un ripensamento di questo sistema appare ormai non rinviabile.
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