06/12/2019 – Urbanistica. Sanatoria e soggetti legittimati

Urbanistica. Sanatoria e soggetti legittimati
Pubblicato: 05 Dicembre 2019

Con la formula utilizzata nella redazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001 il legislatore ha voluto ricomprendere la legittimazione a chiedere la sanatoria in capo a più soggetti che, astrattamente, possono aver concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell’effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso.

 
Pubblicato il 14/11/2019

N. 01230/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01847/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1847 del 2013, proposto da

Perin Sas di Perin Sergio & C., Petrol Duemila S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Fabio Roberto Favero, con domicilio eletto presso lo studio Fabio Favero in Bassano Del Grappa, largo Parolini, 103;

contro

Comune di Fara Vicentino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandra Capuano Branca, Francesco Maria Curato, con domicilio eletto presso lo studio Francesco M. Curato in Venezia, Piazzale Roma, 468/B;

Comunita’ Montana “Dall’Astico al Brenta”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Enrico Gaz, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, Santa Croce, 269;

nei confronti

Elena Simonato non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– del silenzio rigetto formatosi sull’istanza di accertamento di conformità 27 febbraio 2013 prot. 1469, con cui i ricorrenti hanno richiesto il rilascio del provvedimento unico per la sanatoria della posa di n. 4 cisterne interrate e di un tratto di recinzione in difformità dalla concessione edilizia 23 giugno 1992 n. 1635/V2 relativa alla costruzione di una stazione di servizio carburanti;

– della nota dello Sportello Unico per le imprese del Comune di Fara Vicentino del 9.5.2013 prot. n. 3152.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Fara Vicentino e di Comunità Montana “Dall’Astico al Brenta”;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2019 il dott. Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Premettono in fatto le società ricorrenti che nel 1992 veniva edificato dalla Petrol Duemila srl un impianto di distribuzione carburanti, in forza della concessione edilizia 1635/92 del Comune di Fara Vicentino, sull’area ottenuta per mezzo di atto di permuta dai precedenti proprietari (tra cui l’odierna controinteressata la Sig.ra Elena Simonato non costituita in giudizio) e successivamente ceduta alla Perin sas di Sergio Perin e C., nell’ottobre dello stesso anno, unitamente all’impianto di distribuzione carburanti ivi costruito.

La realizzazione dell’impianto, tuttavia, incorreva in alcune difformità rispetto al progetto approvato (diversa localizzazione delle 4 cisterne interrate, diversa esecuzione di un tratto di recinzione e posa di alloggi per contatore Enel e gas metano non previsti nell’originario titolo abilitativo).

L’esponente riferisce che, in data 23/4/2009, veniva presentata una prima istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001 che veniva, tuttavia, respinta per presunta carenza di legittimazione.

Successivamente il Comune emanava l’ordinanza di demolizione 22.10.2010 nr. 33 (prot. nr. 6355) delle opere irregolari sopra indicate, impugnata in via giurisdizionale ed amministrativa.

Nel febbraio 2013 veniva presentata una nuova istanza di conformità ed al riguardo, decorsi i termini di legge, lo Sportello Unico per le Imprese del Comune, il 31 maggio 2013, comunicava l’improcedibilità della domanda per assenza di elementi nuovi o diversi che consentano una differente valutazione della pratica.

Con il ricorso in epigrafe le società ricorrenti intendono impugnare tale silenzio-rigetto formatasi sull’istanza come sopra descritta e del successivo provvedimento di diniego espresso, motivato per relationem al pregresso segmento amministrativo non ravviandosi elementi nuovi o diversi tali da consentire una diversa valutazione della pratica.

A supporto del gravame, inizialmente proposto in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e poi traposto in sede giurisdizionale, le società ricorrenti hanno dedotto i motivi di violazione dell’art. 36 DPR 380/01 e carenza di istruttoria per la presunta carenza di legittimazione a proporre istanza di accertamento

Si sono costituiti per resistere il Comune di Fara Vicentino e la Comunità Montana “Dall’Astico al Brenta”.

In vista dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato memorie e repliche, controdeducendo alle altrui difese ed insistendo nelle conclusioni già rassegnate.

Alla pubblica udienza del 6 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni che seguono, risultando condivisibile ed assorbente il dedotto vizio di difetto di istruttoria in relazione alla contestata legittimazione procedimentale.

La disposizione dell’art. 13 della L. n. 47 del 1985 (riprodotta dal successivo art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), attribuisce sì significato provvedimentale di rigetto al silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità (secondo la corretta prospettazione di parte ricorrente e correlata infondatezza dell’eccezione in rito formulata dall’amministrazione comunale), ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere (T.A.R. Campania -Napoli, Sez. VIII, 17 maggio 2018, n. 3249).

Per vero, la previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale; peraltro, come nella specie, il successivo, eventuale atto espresso di diniego non è inutiliter dato, posto che il relativo (e doveroso) corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato sì sine titulo ma comunque nel rispetto della disciplina urbanistica – cd. abusività formale – (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574).

La condivisibile giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito che il provvedimento adottato dall’amministrazione successivamente al silenzio rigetto formatosi sull’istanza di sanatoria presentata ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non può assumere le caratteristiche dell’atto meramente confermativo del precedente silenzio con valore legalmente tipico di diniego ovvero di precedenti determinazioni amministrative quando si innesti su di un mutato scenario effettuale, ma costituisce atto di conferma in senso proprio a carattere rinnovativo, il quale – per la sua idoneità ad incidere sulla realtà giuridica, modificandola – non potrà che riaprire i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte di quanti ne vogliano contestare la legittimità (TAR Lazio, Latina, 2 luglio 2012, n 528). Ciò – in tal guisa superandosi il rilievo di cui all’avviso ex art. 73 c.p.a. – appare tanto più rilevante nel caso di specie a fronte dei rilevi sopravvenuti rappresentati dall’odierna parte ricorrente all’amministrazione in correlazione al superamento dei dubbi sulla proprietà del mappale 1546 per effetto della prodotta sentenza 287/2008 emessa dal Tribunale di Vicenza, passata in giudicato, (ns. doc. 7) e dell’ivi richiamato atto di permuta.

Da ciò consegue la fondatezza della censura di difetto di istruttoria non avendo il comune valutato e posto a fondamento della propria determinazione tale elemento giuridico-fattuale portato alla sua attenzione.

Nel caso di specie inoltre il Collegio rileva, quanto al successivo seguito conformativo, che, per un verso, dalla lettura degli atti emerge che, in seguito al rigetto della prima istanza di accertamento in conformità ed all’emanazione dell’ordinanza di demolizione, è stato depositato in data 9/11/10 ricorso innanzi a questo Tar con RG 1892/10 ancora pendente e, diversamente da quanto dedotto dall’amministrazione resistente, non dichiarato perento ; per altro verso, che, sotto il profilo legislativo e con riferimento alla legittimazione a chiedere il rilascio di un titolo abilitante alla realizzazione di un intervento edilizio, l’art. 11, comma 1, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; quanto poi alla sanatoria di un abuso edilizio il successivo art. 36 del medesimo testo unico prevede che l’accertamento di conformità – da rapportare sia al momento di realizzazione delle opere che a quello di presentazione della domanda – possa essere richiesto dal “responsabile dell’abuso”, o da “l’attuale proprietario dell’immobile”.

In giurisprudenza è, quindi, pacifico che, dalla lettura delle richiamate norme contenute negli art. 11, comma 1 e 36 DPR 380/2001, nell’ottica della necessaria conformità degli interventi edilizi alla disciplina urbanistica, nell’esclusivo interesse pubblico ad una programmata e disciplinata trasformazione del territorio, l’impulso ad effettuare tale trasformazione debba provenire da un soggetto, che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell’ambito di un rapporto di locazione (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316).

Quanto alla necessità che sia chiara e incontestabile la proprietà dell’immobile sul quale è stato realizzato l’abuso, sembra opportuno sottolineare che il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) fa comunque salvi i diritti dei terzi e non interferisce, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica, per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. Stato, Sez. IV, 5 giugno 2012 n. 3300, 4 aprile 2012 n. 1990, 16 marzo 2012 n. 1488).

Non appare casuale, tuttavia, che in materia di sanatoria la normativa di riferimento (art. 36 T.U. cit.) ammetta la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario, ma anche del “responsabile dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale, ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva (ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell’area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi – oltre che dei proprietari – nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi: cfr. anche, per il principio, mai più messo in discussione, Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614 e Cons. giust. amm. Sic. 29 luglio 1992 n. 229).

La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova d’altra parte giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile – ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive – l’utilizzo di uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr., ancora sulla sussistenza della legittimazione a presentare la domanda di sanatoria in capo all’autore dell’abuso, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2015 n. 4176).

Con la formula utilizzata nella redazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001 il legislatore ha voluto ricomprendere la legittimazione a chiedere la sanatoria in capo a più soggetti che, astrattamente, possono aver concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell’effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso.

Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

Per queste motivazioni il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Carlo Buonauro, Consigliere, Estensore

Marco Rinaldi, Primo Referendario

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